Jihad nazionale al potere: le dinamiche interne dell’Emirato in Afghanistan

L’emiro è riuscito a imporre il proprio controllo sui ministeri e su gran parte delle forze armate dell’Emirato, ma il governo rimane a interim, senza un assetto istituzionale definito, un elemento di debolezza. L’analisi per l’ISPI di Antonio Giustozzi, Senior Research Fellow, RUSI.
Il Ferragosto del 2025 è stato il quarto compleanno del secondo emirato. Per i Taliban essere rimasti al potere quattro anni nonostante sfide multiple si può senz’altro considerare un successo, ma non deve sfuggire il fatto che il loro rimane un governo ad interim, come hanno sempre detto loro stessi. I Taliban non hanno mai definito dei nuovi assetti istituzionali, né chiarito su quale apparato legale si basi il loro governo, eccetto che per la preminenza della legge islamica. Inizialmente, il governo ad interim era inteso come un ponte verso un governo a base allargata, che avrebbe incorporato elementi esterni ai Taliban. A parte alcune figure minori, questo allargamento non solo non è avvenuto, ma non viene nemmeno più discusso. Perché dunque i Taliban non riescono ad andare oltre questo governo ad interim?
Come accade spesso a movimenti che arrivano al potere dopo una rivoluzione o dopo una guerra civile, la definizione degli assetti post-bellici è stata molto problematica per i Taliban. Da un lato ci sono rivalità personali, accentuate dal fatto che l’Amir, Haibatullah Akhund, ha sempre avuto una legittimità debole a causa del modo in cui è arrivato all’apice dell’organizzazione nel 2016, essendo stato selezionato da una coorte ristretta di 200 grandi elettori, senza ampia consultazione. Alcuni suoi colleghi non hanno mai nascosto di aspirare a sostituirlo, anche a causa delle voci sul suo stato di salute dal 2020 in poi. D’altro canto, i Taliban nel corso della lunga guerra di jihad del 2001-21 hanno allargato la propria base ed hanno assunto sempre di più il carattere di una coalizione tra gruppi non omogenei etnicamente, ideologicamente e anche dal punto di vista tribale. Semplificando, possiamo individuare tre correnti principali all’interno dei Taliban.
La prima, quella inizialmente predominante, si potrebbe definire “tradizionalista” e deriva direttamente dalle tendenze monarchiste di una parte dei movimenti antisovietici degli anni ’80. Essenzialmente questo gruppo, perlopiù originario del sud, aspira a ristabilire il sistema monarchico, ma senza re e senza contaminazioni “moderniste”. L’Amir, per loro, dovrebbe svolgere un ruolo simile a quello giocato dal re al tempo di Zahir Shah, ovvero senza coinvolgimento diretto nella gestione della macchina statale.
La seconda, che potremmo definire “clericale”, è dominata da ulema deobandi ed include lo stesso Amir, Haibatullah. Questa tendenza vuole un Amir che concentra il potere nelle sue mani ed un ruolo fondamentale per gli ulema nella gestione dello Stato. Anche questo gruppo è per lo più di origine meridionale.
La terza, che si potrebbe definire “modernista” ed è una versione imbastardita della Fratellanza Musulmana, concorda con la prima sul tenere a bada il potere clericale, ma rigetta il modello statuale della monarchia e propugna un ruolo decisamente maggiore per l’intelligentsia islamista. Questa tendenza ha anche tendenze internazionaliste che mancano alle altre due ed è diffusa in diverse regioni, soprattutto nell’est, sud-est, nord e nella regione di Kabul.
Le convergenze superficiali tra “tradizionalisti” e “modernisti” sembrano evidenti. Non a caso, nel 2021-23 queste due tendenze si sono trovate alleate contro i clericali e hanno dominato l’esecutivo. Frustrate dalla resistenza dell’Amir e dei suoi, questi alleati hanno tentato nel febbraio 2023 di sostituire l’Amir, sulla base della sua presunta incapacità di esercitare le sue funzioni, visto che l’Amir si rifiutava di incontrare gli altri leader e se ne stava nascosto a Kandahar.
Il consolidamento dell’Amir
Il tentativo di estromettere Haibatullah ha finito invece con costringerlo a superare le sue esitazioni e a passare al contrattacco. Dal febbraio 2023 in poi, l’Amir ha gradualmente rafforzato le sue posizioni, riuscendo a imporre il suo controllo sui ministeri e su gran parte delle forze armate dell’Emirato. Inoltre, Haibatullah è riuscito anche a dividere i suoi oppositori all’interno dei Taliban, cooptandone alcuni e convincendone altri a rimanere neutrali. In particolare, l’Amir è riuscito a riunire dietro di sé quasi tutti i comandanti militari del sud, riducendo i “tradizionalisti” a dei generali senza esercito. Inoltre, il mullah Yaqub, figlio primogenito di Mullah Omar, si è sganciato dagli oppositori dell’Amir ed è diventato sostenitore di un possibile accordo di compromesso tra i due fronti contrapposti. Ormai l’Amir conta sulla lealtà di tutti comandanti di corpi d’armata dell’esercito, sulla Guardia Speciale che lui stesso ha costituito, sulle milizie ufficiose dei Taliban del sud e anche su non pochi ufficiali della polizia, nonostante il Ministero dell’Interno sia il feudo del suo rivale numero uno, Serajuddin Haqqani.
Il potere dell’Amir si è ulteriormente consolidato dopo il fallimento del tentativo di Serajuddin di forzare una crisi, che mobilitasse l’opposizione latente all’Amir. Nel gennaio 2025, Serajuddin si è rifugiato negli Emirati Arabi Uniti per sette settimane, ma nessuno si è mosso per affrontare l’Amir in Afghanistan, che invece si affidava al suo lealista e vice-ministro dell’interno, Ibrahim Sadr, per espandere la sua influenza anche sull’ultima forza armata ancora dominata dai suoi oppositori, la polizia. Alla fine, Serajuddin ha dovuto tornare al ministero, per riprenderlo in mano. Alla fine di marzo, l’Amir ha invitato un Serajuddin ormai umiliato a partecipare a una riunione della leadership suprema dei Taliban a Kandahar e Serajuddin ha accettato per la prima volta dal febbraio 2023 di recarsi nella città dell’Amir, avendo ottenuto garanzie della sua incolumità.
A Kandahar, Serajuddin si è visto offrire un accordo in base al quale Haibatullah avrebbe offerto di lavorare a una soluzione del problema dei decreti che hanno bloccato l’accesso delle ragazze all’educazione superiore e universitaria (decreti ai quali Serajuddin si è sempre opposto), in cambio di un accordo sulla distribuzione del potere che lasciasse ampi poteri all’Amir. Serajuddin non ha accettato l’offerta, ma da allora una tregua sembra essere in vigore, in cui Serajuddin si astiene dal criticare l’Amir direttamente.
Un jihad nazionale al potere
Una delle differenze chiave tra le tre fazioni sopra menzionate concerne le relazioni esterne dell’Emirato. Haibatullah promuove come priorità l’interesse nazionale, come fanno anche i “tradizionalisti”, che però lo interpretano in modo diverso. Per l’Amir, bisogna privilegiare il rapporto con i Paesi confinanti e della regione, rigettando l’aiuto allo sviluppo occidentale, che lui vede come un tentativo di comprare influenza tra le fila dei Taliban. I “tradizionalisti”, invece, favoriscono un miglioramento dei rapporti con l’Occidente, nella speranza di riportare sostanziosi aiuti allo sviluppo in Afghanistan. I “modernisti” hanno posizioni ambigue. Alcuni corteggiano l’Occidente, come Serajuddin, spesso in coordinamento con i tradizionalisti, ma al tempo stesso e paradossalmente sono anche quelli con i rapporti più stretti con le cerchie jihadiste internazionali. Serajuddin, per esempio, è il referente principale in Afghanistan di Al Qaida e dei gruppi ad essa allineati, principalmente centroasiatici e pakistani. Sul rapporto con i jihadisti stranieri ancora ospitati dai Taliban, Serajuddin si è scontrato con entrambe le altre due tendenze. L’Amir, in particolare, è conscio che i Paesi della regione sono almeno tanto preoccupati dei jihadisti stranieri di quanto lo siano gli americani. Cautamente, è riuscito a mettere in quarantena i jihadisti uighuri, uzbeki e tajiki. Il rapporto con Al Qaida è più complesso, ma è facilitato dal fatto che i qaidisti non operano comunque in prima persona contro i Paesi vicini. Sono quindi meno esposti a commettere infrazioni delle regole stabilite dall’Amir, che prevedono l’impegno a non usare il territorio afghano per operazioni contro i vicini.
Anche qui l’Amir è riuscito un po’ alla volta a imporre la sua visione. La Russia è stata la prima a riconoscere l’Emirato in luglio, mentre altri Paesi, tra cui Uzbekistan, Kazakhistan e Cina sembrano seriamente considerare di fare lo stesso. I Paesi occidentali, invece, dopo molti tentativi, tutti frustrati dalle decisioni segregazioniste dell’Amir verso le donne, sembrano ormai aver abbandonato il campo. Alcuni Paesi, come Regno Unito e Canada, hanno persino deciso di chiudere le loro rappresentanze diplomatiche per l’Afghanistan a Doha. Ora l’Amir cerca di quadrare il cerchio col Pakistan, l’unico Paese della regione ancora ostile, a causa delle basi dei jihadisti del TTP (Tehreek-e-Taliban Pakistan, i Talebani pachistani, ndr) in territorio afghano. Risolvere i problemi con il Pakistan non sarà una cosa facile, ma è nondimeno condizione necessaria per risollevare l’economia.
[Fonte e Foto: ISPI]