Sudan nel baratro, a fari spenti

A sei mesi dall’inizio della guerra in Sudan, in Darfur si compiono massacri e violenze etniche, nel silenzio generale. leggiamo il punto dell’ISPI, Istituto per gli Studi di Politica internazionale.
Mentre Europa e Stati Uniti sono concentrati sull’Ucraina e il conflitto tra Israele e Hamas che si consuma sui civili di Gaza, in Sudan la guerra civile scoppiata ad aprile scorso ha assunto proporzioni drammatiche e non accenna a placarsi. A confrontarsi sono le forze armate sudanesi guidate dal presidente del Consiglio di transizione Abdel Fattah al-Burhan e le Forze di sostegno Rapido (RSF) che rispondono all’ex vice di al-Burhan, il generale Mohamad Hamdan Dagalo, noto come Hemedti. Queste ultime, originarie del Darfur dove dall’inizio del mese hanno ripreso il controllo di quattro dei cinque stati della regione, sono accusate di atrocità e massacri ai danni delle popolazioni non arabe dei Masalit, che vivono nella zona. Finora, secondo le Nazioni Unite, il conflitto ha causato tra i 9 e il 10mila morti, oltre quattro milioni e mezzo di persone sono fuggite dalle proprie case, mentre 1,3 milioni hanno varcato la frontiera con i paesi vicini, dirigendosi soprattutto in Ciad, Egitto, Sud Sudan, Etiopia e Repubblica Centrafricana.
Allarme pulizia etnica?
Dopo mesi di combattimenti efferati e bombardamenti sui principali centri abitati, ma in una situazione di sostanziale equilibrio sul terreno, nelle ultime settimane le RSF hanno preso il sopravvento. Dopo la cattura di El Geneina, le milizie paramilitari guidate da Hemedti sono state accusate di aver ucciso sisitematicamente persone di etnia Masalit e delle comunità non arabe, razziando, saccheggiando e violentando. In un solo attacco contro un campo per sfollati interni a Erdamta, sarebbero state uccise circa 800 persone e le testimonianze confermano che i civili non hanno modo di sfuggire o proteggersi dagli aggressori. Diverse migliaia di residenti, tra cui soprattutto donne e bambini, hanno attraversato il deserto arrivando in Ciad. “Abbiamo bisogno di sostegno, e ne abbiamo bisogno adesso. Dobbiamo garantire un pasto al giorno a tutti. Non hanno nulla”, ha detto alla Bbc Pierre Honnorat, capo del Programma alimentare mondiale (WFP) in Ciad. Il 2 novembre, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha esortato le RSF a fermare la loro avanzata su el-Fasher, capitale del Nord Darfur, dicendo che l’attacco esporrebbe i civili a un “pericolo estremo”. I residenti tuttavia – riferisce Al Jazeera – si aspettano che i paramilitari conquistino la città entro poche settimane.
Le RSF si riprendono il Darfur?
Ma perché dopo mesi di sostanziale equilibrio, le sorti del conflitto stanno così rapidamente volgendo a favore delle RSF? Una risposta – secondo Foreign Policy – è da ricercare nell’approvvigionamento di armi e droni da combattimento forniti ai paramilitari dagli Emirati Arabi e dal gruppo di mercenari russo Wagner, con cui le RSF hanno stretti rapporti economici e strategici. Da quando il capo delle forze armate sudanesi, il generale Abdel Fattah al-Burhan, è fuggito da Khartoum nel mese di agosto dopo settimane di assedio all’interno del quartier generale dell’esercito, per rifugiarsi a Post Sudan le RSF hanno dilagato nel centro-ovest del paese.
L’analista sudanese Mohamed Badawi ritiene che dopo la conquista di El Fasher le RSF intendano dichiarare un governo temporaneo in Darfur in contrapposizione diretta con il “governo di guerra” di Burhan, causando una spaccatura del paese in due entità che determinerebbe un contesto non dissimile a quello libico. Badawi descrive la guerra come un conflitto di interessi, non solo tra signori della guerra locali ma anche tra i loro alleati regionali e internazionali. “Le RSF hanno ricevuto ampi privilegi e risorse durante il periodo di Bashir che hanno capitalizzato in seguito durante il periodo di transizione”, osserva. E ora sarebbero pronte a fare il grande salto rimodellando il paese in favore dei propri interessi, secondo l’analista, per cui oggi più che mai “lo scenario di divisione del Sudan è possibile”.
Il mondo in silenzio?
Il fatto che il Sudan stia precipitando nel baratro nel silenzio internazionale spiega in parte la scarsità di fondi raccolti per gestire l’emergenza. I funzionari delle Nazioni Unite hanno chiesto per mesi alla comunità internazionale di raccogliere maggiori aiuti, ma del piano di risposta umanitaria di quasi un miliardo di dollari, volto a sostenere i bisogni dei circa 5 milioni e mezzo di sudanesi più vulnerabili, è stato finanziato appena il 26%. Gli operatori umanitari hanno sollecitato i governi a fare di più e non solo in termini di aiuti. “Sembra incredibile che le atrocità commesse due decenni fa possano ripetersi ancora oggi in Darfur con così poca attenzione da parte del mondo”: a dirlo è Dominique Hyde, Direttore delle Relazioni Esterne dell’Unhcr, aggiungendo che “questa guerra, scoppiata senza preavviso, ha trasformato le case sudanesi precedentemente pacifiche e accoglienti in cimiteri”. La scorsa settimana a Gedda, i colloqui tra le due parti in lotta si sono chiusi con pochi impegni e appelli alla “costruzione della fiducia reciproca”. Peccato aver mancato l’obiettivo principale: un cessate il fuoco immediato. Iniziative di dialogo simili, guidate da Unione Africana, Egitto, Stati Uniti e Sud Sudan hanno portato nei mesi scorsi ad altrettanti cessate il fuoco rapidamente violati. A pagarne il prezzo continuano ad essere i civili sudanesi.
Il commento. Di Lucia Ragazzi, ISPI Africa Programme
“Fin dall’inizio della guerra civile, le agenzie umanitarie avevano denunciato il rischio che il Sudan si trasformasse nel teatro di una catastrofe umanitaria. Settimana dopo settimana, i numeri dell’emergenza – vittime della guerra, sfollati interni, rifugiati oltreconfine, persone bisognose di assistenza umanitaria – hanno continuato a salire, risuonando però in sordina nel contesto delle priorità della diplomazia internazionale rivolta perlopiù altrove. Oggi le condizioni sul terreno rendono complesso il supporto umanitario, ma anche rilevare la portata effettiva delle violenze commesse ai danni dei civili. Soprattutto in Darfur, dove le persone continuano a cercare rifugio oltre confine o in altre parti della regione, cercando di mettersi al riparo da ulteriori scontri e violenze che sembrano ancora difficili da scongiurare”.
(Fonte: ISPI; Foto: Analisi Difesa)