Ecuador, guerra allo Stato

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I gruppi armati mettono a ferro e fuoco il paese e minacciano il neoeletto presidente che ha osato sfidare i cartelli del narcotraffico.

Il messaggio, per il neoeletto presidente Daniel Noboa, 34 anni, è chiaro: non immischiarti con gli affari del narcotraffico. E per ribadirlo da una settimana le gang armate dell’Ecuador mettono a ferro e fuoco il paese. Ieri un gruppo di uomini armati e incappucciati ha preso d'assalto lo studio di un’emittente televisiva durante una trasmissione in diretta, spingendo il presidente a dichiarare lo stato di emergenza per “conflitto armato interno” nel mezzo di una serie di attacchi coordinati in tutto il paese. Armati di pistole, fucili, mitragliatrici, granate e candelotti di dinamite, gli uomini mascherati hanno invaso la TC Televisión nella più grande città dell'Ecuador, Guayaquil, durante il telegiornale El Noticiero. Le immagini, che hanno fatto il giro del web, mostrano giornalisti e tecnici sdraiati sul pavimento e qualcuno che grida ‘Non sparate!’ prima che il segnale venga interrotto. Le forze speciali della polizia hanno successivamente arrestato tutti gli assalitori ma nel paese la situazione resta fuori controllo: assalitori hanno fatto irruzione in un'università di Guayaquil e altri hanno saccheggiato il centro di Quito. Rivolte si sono verificate in diverse prigioni e circolano immagini non confermate di guardie carcerarie tenute in ostaggio dai detenuti. Nella serata di ieri negozi, scuole e uffici pubblici sono stati chiusi mentre il paese viveva ore di grande confusione e traffico, con la popolazione che cercava di rientrare a casa. “Hai voluto la guerra e avrai la guerra”, ha detto uno degli aggressori alla TC Televisión rivolgendosi direttamente al presidente. Un concetto ben chiaro a molti in America Latina, dove presto o tardi, chi si oppone allo strapotere della criminalità organizzata, muore.

Narcos come terroristi?

Poco dopo l'assalto alla stazione televisiva, il presidente Noboa ha emesso un decreto che dichiara il conflitto interno nel paese e autorizza l'esercito ecuadoriano a neutralizzare 20 bande di narcotrafficanti “entro i limiti del diritto internazionale umanitario”. Eletto a ottobre con la promessa di reprimere la criminalità, al termine di una campagna elettorale violenta, insanguinata dall’omicidio del candidato Fernando Villavicencio, Noboa ha promesso di ripristinare il controllo dello Stato sul paese. Secondo quanto riferito da alcuni esperti al New York Times  sarebbe stata proprio la sua decisione di trasferire tutti i boss del narcotraffico in carceri di massima sicurezza – lontano dagli agi e dal lassismo di molte carceri ‘controllate’ dalla stessa criminalità organizzata – a determinare la rivolta coordinata e le evasioni di massa. “Questi gruppi cercano di minacciarci e credono che cederemo alle loro richieste”, ha detto il presidente in un videomessaggio sui social media “ma noi non negozieremo con loro”. Il governo di Noboa vuole indire un referendum per consentire l’estradizione all’estero dei cittadini accusati di crimini e il sequestro dei beni dei sospettati. Il voto richiede ancora l’approvazione della Corte costituzionale.

Una discesa agli inferi?

Non c’è dubbio che quella in atto sia una guerra tra lo Stato e i cartelli della droga. Le violenze nel paese, infatti, seguono di poche ore l’evasione dal carcere del Adolfo Macías “Fito” pluricondannato leader della banda di narcos più pericolosa del paese: Los Choneros. Macías, 44 anni, è scomparso da domenica dal carcere di Guayaquil, la città portuale al centro dell’escalation di violenze in Ecuador, che ha visto il suo tasso di omicidi aumentare di cinque volte in altrettanti anni diventando uno dei più alti della regione. Il boss stava scontando una pena di 34 anni per traffico di droga, omicidio e criminalità organizzata, ma era rimasto una figura potente anche dietro le sbarre. Un altro pericoloso narcotrafficante, Fabricio Colón, leader della banda dei Los Lobos, è evaso dal carcere di Riobamba durante i disordini lunedì notte. La procura dell'Ecuador ritiene che entrambi fossero collegati all’assassinio di Villavicencio e alle minacce di morte contro il procuratore generale Diana Salazar. La situazione di caos crescente allarma i vicini e se Argentina, Bolivia e Colombia hanno offerto aiuto a Quito per gestire la crisi, gli Stati Uniti si sono detti “estremamente preoccupati”, dichiarando di essere in costante contatto con il presidente Noboa.

Autostrada della coca?

Negli ultimi 10 anni, il paese sudamericano – un tempo pacifico e noto più per il turismo nelle Isole Galapagos che per la criminalità organizzata – ha vissuto una progressiva e devastante ‘discesa agli inferi’, come racconta il Guardian. Il narcotraffico ha cominciato a fiorire durante il governo socialista di Rafael Correa (2000-2017), che ha adottato un approccio lassista al problema fintanto che la criminalità violenta si manteneva bassa. Negli anni il paese – incastonato tra Perù e Colombia, i principali produttori al mondo di cocaina, è diventato un hub per il passaggio di droga mentre i governi successivi, di Lenin Moreno e Guillermo Lasso, adottavano di volta in volta politiche inadeguate che si sono rivelate incapaci di ripristinare sicurezza e legalità. “La mancanza di opportunità di lavoro e la scarsa istruzione hanno reso i giovani facili reclute per le bande criminali”, ha affermato Olivier De Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani. “Queste bande stanno a loro volta alimentando la povertà estorcendo piccole imprese, prendendo piede nelle scuole e interrompendo l'istruzione dei bambini, creando così tanta paura e disperazione che un numero crescente di ecuadoriani sta semplicemente lasciando il paese”. Oggi le forze armate e la polizia sembrano stare perdendo la battaglia contro i narcos che hanno trasformato il paese in un’autostrada della cocaina mentre le bande – sia all’interno che all’esterno del debole e sovraffollato sistema carcerario – si contendono le rotte del traffico di droga, con il sostegno dei potenti cartelli messicani. Col risultato che gli equadoregni, una popolazione di soli 17 milioni, sono oggi la seconda nazionalità più diffusa tra i migranti al confine sud-occidentale degli Stati Uniti in cerca di asilo.

Il commento. Di Michele Bertelli, giornalista e analista ISPI

“Questa mattina l’Ecuador si è risvegliato in uno stato di spettrale attesa. La dichiarazione di conflitto interno precipita il paese in stato di guerra. Una situazione inedita, che l’Ecuador non vive dal 1995, quando si scontrò con il Perù nella guerra di Cenepa. L’esercito potrà, d’ora in avanti, condurre le operazioni necessarie a colpire i 22 gruppi classificati come terroristi. Il governo ha da subito garantito che il coinvolgimento militare dovrà avvenire sotto il rispetto dei diritti umani, ma è difficile prevedere cosa succederà nelle prossime settimane. Esperti di sicurezza come Luís Córdova Alarcón hanno però sottolineato fin dalle elezioni che la sfida per il giovane presidente Daniel Noboa era e rimane triplice: deve abbattere la violenza nelle strade, ma deve anche combattere la corruzione e il riciclaggio di denaro sporco, e garantire maggiori opportunità economiche ai quasi due milioni di persone che vivono in povertà estrema e che sono facile preda per il reclutamento dei gruppi criminali. Dopo essere stato per anni un’isola felice nel contesto latino-americano, oggi il paese si trova ad affrontare una sfida comune a tutto il continente”.

(Fonte: ISPI; Foto: L'Osseravtore Romano)