Mozambico: la denuncia di padre Fonseca, “non dimenticate Cabo Delgado”

Dopo l’appello di ieri di papa Leone XIV all’Angelus, rilanciamo l’intervista fatta da Nigrizia al sacerdote della diocesi di Pemba, nel nord del Mozambico, epicentro di sette anni di conflitto. Il religioso richiama l’attenzione sulla tragedia dei bambini: senza scuole, vengono rapiti dai miliziani. Il servizio è di Luca Bussotti.
Avevo letto, giorni fa, di un sacerdote cattolico che aveva denunciato il silenzio su Cabo Delgado, provincia del nord del Mozambico, epicentro da anni di un conflitto fra milizie islamiste e Maputo.
Un silenzio generale, ma ancora di più specifico su una questione poco nota: la scomparsa di molti bambini dalle proprie famiglie, rapiti dai terroristi di Al-Shaabab per indottrinarli e farne bambini-soldato.
Poi, un mio ex-studente mozambicano mi informa che un sacerdote suo amico, della diocesi di Pemba, si trova di passaggio nella capitale dello stato brasiliano di Pernambuco, Recife, e che vorrebbe conoscermi personalmente. Il religioso non è uno qualunque, ma proprio quel prete coraggioso di cui avevo letto giorni prima, mentre puntava il dito sull’oblio su Cabo Delgado: padre Fonseca Kwiriwi, sacerdote missionario.
Il legame con don Camara
L’incontro è avvenuto presso la sede della congregazione passionista di Recife, nel cuore della capitale pernambucana. Una struttura dedicata a don Helder Pessoa Camara, arcivescovo di Olinda e Pernambuco, scomparso nel 1999 a 90 anni, strenuo difensore dei diritti umani e oppositore della dittatura fascista brasiliana, durata dal 1964 al 1985 (un libro sulla sua opera è stato pubblicato da EMI nel 2009).
Sin dalle prime battute è parso subito chiaro il filone di continuità ideale ed etico che lega don Camara a padre Fonseca Kwiriwi. La sua permanenza a Recife, di circa un paio di settimane, è dovuta alla necessità di concentrarsi sulla sua tesi di dottorato in filosofia, che discuterà fra pochi mesi presso la Pontificia Università Cattolica di Paraná, sul pensiero del filosofo mozambicano Severino Ngoenha.
Questo però, non lo ha distolto da quel che più lo affligge: la situazione di Cabo Delgado, dove dal 2017 sono in corso attacchi di matrice jihadista che hanno fatto più di 5mila morti, devastato quell’intera provincia, e provocato più di 1 milione di profughi, bisognosi di assistenza umanitaria.
Quella giustificazione storica del conflitto
Non occorre porgli domande: padre Fonseca è un fiume in piena, inizia a parlare non appena ci sediamo per iniziare la nostra conversazione. Si parte da un video girato di recente sulle reti sociali mozambicane. In un misto di arabo e kiswahili, si ricostruisce la storia dell’insurrezione islamista e si tracciano le inquietanti prospettive future. «Quel video degli al-Shabaab è propaganda e i segnali che manda sono chiari», esordisce il sacerdote mozambicano.
Quali sarebbero questi segnali? «Molto profondi», risponde padre Fonseca. «Non si tratta – continua il religioso – di una semplice minaccia alle istituzioni mozambicane, ma di un tentativo di motivare storicamente tutto l’orrore sparso in questi anni. Chi parla mostra un certo grado di cultura, poiché comincia il racconto dall’esperienza coloniale portoghese in Mozambico, che avrebbe favorito i cristiani, perseguitando i musulmani.
Col governo socialista del Frelimo, l’islam sarebbe stato definitivamente silenziato. È stato soltanto grazie al contatto con altri giovani musulmani dei paesi vicini che un gruppo di fedeli mozambicani di Allah ha potuto essere indottrinato e preparato militarmente per far valere le proprie ragioni, iniziando la jihad a Cabo Delgado».
Una jihad che continua, visto che nelle ultime settimane vi sono stati attacchi molto significativi specialmente nel distretto di Chiure, ai confini con la provincia di Nampula, più a sud rispetto a Cabo Delgado, e a Metuge.
«Nel video – spiega il missionario – viene detto che a niente sono valsi gli interventi militari degli ultimi anni della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC), con la missione SAMIM, e delle forze armate del Rwanda. Lo Stato Islamico, così viene riferito nel video, è più forte di quello mozambicano, per cui, secondo i jihadisti, conviene associarsi al nuovo stato in formazione anziché continuare ad aderire a uno corrotto e decadente quale quello del Mozambico di oggi».
Un messaggio forte, indubbiamente. Ma il rapporto fra le comunità locali e gli jihadisti è motivo di dibattito a Cabo Delgado. «Questa relazione è complessa e non uniforme – ragiona padre Fonseca -. Se in precedenza era possibile affermare che gli attacchi erano più diretti verso certi segmenti della popolazione (cristiani, membri dell’etnia makonde, funzionari pubblici), oggi tutti sono oggetto della furia jihadista. Basti vedere che in uno degli ultimi attacchi a Metuge sono stati decapitati tre contadini…».
Conflitto in espansione
Se tutti sono potenziali obiettivi, significa che è cambiata anche la composizione dei gruppi che effettuano gli attacchi? «In parte sì – ammette il religioso passionista -. All’inizio, per esempio, i makonde erano fra le vittime preferite, ma oggi, fra gli al-Shabaab, ci sono anche giovani di quell’etnia. L’assenza dello stato in quasi tutta la provincia sta lasciando campo libero ai jihadisti, neanche la capitale di Cabo Delgado, Pemba, è una città del tutto sicura».
Una delle strategie dei jihadisti è rapire bambini e adolescenti per iniziarli all’islam più radicale. Per padre Fonseca, questo è un nodo cruciale. «Stiamo togliendo la speranza di sognare ai nostri bambini», afferma amareggiato. «Ormai – continua – sono diventati uno degli obiettivi preferiti dei jihadisti, e questo dimostra che il loro è un progetto di lungo periodo, altrimenti si limiterebbero a ucciderli».
Quali sono i possibili rimedi a una situazione così complessa? Sollecitato su questo punto, padre Fonseca sostiene che «tutto gira intorno alla presenza dello stato, ma anche di famiglie più solide e coese. La Chiesa, per esempio, si sta impegnando molto.
L’istituzione ecclesiale – prosegue il religioso – può e deve fare di più però, sia in termini di assistenza umanitaria che di accompagnamento alle famiglie. Queste sono state colpite nella loro essenza dagli attacchi jihadisti, sia perdendo vari membri, specialmente di sesso maschile, che disgregandosi, a causa delle continue fughe dai villaggi di origine, alla ricerca di campi di accoglienza sparsi nel nord del paese».
Il Frelimo complice del silenzio del mondo
Riflettendo sulla crisi a Cabo Delgado, non può non essere affrontato un altro tema: la poca, pochissima attenzione che questa crisi riceve a livello mediatico e politico, soprattutto da parte della comunità internazionale. Perché, chiedo a padre Fonseca? «Perché il governo mozambicano del Frelimo, in primis, ha teso a nascondere, o per lo meno a ridurre molto, la portata degli attacchi e della tragedia umanitaria che si continua a vivere a Cabo Delgado.
Ciò sarebbe comprensibile se questo atteggiamento si limitasse alle questioni militari, ma rispetto a quelle umanitarie dovrebbe esserci maggiore enfasi, visto che il bisogno di aiuti sta crescendo, da quelli alimentari a quelli abitativi, sanitari ed educativi. Molte scuole, a Cabo Delgado, sono state chiuse perché distrutte dagli attacchi, ma i nostri bambini devono avere la possibilità di continuare a studiare, nonostante tutto».
Con questo appello, ancora incentrato sui bambini e i loro diritti, anche e soprattutto in zone di guerra come Cabo Delgado, si chiude la conversazione con padre Fonseca, certi che nei prossimi mesi non mancherà l’opportunità di rincontrarlo, magari in territorio mozambicano.
[Fonte: Nigrizia; Foto: Zuma Press]