Pechino mostra i muscoli

La parata militare di Pechino per la ‘Giornata della vittoria’ è uno spettacolo di forza, pensato tanto per l’opinione pubblica cinese quanto per il pubblico internazionale, e riflette i danni inflitti all’Occidente dal bullismo di Trump. Il focus di Alessia De Luca per l’ISPI.
Sorrisi e strette di mano hanno lasciato il posto a missili e carri armati. Il passaggio dal clima distensivo e amichevole di Tianjin a quello militaresco di Pechino non avrebbe potuto essere più repentino. I leader e capi di stato che nei giorni scorsi avevano partecipato al vertice della Shanghai Cooperation Organization (SCO) si sono trasferiti nella capitale cinese per assistere alle celebrazioni per gli 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. Una processione di carri armati, droni e missili cinesi di ultima generazione ha sfilato in piazza Tiananmen per commemorare l’anniversario della vittoria sul Giappone. Xi ha elogiato le truppe come una “forza eroica” affermando che l’Esercito Popolare di Liberazione avrebbe “salvaguardato con risolutezza la sovranità nazionale, l’unità e l’integrità territoriale”: un riferimento fin troppo chiaro alle mire di Pechino su Taiwan. Il presidente cinese ha così chiuso una settimana di diplomazia frenetica presiedendo a una delle più grandi parate militari della storia recente, accanto ad autocrati e uomini forti come Vladimir Putin e Kim Jong Un. Rispetto a dieci anni fa, la parata è stata più imponente e spettacolare. Tra gli ospiti figuravano anche il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, quello bielorusso Aljaksandr Lukashenka e il capo della giunta militare birmana Min Aung Hlaing, insieme a diversi rappresentanti africani e asiatici. Tutti hanno assistito al passaggio dell’esercito più numeroso al mondo: una dimostrazione pensata per galvanizzare l’opinione pubblica cinese e allo stesso tempo mettere in guardia i potenziali avversari globali.
Da Tianjin a Tiananmen?
Non è un caso se alla parata per il ‘Giorno della vittoria’ fossero assenti tutti i leader occidentali tranne due: lo slovacco Robert Fico e il serbo Aleksandar Vucic, entrambi critici nei confronti delle sanzioni alla Russia per la sua guerra in Ucraina, la cui presenza non ha mancato di sollevare polemiche tra gli alleati. Assente anche il Primo Ministro indiano Narendra Modi, che ha condiviso il palcoscenico con il leader cinese e il Presidente russo a Tianjin. Nonostante evidenti segnali di disgelo, infatti, è troppo presto perché Pechino e Nuova Dehli – che hanno combattuto diverse guerre sul confine himalayano – non guardino con sospetto alla reciproca potenza militare. Ciononostante, nel suo discorso Xi ha descritto la Cina come “una forza per la pace mondiale” in opposizione all’egemonismo. “La nazione cinese è una grande nazione che non teme la tirannia e resta salda sulle proprie gambe” ha dichiarato il presidente dal podio della Porta di Tiananmen, allestito sotto un grande ritratto di Mao Zedong. Tracciando una linea retta tra i sacrifici della Seconda guerra mondiale e le sfide che la Cina afferma di dover affrontare, ha aggiunto: “Quando in passato si è trovato di fronte a una lotta all’ultimo sangue tra giustizia e male, luce e oscurità, progresso e reazione, il popolo cinese si è unito nell’odio per il nemico e si è ribellato”. Allo stesso modo “Oggi, l’umanità si trova ancora una volta di fronte a scelte cruciali: pace o guerra? Dialogo o scontro? Cooperazione vantaggiosa per tutti o rivalità a somma zero? Il popolo cinese è fermamente dalla parte giusta della storia e dalla parte della civiltà e del progresso umano”.
Trump ne esce male?
Il discorso di Xi non è rimasto senza risposta. Pochi minuti dopo l’inizio della cerimonia, il presidente Trump è intervenuto da Washington accusandolo di aver ignorato il ruolo dell’America nel sostenere la Cina durante la guerra. Su Truth Social, il tycoon ha scritto che la “grande domanda” era se Xi avrebbe “menzionato l’enorme quantità di sostegno e ‘sangue’ che gli Stati Uniti d’America hanno offerto alla Cina per aiutarla a garantire la sua libertà da un invasore straniero molto ostile”. Poi l’affondo: “Vi prego di porgere i miei più sentiti saluti a Vladimir Putin e Kim Jong Un, mentre cospirate contro gli Stati Uniti d’America”. La presenza di Putin sia al vertice SCO sia alla parata militare ha provocato le ire del tycoon, poiché ha mostrato quanto fossero inopportune e malriposte le sue aperture nei confronti di Mosca. I tentativi del tycoon di allontanare la Russia dalla Cina sembrano essere naufragati miseramente e, al contrario di quanto Trump avrebbe sperato, Putin e Xi hanno cercato di ‘allineare’ le loro memorie presentando il sacrificio dei rispettivi Paesi nella Seconda Guerra mondiale come giustificazione per rivendicare maggior voce in capitolo nel futuro ordine internazionale. Un’operazione diplomatica, da Tianjin a Tienanmen, impensabile solo cinque anni fa.
Autogol dell’Occidente?
La parata, durata 70 minuti, ha mostrato l’intera gamma della modernizzazione militare cinese: carri armati, droni, missili a lungo raggio, aerei stealth e persino armi nucleari tattiche. La presenza di Kim Jong Un – prima volta in 66 anni di un leader nordcoreano a una parata cinese – ha rafforzato l’impressione di un nuovo asse autoritario, soprattutto alla luce della cooperazione militare tra Mosca e Pyongyang nella guerra in Ucraina. Ma non bisogna pensare che tutti i partecipanti alla grande festa di Xi Jinping condividano la stessa linea. La SCO è ben lontana dall’essere un’alleanza in stile Nato e, a parte il fattore unificante dell’opposizione o del disagio nei confronti dell’America di Trump, questi paesi hanno spesso poco in comune. I vicini cinesi hanno guardato sfilare i missili e gli altri armamenti più recenti dell’esercito popolare di Liberazione con sentimenti decisamente contrastanti, se non di timore. Eppure, mentre Washington fa a brandelli alleanze e partnership di lungo periodo, la propaganda cinese per un nuovo ordine globale più equilibrato e stabile trova terreno fertile. Come osservato dal settimanale The Economist, “La lista degli invitati di Xi a Pechino non prova che la Cina sia già al comando di un nuovo ordine mondiale. Ma dimostra quanto danno Trump stia arrecando agli interessi americani”.
Il commento di Giulia Sciorati, ISPI Associate Research Fellow
“La parata a Tiananmen, ufficialmente dedicata alla vittoria sul Giappone nella Seconda guerra mondiale, non va letta soltanto come una prova di forza militare o come una dimostrazione della formazione di nuove alleanze. L’elemento centrale di questo evento non è stato l’aspetto bellico in sé, bensì la tecnologia, presentata come protagonista assoluta. La parata si inserisce a pieno titolo in una più ampia campagna, ormai di lunga data, rivolta tanto all’interno del paese quanto al resto del mondo, che mira a consacrare il ruolo della Cina come potenza tecnologica senza rivali. In questo senso, la parata si contrappone simbolicamente al cosiddetto ‘secolo delle umiliazioni’, trasformando un passato di vulnerabilità in un presente di nuova affermazione internazionale. Lo stesso messaggio è ribadito dalle sale del Museo Nazionale, che si affacciano sulla piazza, dove l’identità cinese viene oggi narrata quasi esclusivamente attraverso la storia del suo avanzamento tecnologico”.
[Fonte e Foto: ISPI]