Il modello ugandese di integrazione degli immigrati alle prese con i piani dell’Amministrazione Usa

Di Cosimo Graziani, da Fides
Kampala – L’Uganda ha annunciato negli scorsi giorni di aver raggiunto un accordo con il governo degli Stati Uniti per l’accoglienza di rifugiati che non ottengono il diritto d’asilo nel Paese americano. La misura è destinata a coloro che hanno espresso la volontà di non tornare nei loro Paesi d’origine.
La notizia è stata data dal ministro degli Esteri ugandese Harry Okello Oryem. Due sono state le condizioni poste dal governo africano a quello di Washington: la prima è che i richiedenti asilo espulsi non abbiano commesso crimini, la seconda che non siano minori non accompagnati.
Sebbene non siano stati resi noti altri elementi riguardo l’accordo, il governo ugandese ha espresso la sua preferenza per l’arrivo di richiedenti asilo con cittadinanza africana, dando un netto rifiuto per quelli provenienti da Paesi in cui è forte la rilevanza dei cartelli della droga. Specificazione che può essere interpretata come un rifiuto a ricevere rifugiati provenienti dal Sud America e non graditi al governo USA.
Per l’Uganda si tratta del primo accordo di questo tipo, il quale per gli Stati Uniti fa parte di una precisa politica di espulsione dei migranti verso l’Africa: nei mesi scorsi Washington ne aveva inviati un dozzina tra Sud Sudan e il regno di eSwatini.
Per l’Uganda questa notizia conferma lo status di Paese con delle politiche di accoglienza che hanno una strategia ben precisa: quella di integrare i migranti nel tessuto economico e sociale del Paese.
Per cogliere le implicazioni di tale strategia dobbiamo partire da un commento fatto dal ministro degli Esteri riguardo la tipologia di persone da accogliere: “Come possiamo accogliere [i criminali, ndr] nelle comunità locali ugandesi?”
L’Uganda negli anni scorsi ha rappresentato un modello di integrazione non solo in Africa ma in tutto il mondo. Nel Paese vivono un milione e 800mila profughi provenienti dalle principali aree di crisi di tutto il Continente: Sudan, Sud Sudan, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Eritrea ed Etiopia. In tutto il Paese ci sono quattordici campi profughi, di cui il primo è stato aperto negli anni ‘50 e più grande è quello di Bidibidi al confine con il Sud Sudan – Paese da dove provengono la maggior parte dei rifugiati. Questi dati fanno dell’Uganda il primo Paese in Africa per numero di immigrati accolti.
Alla base di queste politiche c’è anche il “pan-africanismo” del secolo scorso. Questo approccio ideologico ha dato vita a delle misure che hanno portato nel 2006 all’approvazione di una legge che regola i diritti e i doveri degli immigrati in Uganda. Questa legge prevede che ai rifugiati siano riconosciuti libertà di movimento, libertà di associazione e godimento degli stessi diritti dei cittadini per quel che riguarda proprietà, istruzione e lavoro. Inoltre, il sistema prevede anche dei meccanismi di microcredito e di assegnazione di alloggi per i rifugiati.
Questo modello però con l’aumento delle crisi nel Continente ha incominciato a incrinarsi. Le statistiche relative ai nuovi ingressi di immigrati nel 2024 parlavano di circa duemila e cinquecento arrivi alla settimana, un numero molto difficile da gestire per le autorità di Kampala. A ciò si è aggiunta anche la mancanza di fondi provenienti dai donatori internazionali, che secondo fonti dell’Unhcr dello stesso anno avevano raggiunto solo il 13% del fabbisogno. Proprio per questi problemi il 2024 è stato l’anno in cui i rifugiati in Uganda hanno iniziato a lasciare il Paese in cerca di condizioni migliori.
L’accordo con gli Stati Uniti sembra confermare la tendenza dell’Uganda di Paese accogliente nei confronti dei rifugiati. Ma visti i problemi sorti ultimamente per l ’Uganda, i piani di espulsione massiccia di immigrati sbandierati dall’Amministrazione USA non potranno realizzarsi perseguendo la pista della “soluzione ugandese”, al di là di annunci a effetto e singole vicende amplificate per via mediatica.
[Fonte: Fides; Foto: UNHCR]