Sudan, Gaza, Sud Sudan: quando l’aiuto umanitario è “militarizzato”

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Contractor privati creati e gestiti da ex militari sono sempre più usati in operazioni umanitarie, ma i dubbi sulla correttezza del loro operato si moltiplicano. L’ufficio dell’Alto commissario dell’ONU per i diritti umani li definisce “mercenari”, evidenziando come la loro presenza faccia crescere il rischio di violazioni dei diritti umani e della legge umanitaria internazionale. Significativi, in questo senso, i casi della statunitense Gaza Humanitarian Foundation nella Striscia e della Fogbow in Sud Sudan. Da Nairobi ne riferisce Bruna Sironi per Nigrizia.

La chiusura improvvisa e inaspettata di USAID, l’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, e il ridimensionamento dell’impegno economico di molti paesi donatori ha accelerato l’impiego di contractor privati nelle operazioni umanitarie.

La loro presenza nel settore non è nuova. Alcune ricerche e analisi la fanno risalire addirittura alla fine della guerra fredda. Ma all’inizio erano fornitori di servizi, soprattutto nei settori della logistica e delle costruzioni e, più tardi, in quello della sicurezza. Un ruolo periferico, insomma, cresciuto negli anni con il crescere e il complicarsi delle crisi umanitarie, l’aumentare dei bisogni e delle difficoltà di raggiungere zone in cui la sicurezza degli operatori umanitari era a rischio.

Si tratta, in genere, di agenzie con radici nel settore militare, cioè create e gestite da ex militari, i cui operatori sono in grandissima maggioranza veterani di un qualche esercito. In un rapporto del 2021, frutto di un gruppo di lavoro voluto dall’ufficio dell’Alto commissario dell’ONU per i diritti umani, non si esita a chiamarli “mercenari” e a mettere in luce come la loro presenza faccia crescere il rischio di violazioni dei diritti umani e della legge umanitaria internazionale.

La presidente del gruppo di lavoro, Jelena Aparaca, nel presentarlo al Consiglio di sicurezza, ha infatti sottolineato, tra l’altro, come “il ruolo di queste compagnie private nell’azione umanitaria e la commercializzazione dell’aiuto umanitario, preoccupa per l’impatto sui principi umanitari di imparzialità, neutralità e indipendenza operativa”.

Nonostante le perplessità espresse a più livelli, i contractor privati sono ormai diventati protagonisti dell’aiuto e hanno guadagnato anche il contatto diretto con la popolazione beneficiaria che si trova spesso in situazioni drammatiche.

La Gaza Humanitarian Foundation

In queste settimane l’opinione pubblica mondiale è scioccata e indignata dalle modalità usate dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF) nelle operazioni di distribuzione degli aiuti alimentari a Gaza, modalità che sono la causa, in poche settimane, della morte di almeno 800 persone colpite mentre cercavano di avere cibo e acqua per non morire di fame e sfamare i propri figli.

È bene ricordare che la GHF è stata fondata negli USA in febbraio ed è stata incaricata di condurre le operazioni umanitarie a Gaza dal governo israeliano, lo stesso che ha massacrato decine di migliaia di civili e ha distrutto le infrastrutture, i centri abitati e i servizi pubblici della Striscia, accampando “l’ottima ragione”, dal suo punto di vista naturalmente, di distruggere Hamas, organizzazione supportata alla nascita e ora combattuta come l’essenza del nemico.

Ma la GHF è solo l’ultima arrivata nel settore.

La Fogbow, da Gaza al Sud Sudan

Un’altra organizzazione umanitaria privata, meno nota, pure formata da “mercenari”, è stata operativa in contesti estremamente critici: a Gaza e in Sudan. Nelle ultime settimane ha lavorato anche in Sud Sudan.

È la Fogbow, voluta e gestita da veterani dell’esercito, ex funzionari governativi e dell’intelligence americani. Nel suo sito dice di essere in grado di rendere possibile l’accesso e le operazioni umanitarie in situazioni estreme grazie all’esperienza dei suoi uomini. Dice di aver distribuito a Gaza più di 10 milioni e mezzo di pasti e più di 2mila tonnellate di aiuti di altro genere.

In Sudan dice di averne fatto arrivare più di 1.000 tonnellate, trasportati con 80 voli in due località del Sud Kordofan. Quali? Sul sito non si dice, o almeno non si trova facilmente. Saperlo sarebbe interessante per un ragionamento sull’operazione.

Per quanto riguarda il Sud Sudan dice solo che gli aiuti riguardavano lo stato del Upper Nile, quello dove negli ultimi mesi ci sono state pesanti operazioni militari che hanno visto contrapposti l’esercito nazionale e la White Army, una milizia locale percepita come allineata al maggior partito di opposizione, l’SPLM-IO. Anche in questo caso le zone non sono nominate, ma da altre fonti si sa che le operazioni hanno riguardato le due contee di Nazir e Ulang, quelle devastate dai combattimenti e dalla fame.

Dai video di presentazione postati sul sito ufficiale si desume che in Sudan e in Sud Sudan la gran parte degli aiuti sia stata buttata dagli aerei in volo. La modalità non è nuova, ma è la più criticata nel settore umanitario perché è la più costosa e la meno efficiente ed efficace. E, francamente, caricare un aereo e buttare sacchi di cereali dal cielo non sembra operazione che necessiti di specialissima preparazione.

Critiche sulle operazioni in Sud Sudan

L’operato della Fogbow ha suscitato discussioni nel settore umanitario. The New Humanitarian, un’agenzia di stampa indipendente specializzata nel settore, dedica all’intervento della compagnia in Sud Sudan un articolo intitolato “Fogbow operations in South Sudan and beyond raise red flags for faltering aid system (Le operazioni della Fogbow in Sud Sudan e oltre sollevano bandiere rosse per un sistema di aiuto vacillante).

Vi si dice che l’intervento in Sud Sudan ha sollevato critiche e perplessità perché sembra aver supportato le operazioni del governo contro l’opposizione, violando dunque il principio di neutralità che sta alla base del lavoro umanitario.

Questi operatori, dice ad esempio Mark Bowden, analista per la Chatman House e funzionario dell’ONU in pensione, “non hanno gli stessi principi delle organizzazioni umanitarie che determinano che cosa è accettabile e che cosa non lo è”. E, in effetti, sembra logico. Rispondono a chi li paga, non alla comunità internazionale dei donatori.

Lo dice chiaramente Chris Hyslop, il coordinatore delle operazioni della Fogbow che conosce bene la differenza avendo lavorato per OCHA, l’organizzazione dell’ONU per il coordinamento degli interventi umanitari.

In Sud Sudan la compagnia lavora con il governo. Gli aerei usati erano stati noleggiati da un gruppo ugandese con stretti legami con l’esercito e avevano partecipato attivamente alle operazioni militari a sostegno del governo. Operazioni che avevano causato molte vittime, avevano portato alla distruzione di villaggi e alla fuga di migliaia di persone.

Gli aiuti sono stati lanciati in zone “precisamente selezionate dal governo”, beneficiando solo la popolazione che vi si trovava. Molti sfollati dai combattimenti avevano dovuto far ritorno in quelle zone per riceverli, aumentando di fatto la presa governativa nell’area, dicono i critici.

Diversi osservatori sospettano inoltre che tra i beneficiari ci fossero anche, se non soprattutto, i militari dell’esercito, in postazioni isolate in un territorio controllato dall’opposizione.

Anche la popolazione beneficiaria aveva espresso perplessità. Un giovane fuggito da uno dei villaggi bombardati e rifugiato in Etiopia aveva descritto gli aiuti portati dalla Fogbow per conto del governo come propaganda. Altri dicevano che avrebbero ricevuto il cibo solo da leader comunitari locali autorevoli perché non si fidavano di aiuti piovuti dal cielo. Molti affermavano di fidarsi solo del cibo distribuito dal Programma alimentare mondiale e dall’UNHCR, l’agenzia ONU per i rifugiati.

Interventi inefficaci

Sotto accusa è anche l’efficienza e l’efficacia delle operazioni. L’organizzazione internazionale che li aveva incaricati delle operazioni in Sudan, in zone dove la fame mieteva già molte vittime, non ha rinnovato il contratto perché i risultati non erano stati soddisfacenti. A Gaza il progetto pilota era stato chiuso perché si era rivelato fallimentare.

Ciò nonostante la Fogbow, per ora un piccolo attore nel settore umanitario, in costante crescita per l’aumentare delle crisi internazionali, programma di espandere il suo operato in altri paesi in Africa e in Medioriente, mentre molti programmi gestiti dalle organizzazioni dell’ONU sono stati chiusi per mancanza di finanziamenti.

Date le premesse, si può certamente pensare che in questo periodo si stia assistendo ad una progressiva politicizzazione del lavoro umanitario che lascia le vittime delle crisi in balia degli eventi, se non addirittura dei propri carnefici.

[Fonte e Foto: Nigrizia]