L'ANALISI / L’attentato a Trump è solo la punta dell’iceberg
L'attentato a Donald Trump si aggiunge ai numerosi segnali che mostrano come la polarizzazione e la violenza politica negli Stati Uniti siano ormai fuori controllo. Sull'argomento, l'analisi di Mario del Pero per l'ISPI.
Colpisce, ma non può sorprendere questo attentato a Donald Trump. Perché i pozzi del confronto politico e della democrazia statunitense sono avvelenati da tempo, come tutti i più banali indicatori di polarizzazione – a partire da quelli elettorali – ben evidenziano. E perché tra questo veleno – che contamina da tempo la normale dialettica politica e ne delegittima attori e istituzioni – e la violenza vi è un’interdipendenza strettissima. I dati prodotti in abbondanza da FBI e Dipartimento della Homeland Security lo evidenziano. Gli atti di terrorismo Interno – Domestic Terrorism – e violenza politica sono aumentati esponenzialmente negli ultimi quindici anni, colpendo figure politiche di rilievo (la deputata democratica dell’Arizona Gabby Giffords nel 2011, quello repubblicano della Louisiana Steve Scalise nel 2017, il marito dell’allora Speaker della Camera Nancy Pelosi nel 2022) e provocando alcune terribili stragi, come quelle della Emanuel African Methodist Episcopal Church di Charleston nel 2015, della Sinagoga di Pittsburgh del 2018 e tante altre. Una percentuale maggioritaria di attentati è stata ispirata da odio razziale o etnico, anche se sono vieppiù aumentate le azioni terroristiche contro istituzioni federali e suoi rappresentanti.
La violenza è stata storicamente una delle variabili cruciali nella parabola della democrazia statunitense, aumentando d’intensità nei suoi momenti di crisi provocati da conflitti sociali, razziali e politici. La polarizzazione contemporanea, la contestazione di élite e istituzioni, la delegittimazione della politica hanno creato un terreno di coltura ideale per questa violenza politica. Che sabato notte è stata dispiegata contro la figura politica che forse più ha incarnato, sussunto ed esasperato questa polarizzazione e il contestuale degrado del dibattito pubblico e del confronto politico. Ora Trump promette di abbassare i toni, di offrire un messaggio moderato e inclusivo a un paese fratturato e diviso. È auspicabile che sia davvero così, dopo anni in cui la sua violenza verbale è stata dispiegata senza sosta e con grande grettezza contro qualsiasi avversario politico gli si parasse di fronte. E dopo essersi reso protagonista, nei due mesi successivi al voto del 2020, di un tentativo di eversione dell’ordine costituzionale, cercando d’impedire la validazione del risultato elettorale e la pacifica transizione di poteri. Tentativo, questo, culminato in una delle giornate più buie della democrazia americana, con l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021.
I democratici non sono esenti da colpe, ci mancherebbe. La polarizzazione consegue a (e acuisce) processi di delegittimazione reciproca tra i due partiti, che li trasformano – agli occhi gli uni degli altri – in nemici esistenziali e non in semplici avversari politici, con tutte le inevitabili conseguenze in termini di efficienza governativa e qualità della discussione politica. E però, gli indicatori di polarizzazione – a partire da quelli legati alle scelte di voto al Congresso – mostrano come essa sia stata più marcata a destra, conseguenza anche di una maggiore omogeneità demografica e ideologica dei repubblicani rispetto ai democratici.
Il tentato assassinio di Trump ci consegna infine un’immagine straordinariamente potente. Destinata a farsi ben presto ‘iconica’, per usare uno degli aggettivi più abusati della nostra epoca: quella dell’ex Presidente con il volto insanguinato che allontana gli agenti del servizio di sicurezza, espone il proprio corpo ad altri potenziali colpi e – pugno in aria e bandiera sventolante sulla sfondo – arringa il suo popolo invitandolo a “combattere” (Fight). Popolo che gli risponde immediatamente con un rabbioso e patriottico “U.S.A. ! U.S.A!”. E l’immagine marziale e virile che forse Trump ha sempre sognato di poter dare di sé: quello della vittima – della giustizia, dello stato profondo, delle élite, della politica corrotta; e quella di un combattente e martire che non si piega, che lotta in nome e per conto di un popolo anch’esso tradito e con il quale il leader carismatico riesce a costruire un rapporto diretto e non mediato. Un’immagine, si diceva, potentissima. Ancor più in questo ciclo elettorale, dove può essere contrapposta con grande efficacia alla caduca e anziana fragilità di Joe Biden. Offrendo una risorsa aggiuntiva a Trump e ai repubblicani e mettendo ancor più in un angolo Biden e i democratici.
[Questo articolo di Mario Del Pero è stato pubblicato sul sito dell'ISPI, al quale rimandiamo; Photo Credits: Wired Italia]