Mons. Crociata (Comece), “l’Europa non ceda alla paura. Serve fermezza, unità e visione di pace”

Il presidente dei vescovi Ue commenta l’allerta droni e le tensioni internazionali: “Non siamo sul baratro, ma a un bivio”. A Gorizia, il Consiglio permanente della Cei rilancia il sogno di un’Europa unita, forte nei valori, capace di agire da ponte tra i popoli. “Abbiamo risorse morali e spirituali: dobbiamo crederci e rilanciarle insieme”. L’intervista è di M. Chiara Biagioni del Sir.
“Non è tempo di paura o di debolezza, ma neppure di provocazioni o di atteggiamenti di contrapposizione. Per questo, oggi più che mai, servono responsabilità, misura nelle parole e nelle azioni, unite a una grande fermezza”. Lo afferma mons. Mariano Crociata, presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea, in merito alla massima allerta in Europa scattata dopo gli avvistamenti di droni nei cieli del Nord, la chiusura degli aeroporti di Oslo e Copenaghen, la reazione dei caccia Nato. Lo fa in questa intervista rilasciata al Sir mentre a Gorizia si è aperto il Consiglio permanente della Cei. “La scelta di tenere a Gorizia il Consiglio Permanente – dice subito Crociata – assume un significato importante in questo momento. Come vescovi della Comece non possiamo che salutare con vivo apprezzamento l’incontro in corso e le parole spese dal presidente della Cei sull’Europa”.
Siete preoccupati? Siamo veramente sul baratro di una terza guerra mondiale?
Il momento è particolarmente delicato sul piano internazionale, ma occorre prudenza nell’uso di termini eccessivamente drammatici, come ‘baratro’. Siamo in presenza di un confronto teso, in cui a preoccupare è soprattutto la volontà di sfida che traspare da atteggiamenti e dichiarazioni. Vi è certamente apprensione, ma anche la convinzione che sia necessario considerare con pacatezza tutti gli aspetti e le implicazioni della situazione.
Nella prolusione al Consiglio permanente il card. Zuppi ha detto: “L’Europa unita ha reso possibile molte cose, che prima e a lungo sembravano impossibili, proprio perché si è fondata sulla cooperazione, nella coscienza di avere un destino comune di pace tra i Paesi dell’Europa”. Venti di guerra soffiano purtroppo sui cieli d’Europa. Che fine ha fatto questo destino di pace…come è stato possibile arrivare a questo punto?
Questa è forse la questione più rilevante. Nel corso degli ultimi decenni non ci siamo resi pienamente conto di ciò che stava cambiando e di ciò che, lentamente, andavamo perdendo o dimenticando. Non sono cambiati soltanto gli altri; siamo cambiati anche noi, spesso inconsapevoli di ciò che ci stava accadendo e del modo in cui il mondo attorno a noi stava mutando. Il passaggio decisivo è stato la progressiva rimozione della memoria delle due guerre mondiali. Abbiamo smarrito la consapevolezza della tragedia vissuta dall’Europa e del bisogno, avvertito con forza dalla generazione dei sopravvissuti, di rendere impossibile il ritorno della guerra. La vera tragedia del nostro tempo in Europa è proprio questa: la convinzione, insinuatasi lentamente in tutti noi, che la guerra non potesse più tornare, che fosse ormai divenuta impossibile. Un’illusione che, purtroppo, ha finito per aprire nuovamente la strada alla guerra.
Ancora Zuppi ha detto: “L’Europa deve esistere di più”. Si avverte un’Unione europea debole mentre nel mondo si impongono leadership forti e aggressive. Da cosa dipende a suo parere questa debolezza?
La debolezza dell’Europa risiede nel fatto che non tutti abbiamo custodito e coltivato una coscienza viva di ciò che ci tiene uniti: delle radici della nostra civiltà e della responsabilità di non disperdere il patrimonio che ci è stato consegnato. I populismi, e i fenomeni che vi si accompagnano, rappresentano il segno più evidente di questa fragilità. Non va sottovalutato che le difficoltà economiche, soprattutto quelle che gravano sulle fasce più deboli della popolazione, unite alle contraddizioni sociali interne, rappresentano il primo campanello d’allarme. Di fronte a un futuro incerto, spesso privo di punti di riferimento, le soluzioni semplicistiche tendono a prevalere e vengono accettate acriticamente. Ritengo invece che i cittadini europei, e il mondo intero, abbiano bisogno di più Europa: un’Europa capace di superare la paura che negli ultimi anni ne ha frenato il rafforzamento, di ampliare le proprie competenze, di diventare un attore internazionale agile e, soprattutto, promotore dei valori fondativi che stanno alla base della sua storia.
Quale contributo le Chiese europee possono e devono dare in questi tempi burrascosi che si vivono oggi in Europa? C’è ancora margine perché la pace vinca sulla logica della guerra e delle armi?
Il nostro compito è triplice: educativo, culturale e istituzionale. Uno degli anelli deboli della nostra collettività è rappresentato dalle nuove generazioni, spesso prive di riferimenti adulti significativi, di prospettive per il futuro e, soprattutto, di un orizzonte morale motivante. In questo senso, il compito educativo rimane la nostra urgenza più grande. In secondo luogo, è necessario restituire motivazione e senso al nostro vivere insieme, a partire dall’esperienza di fede e dalla ricchezza della tradizione cristiana. Uno dei problemi più gravi che stiamo attraversando è la perdita di fiducia: non crediamo più in noi stessi, in ciò che siamo e in ciò che abbiamo. Di fronte alle prime difficoltà ci lasciamo intimorire, dimenticando che possediamo immense risorse morali, spirituali e di coraggio. Ma se non siamo noi per primi a credervi, esse rischiano di restare inefficaci. Infine, vi è un compito istituzionale, che va attivato a tutti i livelli. Il Papa ci guida e ci incoraggia in questo cammino; i vescovi lo seguono, e con loro quanti hanno responsabilità pubbliche devono portare nelle sedi decisionali l’impulso a pensare e ad agire con visione ampia, superando calcoli di piccolo cabotaggio e di corto respiro. Abbiamo ancora la possibilità di pensare in grande per un’Europa unita e forte, capace di svolgere un ruolo di equilibrio e di pace nello scenario mondiale.
[Fonte: Sir; Foto: Cristian Gennari/Siciliani]