Gaza: atto finale

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Israele lancia l’offensiva di terra su Gaza City. Ma un rapporto Onu accusa: quello in corso nella Striscia è un genocidio. Il punto di Alessia De Luca per l’ISPI.

È iniziata alla mezzanotte di ieri l’offensiva di terra dell’esercito israeliano su Gaza City, la principale città della Striscia, riparo per centinaia di migliaia di civili che ora non sanno più dove cercare rifugio. Secondo l’esercito, tre delle cinque divisioni disposte per l’operazione ‘Carri di Gedeone II” controllano già circa il 40% del territorio. Funzionari militari hanno affermato che “sono state create le condizioni per occupare la città” e che l’operazione “verrà estesa nei prossimi giorni e settimane” secondo il piano approvato dal governo di Benjamin Netanyahu con il beneplacito degli Stati Uniti. Ma neanche loro – secondo i media israeliani – sanno quanto durerà la campagna militare, lanciata nonostante la contrarierà più volte manifestata dai vertici delle forze armate. Intanto, un team di esperti indipendenti, incaricato dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha concluso che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza, e ha pubblicato un rapporto che invita la comunità internazionale ad agire per porre fine al genocidio in atto e ad adottare misure per punirne i responsabili. “La Commissione ritiene che Israele sia responsabile di genocidio a Gaza”, ha dichiarato Navi Pillay, presidente della commissione, secondo cui “è chiaro che esiste l’intento di distruggere i palestinesi a Gaza attraverso atti che soddisfano i criteri stabiliti dalla Convenzione sul Genocidio”. Israele si è rifiutato di collaborare con la commissione e ha accusato quest’ultima e il Consiglio per i diritti Umani dell’Ono, il principale organismo delle Nazioni Unite per i diritti umani che ha istituito il comitato, di “antisemitismo”. Il ministero degli Esteri israeliano ha respinto il rapporto della commissione definendolo “falso e distorto”.

Mezzo milione di bambini sotto le bombe?

L’offensiva, che arriva dopo 22 mesi di guerra e bombardamenti incessanti che hanno provocato oltre 65mila vittime palestinesi (ma si teme che il numero effettivo sia significativamente più alto) minaccia di peggiorare la crisi umanitaria e la carestia già in atto nella Striscia. Tess Ingram, portavoce di Unicef, l’agenzia delle Nazioni Unite per la protezione dell’infanzia, ha affermato che non esiste alcun rifugio sicuro per la popolazione sfollata. “È disumano aspettarsi che quasi mezzo milione di bambini, maltrattati e traumatizzati da oltre 700 giorni di conflitto incessante, fuggano da un inferno e finiscano in un altro”, ha detto Ingram ai giornalisti da al-Mawasi, un campo tendato sovraffollato e disordinato sorto sulla costa meridionale della Striscia, spiegando che a questo punto “le persone non hanno altra scelta se non restare in pericolo o fuggire in un posto che sanno essere altrettanto pericoloso”. Testimonianze raccolte dalle principali agenzie di stampa raccontano che, quando si è capito che Israele aveva iniziato l’invasione, per le strade della città è scoppiato il panico. Intanto da Ramallah, l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) ha denunciato “il tentativo di trasformare Gaza City in una fossa comune” e in una lunga nota su X, ha chiesto “un intervento internazionale urgente ed eccezionale per proteggerei civili”, definendo “il fallimento della diplomazia internazionale nel fermare la guerra, sospetto e ingiustificato”.

Israele come Sparta?

Condanne contro l’escalation arrivano anche dallo Hostages and Missing Families Forum, secondo cui “questa potrebbe essere l’ultima notte in vita per gli ostaggi”. I parenti degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas hanno organizzato una fiaccolata di protesta fuori dalla residenza di Netanyahu a Gerusalemme e annunciato un sit-in permanente per denunciare quello che definiscono “un tradimento”. Molti dei prigionieri vivi — dovrebbero essere 22 — si trovano a Gaza City e i loro familiari accusano il primo ministro di volerli deliberatamente sacrificare per considerazioni politiche, ignorando le valutazioni del Capo di Stato Maggiore e delle forze di sicurezza”. Incurante delle loro proteste, Netanyahu aveva dichiarato poche ore prima di essere cosciente che, anche sul piano internazionale, Israele appare sempre più isolato e ha avvertito che, di fronte a possibili sanzioni, Israele punterà su ricerca e sviluppo e le industrie di produzione di armi su larga scala. “Diventeremo sia Atene che Sparta, forse persino una Super-Sparta”, ha dichiarato a margine di un’udienza del suo processo per corruzione in un tribunale di Tel Aviv, usando l’offensiva come argomentazione per giustificare il fatto di non poter partecipare a lunghe o frequenti udienze in tribunale. I suoi detrattori sostengono da tempo che abbia prolungato il conflitto per rinviare le elezioni, rimanere in carica e quindi preservare la sua immunità legale.

Sull’orlo dell’abisso?

La rivendicazione di un progetto dai toni autarchici ha suscitato vibrate proteste in Israele. L’Israel Business Forum, che rappresenta le 200 più grandi aziende del Paese, ha avvertito il premier che le sue politiche stanno conducendo verso “un abisso politico, economico e sociale che metterà a repentaglio la nostra esistenza in Israele” e lo ha esortato a porre fine “urgentemente alla guerra più lunga nella storia di Israele, promuovere il rilascio di tutti gli ostaggi, annunciare una commissione d’inchiesta statale [riguardo all’attacco del 7 ottobre 2023, ndr] e stabilire una data per le elezioni nell’immediato futuro”. Anche il leader dell’opposizione Yair Lapid ha sentenziato che “l’affermazione di Netanyahu secondo cui Israele deve adattarsi a un’economia di isolamento è folle”. In questo clima, la visita ufficiale del segretario di Stato Usa Marco Rubio che ha promesso un sostegno “incrollabile” degli Stati Uniti a Israele, è passata quasi in secondo piano. Eppure, nell’ambito di quello che in Israele è visto come un sostanziale via libera di Washington all’invasione di Gaza, Donald Trump si è rivolto ai leader di Hamas affermando che “tutte le scommesse sono perse” e ha chiesto al gruppo di “liberare tutti gli ostaggi subito”. Hamas ha risposto che le dichiarazioni di Trump sono indice di “una palese parzialità nei confronti della propaganda sionista”, aggiungendo che il destino degli ostaggi a Gaza da questo momento è una completa responsabilità del governo di Netanyahu e che la distruzione di Gaza minaccia anche le loro vite.

Il commento di Valeria Talbot, Head ISPI MENA Centre

“Né l’isolamento sul piano regionale e internazionale né le continue proteste delle famiglie degli ostaggi né le divergenze con i vertici delle forze armate sull’opportunità dell’offensiva di terra a Gaza City, che metterebbe a rischio il rilascio degli israeliani ancora nelle mani di Hamas, hanno fatto desistere il governo di Benjamin Netanyahu dal proseguire l’azione militare nella martoriata Striscia. Forte del sostegno di un’amministrazione statunitense dalla politica mediorientale ondivaga, il premier israeliano va avanti nel perseguimento di un obiettivo che appare irrealistico, incurante degli alti costi che tutto ciò avrà anche per il suo paese negli anni a venire”.

[Fonte e Foto: ISPI]