India: ad Ayodhya apre il tempio indù, ma la moschea resta lontana

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Il governo dell'Uttar Pradesh ha assegnato un terreno a 25 chilometri di distanza dalla città per la costruzione dell'edificio islamico richiesto dalla Corte suprema con la sentenza che ha concluso la disputa sul luogo conteso. Il progetto esiste però solo sulla carta e la comunità musulmana locale è diffidente nei confronti dell'ente statale che si occupa della raccolta fondi. Ne riferisce AsiaNews.

Mentre il primo ministro indiano Narendra Modi ieri si apprestava a inaugurare il grandioso tempio indù dedicato a Rama, la comunità musulmana ha annunciato la data di inizio dei lavori per la moschea che sorgerà a 25 chilometri di distanza dal centro della città di Ayodhya, come previsto da una sentenza della Corte suprema indiana che tra il 2019 e il 2020 aveva tentato di risolvere le tensioni tra le due comunità religiose, assegnando il sito conteso agli indù e altri cinque acri nel vicino villaggio di Dhannipur ai musulmani.

Haji Arfat Shaikh, presidente della Fondazione culturale indo-islamica (IICF), il comitato creato appositamente per lo sviluppo del progetto, ha annunciato che la costruzione della moschea inizierà a maggio, dopo il mese sacro di Ramadan (chiamato Ramzan in India), aggiungendo che i lavori saranno completati in 3-4 anni. 

La precedente moschea di Babri, risalente al XVI secolo, era stata distrutta dal 1992 da un gruppo di fanatici indù, che sostenevano che l’edificio sorgesse sul luogo di nascita del dio Rama. Le rivolte seguite all’episodio avevano poi provocato la morte di circa duemila persone, la maggior parte delle quali musulmane. Solo l’intervento del più alto tribunale indiano è riuscito a stemperare le tensioni, ma, mentre la costruzione del Ram Mandir è proceduta a passo spedito e l’inaugurazione di ieri è stata un evento nazionale che ha cosacarato non solo il tempio, ma anche la figura di Modi come guida politico-spirituale delle comunità indù secondo gli osservatori, il progetto di costruzione della moschea esiste solo sulla carta. 

In realtà nemmeno, perché il design finale verrà ultimato entro la fine di febbraio. Tuttavia le anticipazioni rivelate finora prefigurano una costruzione grandiosa: sarà “migliore del Taj Mahal” e ospiterà il “Corano più grande del mondo che misurerà circa 21 piedi” (quasi 6,5 metri), ha spiegato Haji Arfat Shaikh. Sarà inoltre la prima moschea in India ad avere cinque minareti e le chiamate alla preghiera saranno accompagnate da uno spettacolo di acqua e luci. Prima di essere posta sul sito di costruzione, una pietra con incisi alcuni versetti del Corano viaggerà fino a Medina, in Arabia Saudita, e attraverserà poi tutte le più importanti dargah (tombe di santi musulmani) dell’India, ha proseguito Shaikh, che oltre a essere a capo dell’IICF è anche un leader del partito ultranazionalista al governo, il Bharatiya Janata Party (BJP). Shaikh si è inoltre opposto al nome inizialmente scelto per la moschea, dedicata alla città di Ayodhya, cambiandolo in Muhammad bin Abdullah, il nome del Profeta. 

Ma il compito principale della Fondazione sarà avviare la raccolta fondi per la realizzazione del progetto: a differenza della campagna lanciata per il tempio di Rama, l’IICF non andrà a chiedere finanziamenti porta a porta, ma svilupperà un sito web tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo per favorire le donazioni online, ha annunciato ancora Shaikh.

La comunità musulmana locale ha espresso diversi dubbi a riguardo: se finora non sono stati raccolti sufficienti fondi è perché persistono ansie e preoccupazioni per il futuro del progetto, ma anche per la differente condizione economica dei musulmani. In più, alcune persone a conoscenza della materia, hanno citato i ritardi della burocrazia indiana: “Sono trascorsi più di quattro anni dall’ordinanza del tribunale e gli sforzi sono stati costantemente ostacolati da ritardi amministrativi. Pur riconoscendo che non possiamo competere con la costruzione del tempio di Rama, le sfide che affrontiamo ora non erano state previste”, ha detto alla testata Frontline un membro del Consiglio sunnita Waqf, l’ente statale che sovrintende tutte le attività di beneficenza islamiche e che ha creato l’IIFC per la realizzazione della moschea. A maggio dello scorso anno l’IICF aveva intenzione di chiedere al governo dell’Uttar Pradesh uno sconto sulle tasse da versare all’Ayodhya Development Authority per avere l’approvazione del progetto. 

La gente del posto spera che, nonostante le revisioni proposte da Shaikh rispetto al design originale (rivisto perché considerato troppo moderno) nel progetto finale verrà mantenuta l’idea di costruire all’interno complesso della moschea un ospedale. A Dhannipur e nel vicino villaggio di Raunahi, infatti, non esistono centri sanitari o scuole statali e l’ospedale più vicino è a circa 40 minuti di distanza. Altri, nonostante abbiano accettato il verdetto della Corte suprema, continuano a essere diffidenti e a non vedere benefici nella costruzione della moschea: “Il Consiglio Waqf, a cui è stata assegnata la terra, è un organo del governo statale. Qualsiasi interesse per la costruzione della nuova moschea di Ayodhya turberà gli elettori indù. Da qui l’apatia”, ha spiegato Khaliq Ahmad Khan, un anziano locale. Anche i lavoratori giornalieri che abitano nei due villaggi hanno segnalato un aumento dei prezzi degli immobili, ma hanno detto di non aver ricevuto benefici: “Mentre un fiume di sviluppo scorre ad Ayodhya, perché non a Dhannipur?”, ha chiesto Raja, un residente locale di 22 anni.

(Fonte e Foto: AsiaNews)