La guerra in Sudan entra nel secondo anno. E si aggrava
A un anno esatto dallo scoppio della guerra in Sudan, sono più di otto milioni gli sfollati, sedici milioni di persone soffrono la fame e decine di migliaia sono state uccise. Entrambe le fazioni in lotta, l’esercito sudanese (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF), si sono macchiate di gravi crimini contro i civili: stupri, assassinii e abusi sono all’ordine del giorno, mentre le forniture di aiuti umanitari vengono utilizzate dalle milizie per i propri fini. Eppure, «nessuno si preoccupa di noi», ha detto uno dei rifugiati intervistati dalla CNN. La situazione è destinata a peggiorare: come ha sottolineato Joseph Borrell in un editoriale pubblicato da Arab News, i combattimenti hanno impedito di portare a buon fine la stagione della semina nelle regioni più fertili del Paese.
Mentre inizia il secondo anno di guerra, le attività belliche si sono intensificate: le immagini satellitari rivelano che il numero di insediamenti sudanesi dati alle fiamme è salito a 30 nel solo mese di marzo, il numero più alto finora registrato, ha scritto il Guardian. Buona parte di queste attività, si legge sul quotidiano britannico, è dovuta ai bombardamenti dell’esercito sudanese sulle zone conquistate dagli uomini di Hamdan Dagalo (Hemedti).
La sofferenza cui sono costretti i sudanesi, ha scritto Borrell, è interamente causata dall’uomo e tanto l’esercito sudanese quanto Hemedti sono responsabili del tradimento della rivoluzione del 2019. Ma Borrell ha accusato apertamente anche gli attori esterni: l’Iran, che fornisce «armamenti, tra cui droni alle SAF», e «gli Emirati Arabi Uniti [che] hanno un’influenza diretta sulle RSF, e che dovrebbero utilizzare per porre fine alla guerra. La Russia fa il gioco di entrambe le parti, sperando di avere accesso a infrastrutture e risorse strategiche, anche attraverso compagnie militari private mercenarie, che cercano soprattutto oro e minerali». Intanto a Parigi si è tenuta una conferenza internazionale per raccogliere fondi per gli aiuti umanitari (sono stati promessi 2,1 miliardi di dollari), ma secondo il quotidiano emiratino The National il rischio è che la guerra diventi completamente fuori controllo: secondo un report dell’International Crisis Group citato dagli emiratini, sia al-Burhan (SAF) che Hemedti «potrebbero fare sempre più fatica a mantenere il controllo delle milizie affiliate». Si tratterebbe di una frammentazione della guerra civile che «metterebbe in pericolo gli sforzi per risolvere il conflitto attraverso negoziati di alto livello tra i due leader». Quella sudanese, conclude il giornale del Golfo, è una guerra che nessuno può vincere e per questo va fermata al più presto. Come ha detto Borrell, Abu Dhabi dovrebbe essere tra i primi a contribuire allo sforzo. Nelle prossime settimane riprenderanno i negoziati nella città saudita di Gedda e questi saranno l’occasione per vedere cosa faranno, tra gli altri, gli emiratini.
(Questo articolo di Claudio Fontana è stato pubblicato sul sito della Fondazione Oasis, al quale rimandiamo; Photo Credits: USA for UNHCR)