Testimonianza da Gaza: “molta paura per l’invasione di Israele. Dove finiranno oltre due milioni di persone?”

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A Tra Cielo e Terra parla Sami Abu Omar, operatore umanitario palestinese a Khan Yunis. “La gente non ha più acqua, non c’è latte per i bambini. Il cibo arriva col contagocce e al mercato nero costa cifre folli”, racconta. “I bambini sono diventati un cumulo di ossa, i miei stessi parenti soffrono”. Secondo Sami chi spara sulla folla in fila agli aiuti non è Hamas: “gli unici a sparare sono i soldati israeliani, oppure quelli della GHF, tutti ex marines americani”. L’operatore auspica comunque un cambio rispetto al governo di Hamas nella Striscia. Ma su Netanyahu che dice di voler ‘liberare’ Gaza afferma: “è un grande bugiardo, è da lui che dobbiamo liberarci. In quasi due anni non è riuscito a fare niente contro Hamas, figuriamoci ora con un blitz di pochi mesi”.

Di Antonella Palermo

“Qui la gente ha tanta paura”. Sami Abu Omar ci parla da Khan Yunis, a sud della Striscia di Gaza. Registra tutta l’apprensione della popolazione rimasta, terrorizzata dai bombardamenti israeliani e dagli scenari nefasti che si profilano dopo la decisione del governo di Netanyahu di invadere il territorio palestinese.

“Rafah, ora completamente svuotata, contava 350 mila persone. La città più grande, Khan Yunis ne conta 500 mila. Tutte queste persone, dirottate a ovest, ad Al Mawasi, non potrebbero coabitare con altre 900 mila da Gaza, sarebbe il caos totale, non c’è posto per tante persone in un lembo che è solo il 15 per cento della Striscia. Non è possibile – spiega Sami -, anche solo a volerle mettere in fila non c’è posto per due milioni e 300 mila persone”. La paura è per la mancanza di acqua, di gasolio, di infrastrutture. Qui infatti il grande problema è proprio quello dell’acqua: “Non ne abbiamo, se non quella salata e quella invece usabile che arriva grazie ai depuratori delle organizzazioni internazionali. Ognuno al momento ha disponibili tre litri di acqua al giorno per fare tutto: lavarsi, bere, fare il bucato”.

L’approvvigionamento dell’acqua è tra gli obiettivi prioritari del Centro di Scambio Culturale Vik-Vittorio Arrigoni, di cui Sami è il coordinatore, e che fa parte della Ong ACS (Associazione per la Cooperazione e la Solidarietà), realtà presente da oltre vent’anni in Paesi esclusi dal progresso economico. Il Centro è stato fondato nel 2011 all’indomani dell’uccisione del giornalista, attivista e scrittore italiano, a cui è dedicato. Continua, sebbene la sede fisica a Gaza City non sia più agibile, a supportare Gaza e i suoi abitanti, grazie all’ampia rete di organizzazioni con cui interagisce in Italia ACS, tra cui Gaza Freestyle, Mutuo Soccorso Milano APS, Dis-Donne in Strada e Corte delle Madri con cui è stata lanciata la campagna di crowdfunding ‘SOS GAZA’: con le donazioni, da ottobre 2023 è stato possibile acquistare beni di prima necessità, da cibo, agli articoli igienico-sanitari, dai materassi alle coperte agli alimenti per i bambini.

Sami racconta l’impegno faticoso di gestire la fruizione della poca acqua dolce: “In questo periodo stiamo organizzando la creazione di un forno sociale per garantire il pane agli sfollati. Tantissime persone beneficiano di questo aiuto. Riusciamo a fornire 10 metri cubi di acqua dolce al giorno che distribuiamo a chi vive nei campi profughi, poi 3.000 pasti al giorno e centinaia e centinaia di pacchi alimentari. Ora sto anche facendo la distribuzione di qualche tenda”.

Le immagini che circolano sullo stato di denutrizione dei gazawi sono inequivocabili, insiste Sami: “I bambini sono diventati solo un cumulo di ossa, posso dirlo anche perché i miei stessi parenti soffrono. Come associazione provvediamo con degli integratori per i bambini. Le donne non hanno più latte per allattare i piccoli. Una scatola di latte di 400 grammi è arrivata a costare l’equivalente di 70 euro. Per i pannolini è la stessa cosa. Cento bambini – afferma Sami -, sono morti per malnutrizione, 83 tra gli adulti. Io stesso ho perso 18 chili dall’inizio della guerra. Negli ultimi tre mesi ho perso 7 chili, anche i miei figli sono dimagriti moltissimo. Non consumiamo proteine. Negli ultimi cinque mesi non abbiamo visto né carne né formaggi. Abbiamo sentito la fame. Io personalmente per diverse settimane ho razionato tutto per poter mangiare una sola volta al giorno”.

Sami parla di situazione “molto drammatica” e riepiloga le trafile degli aiuti umanitari internazionali: “Da fine marzo non entra niente. Nelle ultime 13 settimane sono entrati circa 1.300 camion: ci sono i convogli carichi di medicine tramite Unicef, altri camion per i commercianti e altri da World Food Programme. Il cibo non è mai arrivato ai magazzini delle Nazioni Unite o delle associazioni sul campo perché viene rubato prima. Israele fa arrivare i tir dove c’è il controllo dell’esercito. La gente, affamata e disperata, fa anche dieci chilometri a piedi e li assalta. Se è gente abbastanza in forze si carica di un sacco di farina, sono di 25 o 50 chili l’uno”.

Sami precisa che Hamas non c’entra niente con chi ruba: “Chi non riesce a recarsi lì deve comprare qualcosa al mercato nero. Un chilo di farina costa 25 euro. Un chilo di verdura dai 20 ai 25 euro. Le poche coltivazioni non bastano. Prima ce n’erano tante di coltivazioni di ortaggi e si esportava. Israele controlla più dell’85 per cento della superficie. Di ciò che rimane solo l’1,5 per cento è rimasto a terreno agricolo, è nelle cosiddette zone umanitarie. Il resto è tutto distrutto. La gente non ha più niente”.

Sui presunti dubbi circa l’identità dei soggetti che sparano sulle folle di persone in corsa per accaparrarsi i viveri, Sami chiarisce: “Gli unici che sparano sono i soldati dell’esercito israeliano”, lasciando intendere che chi non ammette questo fa solo propaganda. “Ci sono quattro punti in cui è posizionata l’agenzia Gaza Humanitarian Foundation, due al nord e due al sud della Striscia. Se non sono i soldati israeliani a sparare sono quelli della GHF, che sono tutti ex marines americani. Chi dice il contrario dice cose falsissime. Sono aree controllate 24 ore su 24, Hamas lì non c’è. Chi si aggira nelle zone viene colpito dai droni”.

Il racconto di Sami tocca anche l’effettiva capacità del popolo gazawi di denunciare lo stato di oppressione in cui è costretto a vivere: “Noi non possiamo uscire a fare manifestazioni perché qui la gente ha paura di essere bombardata dagli israeliani. Tanta parte della popolazione adesso, anche chi ha votato per Hamas, anche i seguaci di Hamas, non la sopportano più. Noi vogliamo il cambio, non vogliamo che Hamas comandi a Gaza. Con questa guerra ci abbiamo perso tutti. Ci sono le condizioni per liberarsi di Hamas se la guerra finisse”.

Tuttavia, Sami mette in luce le contraddizioni del governo Netanyahu “interessato ad Hamas – afferma – per rimanere al governo. Sempre deve trovare il nemico per combattere. Lui usa Hamas come ‘il diavolo’ per giustificare ciò che fa. In Cisgiordania non c’è Hamas eppure Israele distrugge. Hamas in fondo è stata creata da Israele. Loro vogliono creare uno stacco nella società palestinese perché non vogliono mai farti arrivare a una vita normale”. Sul destino di Gaza, aggiunge Sami, aleggia la più grande incognita: “Non sappiamo cosa ne sarà di Gaza. Ma se nel mondo ci fosse buona volontà, si fermerebbe questo genocidio. Basta applicare tutte le leggi internazionali, e basterebbe che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU facesse il suo lavoro. Ma se invece lasciano che Israele faccia quello che vuole, sarà molto difficile il destino di Gaza”.

Netanyahu ha detto ieri in conferenza stampa che lui non vuole occupare Gaza ma liberarla. “È un grande bugiardo – afferma Sami Abu Omar –, da lui dobbiamo liberarci. In 22 mesi non è riuscito a fare niente contro Hamas, se entra per uno, due, tre mesi, non risolverà niente”.

[Foto: Sami Abu Omar]