India: vittoria amara per Modi
Il premier indiano ottiene un terzo mandato ma con una maggioranza molto più risicata del previsto. L’opposizione: “Sconfitta morale e politica”. Questo il focus di Alessia De Luca per l'ISPI.
La coalizione guidata dal Bharatiya Janata Party (BJP) di Narendra Modi vince le elezioni indiane, le ‘più grandi del mondo’, ma, contrariamente alle attese, non stravince. A conteggio quasi ultimato, la tendenza è più che evidente: contraddicendo le previsioni della vigilia, il BJP perde seggi rispetto al 2019 e avrà bisogno degli alleati per raggiungere la maggioranza di 272 seggi necessari a governare. Al contrario, l’alleanza dei partiti di opposizione, riuniti nella piattaforma INDIA, con l’obiettivo di sconfiggere il premier nazionalista al potere dal 2014, supera di gran lunga le aspettative, conquistando complessivamente 234 seggi. Per il panorama politico indiano dell’ultimo decennio non è niente di meno che un terremoto. Da quando è stato eletto, dieci anni fa, Modi e il BJP hanno goduto di un forte sostegno popolare mentre l’opposizione – in particolare il partito del Congresso – appariva debole, divisa e incapace di resistere. Oggi il quadro del paese che esce dalle urne appare molto diverso: l’opposizione, rafforzata dalle ottime prestazioni dei partiti regionali, può definirsi il vero exploit della tornata, mentre il BJP pur vincendo fa la conta dei danni. Modi ottiene il sostegno di due partiti regionali grazie ai quali sarà nuovamente premier per un terzo mandato, ma ora il suo ruolo appare molto più contendibile di quanto lo sia mai stato in passato. “Gli elettori hanno punito la protervia del BJP” ha detto il leader del partito del Congresso, Rahul Ghandi, sottolineando che questa vittoria equivale a una “sconfitta politica e morale”.
Uttar Pradesh: il calice più amaro?
Tra le maggiori sorprese che le urne hanno riservato al BJP la più grande riguarda senz’altro l’Uttar Pradesh, roccaforte del movimento che lo governa dal 2017. Con oltre 240 milioni di abitanti, l’Uttar Pradesh è lo stato più popoloso dell’India ed è considerato un indicatore per il resto del paese, il cui peso politico specifico è determinante per la politica nazionale. Qui il partito di maggioranza – che prevedeva una vittoria schiacciante – sta facendo fatica ad assicurarsi la metà degli 80 seggi in palio. La cosa più singolare è che il BJP appare in svantaggio nel collegio elettorale di Faizabad che ospita il Tempio di Ram ad Ayodhya che Modi ha consacrato a gennaio. Il tempio, costruito sulle rovine della moschea Babri demolita da una folla nazionalista hindu nel 1992, è stato il fulcro della campagna del premier. A sbaragliare il BJP nello stato è ancora una volta la coalizione INDIA, in particolare il Samajwadi party (SP), e il Congresso di Rahul Gandhi. “Stavolta il Congress ha saputo costruire Indian National Developmental Inclusive Alliance: un nome respingente, probabilmente incomprensibile per 900 milioni di elettori. Ma attraente nel suo acronimo: I.N.D.I.A. Come se questa volta le opposizioni rappresentassero la vera India – osserva Ugo Tramballi in questo articolo – Presentando finalmente una plausibile opposizione nazionale, il Congress e gli alleati hanno dimostrato che le ambizioni di Narendra Modi sono quanto meno contenibili”.
Modi ha fallito il referendum?
Molti indiani si aspettavano una netta vittoria di Modi in un’elezione presentata un po’ come un referendum sul suo decennio in carica e al termine di una campagna incentrata sul culto della personalità del 73enne primo ministro. I funzionari governativi avevano sbandierato un ambizioso programma di riforme e ventilato l’ipotesi di cambiare la Costituzione. L’India è stata una delle economie in più rapida crescita al mondo dalla fine della pandemia di Covid – nel 2023 il suo PIL è cresciuto del 7,6% – e il primo ministro aveva espresso l’intenzione di fare del paese la terza economia più grande al mondo (attualmente è la quinta) entro il 2047, centenario dell’indipendenza. Invece la crescente disoccupazione, soprattutto tra i giovani, l’inflazione e l’aumento delle disuguaglianze tra le fasce più povere e i miliardari ‘super-ricchi’ come i clan Ambani e Adani vicino a Modi, hanno spinto gli elettori lontano dal BJP. Secondo un recente rapporto del World Inequality Lab, l’1% più ricco dell’India possiede più del 40% della sua ricchezza. Il rapporto ha rilevato che la concentrazione della ricchezza ai vertici è cresciuta come mai prima d’ora negli ultimi dieci anni, e che l’India oggi è più disuguale di quanto non lo fosse durante il dominio coloniale britannico.
Un buon giorno per la democrazia?
In parte, le ragioni di una vittoria meno ampia del previsto sono da imputare allo stesso partito di maggioranza. La campagna elettorale del BJP anziché mettere in luce i risultati del governo, tra cui il miglioramento delle infrastrutture, l’introduzione di politiche favorevoli alle imprese o il miglioramento della sua immagine internazionale, si è spesso concentrata su polemiche relative a divisioni religiose e di casta. Come un recente discorso in cui il premier ha dichiarato che i partiti rivali avrebbero ridistribuito la ricchezza dei cittadini indù ai musulmani riferendosi a questi ultimi come a “infiltrati”. Alcuni osservatori hanno definito questa retorica come ‘islamofoba’ e messo in guardia i musulmani indiani che si sono recati in massa alle urne per contrastare l’ascesa del BJP. Se a conteggio ultimato per Modisi spalancheranno comunque le porte per un terzo mandato, mai ottenuto da nessun altro leader indiano dai tempi di Jawaharlal Nehru, il premier e il suo suprematismo induista escono dal voto indeboliti. Da domani dovranno affrontare un’opposizione più forte e compatta. E per la prima volta in dieci anni, appaiono vulnerabili.
Il commento di Nicola Missaglia, Responsabile Comunicazione e India Desk ISPI
"Modi non ha ottenuto il plebiscito in cui sperava, e questo significa che per governare il BJP dovrà contare anche sugli alleati minori. È auspicabile che questo risultato stimoli il nuovo governo a dare la massima priorità alle enormi sfide economiche e sociali che l’India deve affrontare, dalla creazione di milioni di posti di lavoro alla riduzione delle disuguaglianze. Continuare a condizionare e comprimere l’assetto secolare, pluralista e federale del paese non ha pagato. Ed è un bene, perché fin dall’indipendenza è stato proprio questo assetto a garantirne la continuità democratica e la stabilità politica, e dunque economica, nonostante la povertà diffusa, le disparità socioeconomiche, le spinte centrifughe e la radicale diversità culturale e religiosa che la caratterizzano. Oltre alle credenziali democratiche che fanno oggi dell’India anche per noi un interlocutore fondamentale e privilegiato, gli indiani non hanno dimenticato che in queste elezioni si giocavano anche l’avvenire economico e le ambizioni globali del paese".
[Questo articolo di Alessia De Luca è stato pubblicato sul sito dell'ISPI, al quale rimandiamo; Photo Credits: Facebook/Narendra Modi]