Papa Francesco e quella frase sul voto in Argentina. La voce sul primo viaggio a Buenos Aires: "Se vince lui, parte"

Condividi l'articolo sui canali social

Tra il candidato di estrema destra Javier Milei e Bergoglio non scorre buon sangue da tempo: ecco perché il ballottaggio di domenica potrebbe così essere rilevante per il Vaticano. Il punto di Open e Ispi.

Papa Francesco potrebbe avere un candidato preferito per le elezioni presidenziali in Argentina, il cui ballottaggio si terrà domani, domenica 19 novembre. In un’intervista rilasciata a ottobre a Telam, l’agenzia di stampa nazionale argentina – come ricorda la radio Rcf e come riporta la testata online Open –, il Pontefice ha messo in guardia dai «pericoli dei clown messianici». Un riferimento che pare alludere al candidato populista di estrema destra Javier Milei, che a sua volta non ha fatto segreto della sua antipatia nei confronti del pontefice. Lo stesso Milei, infatti, ha più volte criticato il Pontefice accusandolo di «essere il Male», di «promuovere il comunismo» e di rappresentare una «minaccia per i rapporti con il Vaticano». Ma non sembra essere particolarmente diverso il rapporto tra il Papa e l’avversario di Milei, il candidato peronista Sergio Massa. Quest’ultimo, infatti – riporta Rfc –, «quando era capo di gabinetto dell’ex presidente Nestor Kirchner, che all’epoca non andava d’accordo con il cardinale Bergoglio, non favorì i loro rapporti e il Papa non lo ha dimenticato».

I dubbi sul viaggio in Argentina

Ma potrebbe comunque rappresentare il male minore per Bergoglio. Papa Francesco, infatti, non ha mai nascosto le sue simpatie per il movimento peronista, nato nel ’45 con il primo governo del generale Juan Domingo Perón. Tutto questo si inserisce nella cornice del viaggio che il Papa vorrebbe fare – per la prima volta a 10 anni dalla sua elezione – nella sua terra natia in Argentina. Viaggio che inizialmente era previsto per il 2017, ma poi rinviato per altre tappe prioritarie. E che ora potrebbe svolgersi nel 2024. In un’altra intervista passata, Bergoglio aveva precisato di non voler essere associato ad alcuna parte politica del suo Paese perché «sono dieci anni che sono fuori e non ho il polso di quanto accade in Argentina». Non è escluso, però, che la probabilità che questo viaggio possa dipendere anche da chi sarà il vincitore delle elezioni di domenica, anche se lo stesso Pontefice continua a ripetere che la visita al Paese natale non è legata in alcun modo ai risultati elettorali. «È un elemento che peserà nelle elezioni», dichiara invece il gesuita argentino Pierre de Charentenay all’emittente Rfc. «Per gli argentini il Papa è un uomo straordinario. Non è venuto per 10 anni perché temeva che avrebbe sconvolto la scena politica nazionale. Ma se domenica Sergio Massa verrà eletto, è probabile che il viaggio si farà», chiosa.

La resa dei conti nel Paese del Papa

Intanto, è l'Ispi, Istituto per gli Studi di politica internazionale, a dare un quadro di un’Argentina che va al ballottaggio tra mille incognite, il rischio default e una crisi che non è come le altre. Domenica alle urne in Argentina si affrontano due visioni diametralmente opposte per il futuro del paese, mentre i toni della campagna elettorale, sempre più accesi in vista del ballottaggio, sono sfociati in veri e propri insulti nell’ultimo dibattito tra i due aspiranti alla presidenza. Il ministro dell'Economia Sergio Massa e il leader ‘libertario’ Javier Milei si sono dati del “ladro” e dello “squilibrato mentale” a vicenda, in un faccia a faccia senza esclusione di colpi. Per entrambi l’obiettivo è accaparrarsi i voti degli elettori indecisi tra due proposte molto diverse, soprattutto in materia di politica socio-economica e internazionale. Da un lato quella di Milei, alfiere della lotta alla corruzione e ultraliberista, che promette tagli al bilancio dello Stato con la cancellazione di tutti gli aiuti sociali, la soppressione dei ministeri della Sanità, dell'Istruzione, dello Sviluppo sociale e popone la dollarizzazione dell’economia, e dall’altro il ‘cambiamento nella continuità’ di Sergio Massa, attuale ministro dell’Economia e candidato del peronismo - che ha governato il paese quasi interrottamente negli ultimi 20 anni - che promette di affrontare le sfide del futuro coinvolgendo in un governo di unità nazionale tutte le migliori menti del paese. “Sarà una lotta all’ultimo voto ed è difficile davvero fare previsioni per l’elezione più incerta della storia recente dell’Argentina” osserva il giornalista e analista politico Emiliano Guanella, secondo cui nell’attuale scenario di sostanziale pareggio tecnico, a decidere l’esito del voto sarà proprio “un discreto numero di elettori indecisi, molti dei quali non sanno nemmeno se alla fine si recheranno o no alle urne”.

Voto all'ombra del default?

Le crisi economiche non sono una novità per l’Argentina. Il paese ha già attraversato in passato default, negoziato prestiti con il Fondo monetario internazionale e imposto nazionalizzazioni. Negli ultimi 20 anni il suo Pil pro-capite è cresciuto meno di quello dei paesi confinanti. Oggi, quello chiamato a scegliere il nuovo inquilino della Casa Rosada può a buon diritto definirsi un paese allo sbando, con un debito fuori controllo, un’inflazione che supera il 140%, povertà diffusa e una moneta – il peso – in caduta libera.  Quest’anno poi, la situazione economica è peggiorata molto, sia per politiche economiche sbagliate, che per gli effetti della siccità che ha ridotto la produzione agricola a uno dei livelli più bassi degli ultimi cento anni, con effetti negativi per la crescita e un calo del 25% nelle esportazioni. Uno scenario che non prevede ricette ‘magiche’ e che, comunque vadano le elezioni, è fonte di grande preoccupazione per il futuro. La “dollarizzazione” auspicata da Milei è fortemente contestata dagli economisti che parlano di “miraggio” dagli enormi costi sociali. D’altro canto. neanche la ‘road map’ di Massa - fatta di aggiustamenti graduali da concordare con il Fondo monetario internazionale (Fmi)- prevede una rapida uscita del paese dalla spirale inflattiva.

Un paese diviso?

Se l’incertezza economica argentina ha radici profonde, l’attuale crisi è diversa dalle precedenti. Non si tratta solo dell’ennesimo capitolo di una lunga saga, ma si affianca al progressivo sfaldamento della politica. È una novità assoluta per un paese che, nonostante tutto, era abituato alla stabilità. L’acuirsi della polarizzazione tra peronisti e antiperonisti - che aveva portato un anno fa al fallito attentato a Cristina Fernandez de Kirchner, ex presidente e vicepresidente nonché donna più potente dell’Argentina - ha di fatto aperto la porta all’ingresso di Milei, candidato antisistema che ha rivoluzionato i tradizionali schemi della politica argentina. Lo hanno definito il Trump o Bolsonaro argentino per la sua capigliatura folta, le invettive contro gli avversari e il fatto si dichiararsi un ‘outsider’ in evidente contrapposizione con una classe dirigente che definisce ‘casta’ e che sarebbe all’origine della rovina del paese. Resta il fatto che il nuovo capo dello stato – sia che Milei venga eletto sia che vinca Massa - si troverà a gestire un paese fortemente indebitato sull’orlo del default e privo di riserve di valuta estera. Il grado di incertezza è enorme – concordano gli esperti - e senza una vera guida la distorsione sarà persino maggiore.

Battaglia finale?

Né Massa né Milei si presentano al ballottaggio con un vantaggio forte. Al primo turno il candidato peronista ha ottenuto il 37% mentre Milei il 30%, anche se da allora ha ottenuto il sostegno del blocco conservatore, che potrebbe spingerlo fino al 50% dei voti necessari alla vittoria. Anche i sondaggi sono divisi, con alcune rilevazioni che danno la coppia testa a testa e altri favorevoli a turno all’uno e all’altro. Il nuovo Congresso, eletto in ottobre, sarà altamente frammentato e privo di una maggioranza assoluta, il che significa che chi vincerà dovrà ottenere il sostegno di altre forze politiche per far avanzare l’agenda legislativa. Questo metterebbe un freno alle riforme più radicali, costringendo Massa o Milei alla moderazione, ma un elettorato diviso avverte Benjamin Gedan, direttore del Programma per l'America Latina del Wilson Center, aumenta anche la possibilità di disordini sociali. Dalla suaMilei, a seggi ancora chiusi, già soffia sul fuoco, accusando le autorità di brogli, e lasciando presagire possibili tensioni in caso di sconfitta.Ma le cose potrebbero degenerare comunque - indipendentemente da chi vincerà domenica - se il nuovo presidente non riuscirà a migliorare rapidamente le cose. “Per ora, gli argentini mantengono la calma, aggrappandosi alla debole speranza che il prossimo governo trovi una soluzione ai profondi problemi del paese - osserva Gedan - Ma la loro pazienza non durerà a lungo”.

Il commento di Gilberto Bonalumi, ISPI Senior Advisor

“Quello che si decide in questo cruciale ballottaggio è l’accettazione o il rifiuto di un modello democratico basato sulle intermediazioni sociali e i diritti umani o populista-autoritario che vuole imporre idee magiche e reprimere ogni forma di dissidenza. Occorre restituire alla politica il necessario primato, da tempo ostaggio di un assolutismo economicistico esclusivamente inteso come crescita finanziaria”.

(Fonti: Open e Ispi)