L’INTERVISTA / Ambrosini, “deportare i palestinesi? Soluzione fuori da ogni diritto. Stupisce il silenzio della comunità internazionale”

Tra Cielo e Terra ha intervistato il professor Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori all’Università Statale di Milano. “Inquietante anche la scelta dei Paesi destinatari, poveri e spesso lontani, facili prede di politiche basate sulla legge del più forte”, afferma sul progetto del governo israeliano. Gli stessi Paesi arabo-musulmani, soprattutto quelli vicini, “sono solidali a parole con la causa palestinese ma fanno ben poco per sostenerla nei fatti”. E sugli ultimi naufragi di migranti nel Mediterraneo: “la retorica della guerra ai trafficanti serve in realtà per mascherare la volontà di non accogliere i rifugiati e richiedenti asilo”.
Di Antonella Palermo
Professore, il premier israeliano Netanyahu, secondo notizie di stampa, sta trattando con alcuni Paesi – finora sono stati citati il Somaliland, la Libia, l’Indonesia, il Sud Sudan, l’Uganda -, affinché i palestinesi vi siano accolti, una volta deportati dalla loro terra. Come commenta questa decisione?
Primo, non mi stupisce. Da tempo il governo Netanyahu dice che i palestinesi dovrebbero essere accolti altrove, anzi, rimprovera i Paesi arabi, solidali a parole con la causa palestinese, di non essere disponibili ad ospitarli. Ed è, credo, cosa nota, che un disegno duraturo, da lungo tempo perseguito dalle forze politiche al governo in Israele, è quello di liberare il territorio il più possibile della presenza palestinese. È il progetto del “Grande Israele” su cui Netanyahu proprio ieri si è dichiarato d’accordo. L’idea è quella di impadronirsi non solo di Gaza ma della Cisgiordania, espellere i palestinesi o forse limitarne la presenza in qualche piccola enclave modello apartheid sudafricana. Quindi non sono particolarmente meravigliato.
Mi meraviglia un po’ di più la scarsa reattività della comunità internazionale. Questo piano di deportazione va contro il diritto internazionale. Finora, almeno i Paesi civili, democratici, avevano convenuto che non era possibile, non era giusto, accettabile prendere la popolazione civile insediata in un certo territorio e deportarla da un’altra parte. Il fatto che si tratti di popolazioni, diciamo così irrequiete, ribelli, che dànno luogo a manifestazioni di reazione violenta, persino al terrorismo, non è un elemento che sul piano del diritto internazionale autorizzi la deportazione di intere popolazioni così come non autorizza la punizione collettiva.
Sappiamo che da tempo Israele cercava Paesi disponibili ad accettare i palestinesi, per così dire trasferiti, nella retorica di Netanyahu e del governo israeliano, “per il loro bene”. Ciò che mi stupisce un po’ di più sono i Paesi nominati come potenziali destinatari, che non sono Paesi vicini all’Egitto, di solito nominato, la Giordania, ma sono Paesi spesso lontani e soprattutto poveri, anche molto poco attrezzati dal punto di vista istituzionale. Sono dei Paesi quasi falliti in alcuni casi, Paesi poverissimi in altri casi, stiamo parlando di Somaliland, di Sud-Sudan, quindi di Paesi con un reddito pro capite bassissimo, con problemi di instabilità interna, anche di guerra civile, è il caso di Sud-Sudan, Paesi con difficoltà di riconoscimento a livello internazionale come il Somaliland, che solo una parte della comunità internazionale riconosce.
Qui emerge un aspetto secondo me abbastanza inquietante della vicenda, cioè che questo progetto di deportazione si basa su una profonda disuguaglianza di potere economico e politico, per cui Paesi deboli, Paesi poveri, Paesi che hanno bisogno per così dire di ossigeno dal punto di vista delle risorse economiche e della legittimazione, dell’appoggio della comunità internazionale, della possibilità di ricevere aiuti e prestiti, questi Paesi diventano le facili prede di politiche basate sul diritto del più forte, come in effetti è la deportazione che Netanyahu vuole perseguire.
E come la spiega questa scarsa reattività della comunità internazionale?
Secondo me l’ha detto benissimo il cancelliere tedesco Merz quando Israele ha bombardato l’Iran: “Fanno il lavoro sporco anche per noi”. Questo è il punto. La comunità internazionale è una parola nobile. L’alleanza dei Paesi occidentali vede Israele come un partner indispensabile, come un cuneo piantato nel Medio Oriente arabo-islamico e tendenzialmente ostile, non da oggi, verso l’Occidente, e ritiene che sia nella sua logica geopolitica importante sostenerlo qualunque iniziativa prenda, qualunque siano le sue politiche, con flebili distinguo, ma senza prendere misure concrete per recidere i molteplici fili che legano Israele con i Paesi occidentali.
Per esempio, l’Italia per non dire altro (commercio di armi in cui siamo terzi fornitori di Israele…), ha appaltato a Israele la propria sicurezza informatica attraverso accordi come quelli con la società Paragon. I nostri servizi segreti collaborano in modo quotidiano e intenso con i servizi segreti israeliani, quindi credo che forse non siamo nemmeno nella condizione di poter prendere le distanze da questa alleanza. Si tratta di un abbraccio strategico che ci rende in realtà Paesi che sono sotto un’influenza israeliana da cui non possono districarsi. Quindi, non siamo noi che possiamo dettare delle condizioni a Israele ma è piuttosto il contrario.
Professore, questo vuol dire che quindi andrà a segno il proposito del governo Netanyahu e sarà praticabile effettivamente?
Non so se riusciranno completamente a svuotare Gaza, ma che vadano avanti, se l’hanno annunciato questo progetto, se hanno le risorse politiche ed economiche e militari per attuarlo, mi pare molto probabile. Cioè che almeno una parte cospicua della popolazione di Gaza venga trasferita da qualche altra parte, anche distruggendo le loro abitazioni, perché di questo si tratta, le loro attività produttive rendendo impossibile coltivare la terra e vivere a Gaza. Io credo che questo disegno, già iniziato, andrà avanti e che abbia molte probabilità di andare a segno, se non completamente, se non immediatamente, di certo nel tempo e di certo con numeri significativi di deportati.

Netanyahu ha aggiunto “se volete aiutare i palestinesi, accoglieteli questi palestinesi”. Come valuta il tono di queste dichiarazioni?
Dal suo punto di vista forse non sono così mistificatorie nel senso che, come dicevo, Netanyahu mette in luce un’apparente contraddizione o almeno infila il coltello in una piaga: i Paesi arabo-musulmani, soprattutto quelli vicini, sono solidali a parole con la causa palestinese ma fanno ben poco per sostenerla nei fatti. Si capisce, anche dopo diverse sconfitte subite da parte israeliana, ben conoscendo la superiorità militare e strategica, economica e politica israeliana, che non vogliono imbarcarsi in altre guerre. Ma, detto questo, probabilmente non sono neanche troppo desiderosi di vedere uno Stato palestinese più o meno autonomo, portatore di visioni politiche più riformiste, più avanzate, diciamo più di sinistra, ecco, per usare un termine un po’ vecchio. Credo insomma che non li entusiasmi.
Quindi, questa è la contraddizione in cui si infila Netanyahu. Dopodiché, la sua proposta è subdola perché dire “dovete accoglierli voi” presuppone che Israele abbia il diritto di espellerli, ed è questo il nodo di diritto internazionale. I Paesi arabi, da questo punto di vista, hanno invece la ragione dalla loro parte, almeno in linea di principio, dicendo “se noi ci rendessimo disponibili ad accogliere diventeremmo partner e vassalli del disegno israeliano di deportazione”.

Professore, un’ultima domanda che ci porta all’ultimo naufragio di migranti al largo di Lampedusa. La premier Meloni si è scagliata contro i trafficanti di esseri umani. E’ sufficiente questa presa di posizione?
È un ritornello che sentiamo sempre. Purtroppo non è solo la premier Meloni, direi. Il governo italiano, con qualche decibel in più, recita una filastrocca che appartiene ormai anche alle istituzioni europee. Persino la famosa frase “non li vogliamo far scegliere dai trafficanti quelli che arrivano” è una retorica che serve in realtà a contrastare gli sbarchi, gli arrivi spontanei, l’ingresso di persone che scappano da guerre e persecuzioni. Questa frase è stata pronunciata non solo ripetutamente dalla premier italiana ma dalla stessa Ursula von der Leyen. Quindi Meloni è in buona compagnia, purtroppo, con crescente convergenza delle politiche dell’Unione europea.
Dopodiché, è chiaro che ci sono i trafficanti perché non ci sono canali sicuri alternativi per poter arrivare e chiedere asilo nell’Unione europea. La retorica della guerra ai trafficanti serve in realtà per mascherare la volontà di non accogliere i rifugiati e richiedenti asilo. Li si costringe a viaggi pericolosi, a imbarcarsi su barche vecchie e sovraffollate gestite da reti criminali perché non ci sono dei modi alternativi per arrivare.
Lo stesso governo italiano, ricordo il ministro Piantedosi in qualche frangente, aveva detto, all’epoca della tragedia Cutro, “li faremo arrivare noi con i corridoi umanitari”. Ma, a parte il lodevole impegno delle istituzioni cattoliche e protestanti che gestiscono i corridoi umanitari fin qui disponibili, stiamo parlando di 7 mila persone, stiamo parlando di una goccia nel mare. Mentre un governo che volesse davvero salvare i rifugiati e accogliere le persone in cerca di asilo tagliando fuori le reti del traffico dovrebbe solo aprire dei canali legali e sicuri per far arrivare chi ha bisogno.
[Foto: Vatican News, Keystone, ISPI]