Riapre il museo ebraico di Washington: “non permetteremo all’odio di zittirci”

Una settimana dopo l’attentato costato la vita a Yaron Lischinsky e Sarah Milgrim, il Capital Jewish Museum di Washington D.C. ha riaperto le porte con una cerimonia sobria ma carica di significato. Circa cento persone si sono radunate per rendere omaggio alle vittime e riaffermare l’impegno della comunità contro l’antisemitismo.
«Abbiamo lottato con una profonda tristezza e cercato un senso di fronte a una violenza così sconsiderata», ha affermato Chris Wolf, presidente del consiglio di amministrazione del museo. «Questa riapertura è un atto di resilienza. Non permetteremo all’odio di zittire le nostre voci».
I presenti – riferisce Moked/Pagine Ebraiche – hanno visitato la nuova mostra dedicata agli ebrei LGBTQ della capitale, la prima nel suo genere a intrecciare storia ebraica e queer nella città. «Un progetto che costruisce ponti e riflette lo spirito stesso di questa giornata», ha sottolineato Wolf.
La sindaca di Washington, Muriel Bowser ha ribadito il proprio sostegno alla comunità: «Non spetta alla comunità ebraica chiedere sostegno. Spetta a tutti noi denunciare l’antisemitismo in tutte le sue forme», ha affermato. «Luoghi come questo museo vanno sostenuti, oggi più che mai».
Tra i leader religiosi intervenuti, l’imam Talib Shareef ha parlato della sacralità della vita e della necessità di respingere ogni forma di violenza. «L’enorme valore e la sacralità della vita umana dovrebbero essere sufficienti a impedire atti di violenza crudeli, insensati e disumani», ha affermato. «Qualsiasi persona, per quanto disperata, non ha alcuna giustificazione per trasformare esseri umani indifesi in bersagli del proprio odio e della propria rabbia».
Durante la cerimonia, è emersa l’indignazione della comunità ebraica per il tentativo, da parte di alcuni, di ridurre l’attacco dell’attentatore Elias Rodriguez, compiuto al grido di «Palestina libera», a un semplice gesto politico. Sue Stolov, presidente dell’American Jewish Committee di Washington, ha respinto questa lettura: «I giovani presenti sono stati presi di mira perché partecipavano a un evento ebraico, o perché erano ebrei, o perché erano percepiti come tali». E ha sottolineato: «Non possiamo separare questa violenza dalla retorica che alimenta l’odio. È questo che significa ‘globalizzare l’intifada’».
Ha ricordato Sarah Milgrim anche Joshua Maxey, direttore della sinagoga LGBTQ Bet Mishpachah e amico personale della vittima: «Era una persona speciale, il cui sorriso illuminava la stanza», ha detto. «Si era data la missione di garantire che le voci LGBTQ fossero ascoltate e celebrate all’interno della nostra comunità. Il suo impegno era radicato nei suoi valori e nella sua incrollabile fede nella dignità di tutti».
[Fonte e Foto: Moked/Pagine Ebraiche]