India: il giorno di Ayodhya. Il vescovo di Lucknow, "ispiri fratellanza, non scontro politico"
Le parole del premier Modi alla consacrazione del Ram Mandir, il nuovo tempio simbolo dell'India nel luogo conteso con i musulmani: "Ram è finalmente tornato, l'inizio di una nuova era". Mons. Mathias: "Si realizzi il sogno di Gandhi che nel nome di questa divinità voleva una coesistenza pacifica". Proprio ieri ricorrevano i 25 anni dall'uccisione del pastore Staines, arso vivo con i due figli in uno degli atti più brutali di violenza religiosa della storia recente del Paese. ne parla Nirmala Carvalho su AsiaNews.
“La consacrazione e l'inaugurazione del Tempio di Ram ad Ayodhya è motivo di gioia per milioni di suoi devoti. Desidero e prego che questa cerimonia e l'inaugurazione servano a promuovere anche il Ram Rajya, il Regno di Dio, che il mahatma Gandhi sognava per il nostro amato Paese, caratterizzato dai valori divini e umani di giustizia, pace, amore, fratellanza, tolleranza e armonia religiosa”.
Mons. Gerald Mathias, vescovo di Lucknow, la grande città dell’Uttar Pradesh, commenta così ad AsiaNews la giornata che l’India ha vissuto ieri con la consacrazione ad Ayodhya del Ram Mandir, il monumentale tempio voluto dai nazionalisti nel luogo dove secondo la tradizione indù sarebbe nato il dio Ram. La solenne cerimonia che rappresenta un trionfo personale per il premier Modi arriva al termine della lunga controversia con i musulmani che in questo stesso luogo avevano la moschea di Babri, rasa al suolo dai fondamentalisti indù nel 1992 in un episodio che innescò una spirale di violenza interreligiosa costata all’India migliaia di morti.
Il tempio indù è stato costruito dopo che - al termine di una lunga battaglia giudiziaria conclusasi nel 2019 - la Corte suprema ha assegnato il sito agli indù, prevedendo tuttavia anche la costruzione di una moschea in un'altra porzione vicina di territorio. Un’opera in grande stile: il Ram Mandir per dimensioni diventa da ieri il più grande luogo di culto indù in India e il terzo al mondo dopo il complesso di Angkor Wat in Cambogia e lo Swaminarayan Mandir nel New Jersey. È stato progettato per accogliere contemporaneamente fino a un milione di devoti, con l’ambizione di superare per numero di visitatori la somma di quelli che si recano ogni anno in Vaticano e alla Mecca. Scultori e artigiani da ogni parte dell’India sono stati chiamati a contribuire alla sua realizzazione.
Il primo ministro Modi - che per sottolineare la solennità del momento aveva annunciato di essersi preparato con 11 giorni di digiuno - ha tenuto un discorso dai toni molto enfatici. “Il nostro Ram è finalmente arrivato dopo un'attesa di secoli - ha detto -. Dopo la pazienza che abbiamo dimostrato per secoli e i sacrifici che abbiamo fatto, il nostro Signore Ram è finalmente arrivato. Il 22 gennaio 2024 non è solo una data, ma l'inizio di una nuova era. La costruzione del Ram Mandir ha riempito la gente di una nuova energia", ha aggiunto sostenendo che l’India “si è liberata dalle catene della schiavitù, grazie alla suprema benedizione di Ram”.
Proprio ai pericoli della politicizzazione della religione invita a guardare il vescovo di Lucknow. “L’inaugurazione del Ram Mandir - commenta - non dovrebbe polarizzare le persone, ma unirle come fratelli e sorelle. Purtroppo, però, i politici hanno approfittato della questione del tempio e sono in prima linea mentre gli Shankaracharya, i saggi della tradizione indù, sono rimasti indietro. Si cerca di trarre vantaggio politico da questa situazione”. “Il premier Modi – aggiunge il presule - ha dichiarato: che la costruzione del Tempio di Ram è uno strumento per unire il Paese. Che questo sogno si realizzi davvero e che tutti lavorino per la sua realizzazione attraverso una coesistenza pacifica”.
Mons. Mathias ricorda anche che ad Ayodhya esiste anche una chiesa “e le suore Canossiane hanno una grande scuola non molto lontano dal tempio. Sono sicuro – conclude - che continueranno a servire la gente senza alcuna interferenza e saranno un esempio per tutti di tolleranza religiosa, armonia e pace”.
Un monito a non fare di Ayodhya un’occasione per seguire ulteriormente la strada del fondamentalismo viene anche da una singolare coincidenza, ricordata sul sito cattolico indiano MattersIndia dal gesuita padre M. K. George: proprio ieri ricorrevano anche i 25 anni della barbara uccisione in Orissa del pastore evangelico australiano Graham Staines, arso vivo insieme ai due figli il 22 gennaio 1999 in uno dei più efferati eccidi operati dai fanatici indù nella storia recente dell’India. Accostando i due eventi padre George cita alcuni versi di Tagore: “’Non c'è nessun Dio nel tempio’, dice il santo. Il re, adirato, ribatte: ‘Non c'è nessun Dio! Oh! Santo, parli come un ateo. L'idolo di pietra fatto con gemme rare, seduto sul trono d'oro, è uno spazio vuoto?’. ‘Non è vuoto, è pieno di arroganza regale’, dice il santo. ‘Hai installato te stesso, non il padrone del mondo’”. Aggiungendo: “Il 22 gennaio diventi il giorno di un esame di coscienza per tutti i cittadini e i credenti dell'India”.
(Fonte: AsiaNews - Nirmala Carvalho; Foto: Catholic Diocese of Lucknow)