L'Afghanistan a tre anni dal ritorno dei talebani
Il 15 agosto del 2021 i Talebani entravano a Kabul, tornando al potere dopo un ventennio di presenza occidentale. Oggi, a tre anni di distanza, la repressione domina la vita pubblica e l’incertezza segna il futuro. Ecco il focus dell'ISPI.
Nell’agosto del 2021 l’esercito regolare afghano, fedele al governo di Ashraf Ghani e addestrato dalle forze occidentali, sembrò sciogliersi come neve al sole di fronte all’offensiva dei Talebani, disarcionati dall’invasione a guida USA iniziata quasi vent’anni prima. Da quando hanno ripreso il potere, i Talebani hanno imposto nuovamente politiche che limitano severamente i diritti, in particolare quelli di donne e ragazze. Come ricostruito da numerosi rapporti, come quelli dell’organizzazione Human Rights Watch, il movimento ha vietato alle donne molte forme di impiego, proibito loro di frequentare la scuola secondaria e l'università. Gli ex ‘studenti coranici’, concetto da cui deriva il termine Talebani, hanno anche attuato un'ampia campagna di censura, arrestato e torturato giornalisti e attivisti. Gruppi affiliati allo Stato islamico nel Khorasan (IS-K), concorrente regionale dei Talebani, hanno effettuato attentati contro persone di etnia Hazara e altre, uccidendone e ferendone centinaia. L'economia afghana è crollata dopo l'agosto 2021, quando gli Stati Uniti, la Banca mondiale e altri donatori hanno interrotto gli aiuti allo sviluppo. Oltre il 90% della popolazione afghana affronta l'insicurezza alimentare insieme a un aumento delle malattie legate alla malnutrizione.
Nulla è cambiato?
A tre anni dal ritorno dei Talebani al potere, la situazione nel paese resta complessa e contraddittoria. L’Afghanistan è tornato a una situazione che presenta molte somiglianze rispetto al periodo pre-invasione occidentale. Il movimento islamico fondamentalista, colpito dagli USA perché accusato di connivenza con Al-Qaida e il suo leader Osama Bin Laden, annunciava poche ore dopo la presa di Kabul la nascita dell’Emirato islamico dell’Afghanistan e il ripristino come legge vigente della Shari’a, nella sua interpretazione più rigida e fondamentalista. Se da un lato i Talebani hanno oggi consolidato il loro controllo sul territorio, dall'altro la loro gestione del paese continua a essere segnata da problemi economici, violazioni dei diritti umani e isolamento internazionale. Secondo le Nazioni Unite, un terzo dei circa 40 milioni di abitanti vive di pane e tè; la disoccupazione è massiccia e la Banca Mondiale prevede una crescita pari a zero nei prossimi tre anni. In campo economico si sono registrati anche alcuni elementi positivi: la moneta è si è dimostrata resiliente, la corruzione sembra oggi meno onnipresente rispetto al passato e la riscossione delle tasse è migliorata. L'Afghanistan ha inoltre un grande potenziale minerario e agricolo, che il governo talebano sta cercando di sfruttare, ma è ostacolato da infrastrutture deboli e dalla mancanza di competenze e capitali.
Davvero isolati?
Diversi attori internazionali, alcuni dei quali non mettono il rispetto dei diritti umani in cima all’agenda delle loro relazioni bilaterali, hanno deciso di instaurare o riprendere le relazioni con il nuovo governo talebano, anche se queste relazioni sono spesso limitate e ambigue. I vicini Pakistan e Iran, ad esempio, sono stati tra i primi paesi a ristabilire contatti con il governo talebano. Entrambi hanno storicamente avuto rapporti complessi con il movimento islamico, caratterizzati da periodi di sostegno e tensione. Il Pakistan, in particolare, è stato accusato di aver sostenuto i talebani durante il loro ritorno al potere. Tuttavia, anche le relazioni attuali non sono prive di attriti, soprattutto riguardo alla gestione dei confini e alla presenza di gruppi estremisti. La Cina è stata uno dei primi paesi non musulmani a cercare un dialogo con i Talebani e ha chiesto ripetutamente ai Talebani di mantenere la stabilità interna e prevenire che il territorio afghano diventi una piattaforma per gruppi armati come i separatisti uiguri dello Xinjiang, una minoranza turcofona e musulmana della Cina occidentale. Anche se Pechino non ha ancora ufficialmente riconosciuto il governo talebano, ha mantenuto un canale diplomatico aperto con Kabul cercando di proteggere i suoi interessi strategici nella regione, tanto che a gennaio un inviato speciale dell’Emirato ha presentato le sue credenziali a Pechino, suscitando perplessità negli osservatori internazionali. Il Qatar ha giocato un ruolo centrale nelle negoziazioni tra i talebani e gli Stati Uniti, mentre la Turchia ha offerto assistenza tecnica e supporto nella gestione dell'aeroporto di Kabul.
Una crisi dimenticata?
Le relazioni dell’Emirato, soprattutto con i vicini centrasiatici, sono attualmente improntate al più chiaro pragmatismo. Russia, Uzbekistan e Turkmenistan, ad esempio, condividono le preoccupazioni cinesi per la stabilità regionale e la minaccia di infiltrazioni terroristiche, come dimostrato dall’attentato al Crocus City Hall di Mosca a marzo scorso. La Federazione russa, pur non riconoscendo formalmente il governo dell’Emirato, ha ospitato delegazioni talebane e mantenuto contatti regolari, vedendo l'Afghanistan come un punto strategico nella sua politica verso l'Asia centrale. Nonostante questi contatti, però, nessun paese ha ancora ufficialmente riconosciuto il governo talebano come legittimo. L'Afghanistan, che continua a essere una zona di instabilità con conseguenze potenzialmente destabilizzanti per l'intera regione, sembra essere scivolato in fondo all’agenda della comunità internazionale rispetto a tre anni fa, complice il fatto che da allora si sono aperti e infiammati altri due grossi teatri di crisi in Ucraina e in Medio Oriente. “Concordato” durante l’amministrazione Trump e realizzato nei primi mesi di Biden, il terzo anniversario del ritorno al potere dei Talebani arriva oggi in un clima di incertezza per il paese e per il futuro dei suoi abitanti.
Il commento di Giuliano Battiston, giornalista e direttore, Lettera 22
"A tre anni dal ritorno al potere dei Talebani e dalla sua restaurazione, l’Emirato islamico continua a reggere, la guida suprema Haibatullah Akhundzada rafforza il proprio potere, il governo rimane privo del riconoscimento ufficiale ma incassa la normalizzazione dei rapporti con gli attori regionali. Appesantita da dubbi morali, scarsa creatività politica, paura dell’opinione pubblica interna, la diplomazia euroatlantica arranca, consegnando l’Afghanistan nell’orbita della diplomazia regionale. Nel Paese, gli spazi di libertà si contraggono. Le discriminazioni di genere si consolidano e diventano sistemiche e istituzionalizzate, mentre la profonda crisi umanitaria e un’economia fragile condizionano pesantemente la vita della popolazione".
[Questo articolo è stato pubblicato sul sito dell'ISPI, al quale rimandiamo; Photo Credits: ISPI]