Rd Congo: pieno di incognite l’accordo con l’M23 mediato dal Qatar

Critico il passaggio relativo al ripristino dell’autorità nazionale. Per l’opposizione di Fayulu bisogna comunque organizzare un Dialogo nazionale. Ne riferisce Brando Ricci su Nigrizia, la rivista dei Missionari Comboniani.
Un tassello in più per la pace nell’est della Repubblica democratica del Congo, eppure il rischio che anche stavolta non si riesca a ristabilire la stabilità della regione appare più che concreto. Si può leggere così la dichiarazione di principio che è stata firmata nel fine settimana dal governo congolese e l’M23, milizia che da mesi occupa porzioni di territorio dell’oriente congolese con il sostegno della formazione politico-militare Alleanza del fiume Congo (AFC) e del Rwanda.
L’intesa, siglata a Doha con la mediazione del Qatar, impegna le parti a un cessate il fuoco permanente da qui a pochi giorni e stabilisce una roadmap per giungere a un accordo di pace “globale” in meno di un mese.
Diversi però i punti opachi. Parte della politica congolese, a partire dall’alleanza Lamuka dell’ex candidato alla presidenza Martin Fayulu, ha riconosciuto l’importanza dell’accordo del fine settimana ma continua a puntare tutto su un dialogo nazionale da organizzare con la mediazione delle chiese cattolica e protestante. Una strada questa, ritenuta l’unica in grado di affrontare le radici del conflitto.
Finalmente l’M23
Va notato che l’intesa fra Kinshasa e la milizia era molto attesa. L’M23, gruppo armato che dichiara di lottare per la difesa della popolazione tutsi e di lingua rwandese che risiede nell’est della Rd Congo e che è discriminata dal governo, era infatti rimasto fuori da un precedente accordo di pace siglato da Rd Congo e Rwanda a fine giugno, con la mediazione degli Stati Uniti. Tutto ciò che riguardava la milizia era stato demandato ai negoziati col governo congolese in corso in Qatar. Si parla del canale di dialogo che ha portato alla dichiarazione delle ultime ore.
L’esclusione dell’M23 poteva essere considerata un paradosso. La milizia ha avuto un ruolo a dir poco cruciale in questa ultima fase del conflitto nell’oriente congolese. Se la premessa è che la regione è teatro di conflitti e instabilità diffusa da oltre 30 anni, l’innesco di questa ultima fase di conflitto è da imputare soprattutto all’offensiva lanciata dal M23 sul finire del 2021.
È nell’ambito di questa avanzata che fra gennaio e febbraio scorsi il gruppo armato ha occupato Goma e Bukavu insieme alle truppe rwandesi e da lì instaurato una sostanziale amministrazione parallela in gran parte del Nord e Sud Kivu, di cui le due città sono i rispettivi capoluoghi.
Questa più recente offensiva ha provocato lo sfollamento di centinaia di migliaia di persone che si sono andate ad aggiungere alle già circa cinque milioni che abitavano l’area. Centinaia se non migliaia le vittime civili dell’occupazione militare delle due città del Kivu. Un qualsiasi processo per la pace che non comprendesse l’M23, si capisce, sarebbe stato da considerarsi nullo.
A maggior ragione perché il governo congolese ha accettato di negoziare direttamente con l’M23 solo dopo mesi e mesi di rifiuti, lo scorso marzo. Il cambio di rotta è avvenuto dopo che il Qatar è riuscito a mettere a sedere allo stesso tavolo il presidente congolese Félix Tshisekedi e l’omologo rwandese Paul Kagame.
Fino a quel momento la milizia, così come altri gruppi armati a difesa della popolazione tutsi prima di lei, veniva ritenuta un gruppo terroristico emanazione degli interessi del Rwanda priva di legittimità politica, e di conseguenza non un interlocutore valido.
I punti dell’intesa
La nuova intesa colma le carenze relative all’assenza dell’M23 ma lascia comunque diverse incognite. Il testo dell’accordo non è stato ancora reso pubblico ed è stato diffuso solo a mezzo di alcuni organi di stampa.
I punti nevralgici dell’intesa sono: l’istituzione di un cessate il fuoco permanente che proibisca qualsiasi tipo di aggressione; la creazione di un meccanismo congiunto di verifica della tregua; il ripristino dell’autorità statale congolese su tutto il territorio nazionale; la liberazione vigilata di alcuni prigionieri delle reciproche fazioni; la protezione dei civili e il rifiuto di ogni discorso d’odio o xenofobo.
L’attuazione degli impegni stabiliti dal documento, quindi anche la tregua, è prevista da non oltre il 29 luglio. Il calendario prosegue con nuovi incontri per negoziare il resto dell’accordo a partire dall’8 agosto e infine il raggiungimento di un accordo di pace definito globale entro il 17 dello stesso mese.
Le nuovi interlocuzioni dovranno essere condotte in linea con il precedente accordo raggiunto fra Kinshasa e Kigali con la mediazione Usa. Non è chiaro però se la definizione “globale” usata dalla stampa nel riportare la dichiarazione faccia riferimento a un definitivo accordo che li comprende entrambi.
Le incognite
In qualsiasi caso, colloqui per definire meglio i punti dell’intesa saranno decisamente necessari. Diversi infatti i nodi critici. A partire da uno, che è forse il più dirimente: l’accordo prevede che il ripristino dell’autorità congolese su tutto il territorio nazionale venga stabilito nel dettaglio solo nelle nuove interlocuzioni. Questo passaggio è fondamentale per Kinshasa.
Il portavoce del governo Patrick Muayaya ha annunciato l’intesa sul social X scrivendo che la dichiarazione firmata a Doha «tiene conto delle linee rosse che abbiamo sempre difeso, in particolare il ritiro non negoziabile dell’AFC/M23 dalle parti occupate, seguito dal dispiegamento delle nostre istituzioni».
Nella realtà, questo punto sembra decisamente più sfumato. Il capo delegazione dell’M23 a Doha, Benjamin Mbonimpa, non cita questo punto nel riportare i passaggi salienti dell’accordo. Secondo quanto riferisce la testata francofona Radio France Internationale (RFI), la parola “ritiro” non è nemmeno contenuta nel testo dell’intesa.
Una questione complessa, che rischia di avere ricadute dirette anche sull’accordo di pace siglato a giugno fra Kinshasa e Kigali. Il cuore di questa intesa stabilisce che le truppe rwandesi si ritirino dall’est della Rd Congo e che in contemporanea le forze armate congolesi smantellino definitivamente le Forze Democratiche per la liberazione del Ruanda (FDLR), una milizia alleata dell’esercito congolese che è stata fondata nel 2000 da veterani del genocidio dei tutsi del 1994 fuggiti in Rd Congo e che è considerata una minaccia esistenziale da Kigali. Per quanto, a differenza dell’M23, questo gruppo armato non occupi alcuna porzione di territorio rwandese.
Questo passaggio è già sufficientemente contorto, soprattutto perché i governi di Rd Congo e Rwanda si dividono sulle tempistiche con cui dovrebbero svolgersi le due fasi: ritiro dei soldati rwandesi ed eliminazione delle FDLR. Per Kinshasa (e per il testo dell’accordo in realtà), si dovrebbero svolgere contemporaneamente, mentre per Kigali lo smantellamento dell’FDLR deve venire prima.
Chiaro è che questo punto diventa inutile se insieme alla smobilitazione delle truppe di Kigali, anche l’M23 non abbandona i territori occupati. La priorità per Kinshasa è infatti ristabilire l’integrità territoriale e la questione dell’M23 doveva in teoria essere sciolta proprio dai negoziati in Qatar. Se non si chiarisce questo passaggio, il già complicato nodo sul ritiro dei militari rwandesi rischia di farsi ancora più intricato.
Questo elemento è stato evidenziato anche da Martin Ziakwau, docente dell’Università cattolica del Congo intervistato dal portale di notizie locale Actualitè. «La firma dell’accordo di pace tra Rd Congo e AFC/M23 rappresenta la condizione sine qua non per la neutralizzazione delle FDLR», ha affermato l’esperto. Secondo Ziakwau, con i territori del Nord e del Sud Kivu ancora occupati sarà impossibile sensibilizzare le popolazioni locali sulla necessità di smantellare la milizia.
La giustizia, ancora grande assente
Oltre a questo, anche quest’ultima dichiarazione di principi sembra fallire lì dove pure ha fallito l’accordo fra Rd Congo e Rwanda. Il documento non dispone la creazione di meccanismi per giudicare i responsabili dei crimini che sono stati commessi dalle parti. Crimini di cui sappiamo grazie a diverse ricostruzioni di esperti delle Nazioni Unite e di ong internazionali. In assenza di strumenti per fare giustizia, difficile immaginare i presupposti per una pace duratura.
Del resto, le mediazioni a guida Usa-Qatar sembrano piuttosto votate a creare le condizioni per rilanciare la cooperazione economica e soprattutto permettere lo sfruttamento delle risorse minerarie di cui il sottosuolo della regione è estremamente ricco. L’est della Rd Congo conserva i più grandi depositi al mondo di coltan oltre ingenti riserve di stagno, litio, diamanti e oro.
La creazione di una piattaforma destinata all’integrazione economica e alla creazione di catene del valore dei minerali sostenibili e trasparenti è uno dei punti chiave dell’accordo mediato dagli Usa mentre società statunitensi hanno già iniziato a firmare accordi per lo sfruttamento delle materie prime.
Nei giorni scorsi Kinshasa si è impegnata a sostenere l’acquisizione di una grande riserva di litio da parte della Kobold Metals, società nota per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle operazioni di prospezione in cui hanno investito anche Jeff Bezos e Bill Gates. L’intesa segue l’accordo di pace anche se il giacimento, potenzialmente uno dei più grandi al mondo, si trova in Tanganyka, più a sud delle province orientali toccate dall’accordo di pace.
Fayulu e il Patto sociale voluto dalle Chiese
La dimensione economica rischia quindi di oscurare aspetti fondamentali come la giustizia. Un elemento questo, non trascurabile per pezzi della politica congolese. «La richiesta di giustizia per tutti i crimini commessi, al fine di garantire verità, riparazione e riconciliazione» è uno degli aspetti più importanti da considerare per la coalizione Lamuka, guidata da Fayulu, uno dei leader dell’opposizione. Il suo partito ha riconosciuto l’importanza dell’accordo mediato dal Qatar ma al contempo rimarcato l’importanza di chiarire i termini del ritiro dell’M23 e delle truppe rwandesi, in conformità con quanto stabilito da una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu del febbraio scorso.
Per la formazione guidata da Fayulu, gli accordi raggiunti grazie alle mediazioni di Usa e Qatar non esauriscono la necessità di organizzare «un dialogo nazionale inclusivo, che riunisca tutti gli attori congolesi, sotto la mediazione congiunta della conferenza episcopale e delle chiese protestanti, con la facilitazione dell’Unione Africana».
Un’iniziativa non esente da rischi, anche questa, ma che si metterebbe in scia con il Patto sociale per la pace e il vivere insieme elaborato a inizio della crisi dalle Chiese e che parte della società congolese percepisce ancora come l’unica speranza di fermare le ostilità una volta per tutte.
[Fonte: Nigrizia; Foto: X.com/Ministero degli esteri del Qatar]