Chiesa russa, Ucraina ed ecumenismo: "nella guerra la Chiesa cattolica non può rimanere neutrale"
"Il dialogo politico con la Chiesa russa non è mai cessato. Il metropolita Antonij ha partecipato ai funerali di Benedetto XVI, papa Francesco spera ancora in un incontro con il patriarca Cirillo, e la Chiesa ortodossa russa va avanti come se niente fosse. La posizione della Chiesa cattolica è stata molto poco chiara; solo di recente il papa e altri alti funzionari hanno iniziato a essere un po’ più espliciti. L’idea di tenere le porte
aperte a tutte le parti è ovviamente fallita. La Chiesa cattolica dovrebbe riconsiderare seriamente la sua posizione. In una situazione in cui la questione della colpa e della responsabilità è molto chiara, rimanere neutrali significa alla fine schierarsi con l’aggressore. E purtroppo questa è l’immagine che la Chiesa cattolica ora sta trasmettendo". In un ampio e dettagliato studio su Il Regno-Attualità n. 4 del 2023, il teologo tedesco Thomas Bremer, docente emerito di Studi ecumenici, Studi ecclesiastici orientali e Studi sulla pace all’Università di Münster, fa il punto sui rapporti ecumenici dopo un anno di guerra in Ucraina, con uno sguardo a tutto campo sulla posizione, anche storica, delle varie Chiese negli equilibri mondiali.
La sua ricostruzione parte dall’XI Assemblea, svoltasi l'estate scorsa a Karlsruhe, del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC), il più grande e importante organismo ecumenico. "In primo piano c’era la discussione sulla partecipazione della Chiesa ortodossa russa. Quest’ultima è diventata membro del CEC nel 1961 e da allora ha inviato delegazioni a tutte le Assemblee. Tuttavia, la situazione dell’anno scorso era diversa: "il patriarca Cirillo aveva sostenuto e giustificato la guerra in Ucraina, iniziata dalla Russia nel febbraio
2022. Molti cristiani occidentali e leader ecclesiastici sono rimasti scioccati dall’assenza di qualsiasi distanza critica da parte della leadership della Chiesa ortodossa russa dall’aggressione. Alcuni sacerdoti hanno protestato contro la guerra, ma molti di loro sono stati sanzionati dalla Chiesa". All’interno della Russia, "non un solo vescovo ha alzato una voce critica, solo alcuni vescovi all’estero lo hanno fatto, come naturalmente la maggior parte dei vescovi in Ucraina".
La difesa contro l'Occidente che cerca d'imporre i suoi valori
"La giustificazione del patriarca russo - continua Bremer - ripete la narrazione che si trova anche nel discorso ufficiale sostenuto dal governo russo: la guerra è difensiva contro l’Occidente che cerca aggressivamente d’imporre i suoi valori e il suo stile di vita alla popolazione ortodossa dell’Europa orientale". Poiché il governo ucraino ha attaccato la popolazione russofona nell’est del paese a partire dal 2014, "la Russia ha dovuto difenderla". A questa visione è collegata un’interpretazione della storia secondo la quale l’Ucraina non è né uno stato né una nazione a sé stante, e riconoscerla come tale è stato un enorme errore. Russi e ucraini sono nazioni sorelle, la divisione tra loro è stata introdotta dall’Occidente e la "Rus’", medievale ha ancora un significato per l’oggi.
"Ma quasi nessuno in Occidente crede a questa narrazione - osserva ancora Bremer -. Anche le forze politiche più favorevoli alla Russia, per lo più di estrema destra e di estrema sinistra, di norma non sono d’accordo con questa percezione". Eppure la Chiesa ortodossa russa non era affatto isolata a Karlsruhe. La delegazione accuratamente selezionata era guidata dal metropolita Antonij, il nuovo capo del Dipartimento per le relazioni esterne, che ha dato istruzione a tutti i membri della delegazione di rappresentare rigorosamente solo la posizione ufficiale della Chiesa ortodossa russa. Antonij si è preoccupato d’incontrare i rappresentanti d’alto livello delle altre Chiese e ha criticato tutto ciò che non era in linea con la posizione della Chiesa ortodossa russa. Ha quindi criticato aspramente il discorso d’apertura del presidente federale tedesco e anche la dichiarazione dell’Assemblea sulla guerra in Ucraina e sulla situazione in Europa (che parlava d’"invasione russa"). Il suo argomento era che questi documenti erano troppo politicizzati. "Dato che la Chiesa ortodossa russa ha politicizzato il lavoro del CEC (e il movimento ecumenico in generale) da quando vi ha preso parte, la sua affermazione ha dell’assurdo", sottolinea Bremer.
Ma ci sono state Chiese membri, soprattutto del Sud del mondo, che hanno sostenuto le sue tesi. Pur senza necessariamente accettare la narrazione russa nei dettagli, mantenevano un atteggiamento critico nei confronti degli Stati Uniti (e anche di altri paesi del Nord) che li rendeva sospettosi verso qualsiasi causa sostenuta dagli americani. "Negli anni Sessanta e Settanta la Chiesa ortodossa russa ha sostenuto la lotta per l’indipendenza e contro il razzismo di molti di questi paesi - ricorda Bremer -: anche questo non va dimenticato. Ci sono stati (e ci sono ancora) conflitti in Africa, ma anche in altre parti del mondo, che si sono protratti per molti anni, senza molta attenzione da parte dei ricchi paesi del Nord. Ora che c’è una guerra in Ucraina, questo attira di nuovo l’attenzione sull’Europa". Inoltre, "anche la rigida posizione della Chiesa ortodossa russa nei confronti di questioni etiche come l’omosessualità corrispondeva al loro pensiero e contribuiva a formare un’alleanza contro il cosiddetto Occidente 'in declino'". E "anche la comunicazione della leadership del CEC con la Chiesa ortodossa russa prima e dopo l’Assemblea ha mostrato una posizione molto confusa dell'organizzazione, che ovviamente non voleva danneggiare le sue relazioni con il Patriarcato russo".
L'analisi del Regno-Attualità ricorda che, nel corso degli ultimi decenni, "l’impegno ecumenico della Chiesa ortodossa russa è stato caratterizzato da diversi fattori: fino alla fine degli anni Ottanta, era sotto lo stretto controllo dello stato sovietico e perseguiva nei contatti interconfessionali obiettivi politici in sintonia con la politica sovietica, come la già citata lotta al razzismo". Dopo il declino e la fine del regime comunista, la Chiesa ortodossa russa "ha soprattutto manifestato rispetto alla Chiesa cattolica un ruolo di vittima, quando ha perso molte parrocchie nell’Ucraina occidentale a favore della Chiesa greco-cattolica che era stata bandita e forzatamente unita alla Chiesa ortodossa russa durante il periodo sovietico". Bremer argomento che "il patriarcato russo ha visto in questi eventi un’azione deliberata della Chiesa cattolica volta a indebolire l’ortodossia. In questo periodo ha sviluppato uno spiccato atteggiamento antioccidentale e antimoderno".
Un intreccio inestricabile tra religione e politica
Dopo la morte di papa Giovanni Paolo II, invece, la Chiesa ortodossa russa ha cercato di stabilire un'"alleanza strategica" con la Chiesa cattolica, "nel senso che le due Chiese avrebbero dovuto cooperare nella lotta contro fenomeni come l’omosessualità o un ruolo più ampio dato alle donne nella Chiesa; questa cooperazione non avrebbe superato le differenze teologiche tra le Chiese, ma avrebbe potuto aiutarle 'strategicamente' a difendere la loro agenda politica". Il rovescio della medaglia di questo atteggiamento "è stato l’abbassamento della considerazione dei dialoghi ecumenici, anche quelli di lunga data, nel momento in cui le Chiese protestanti hanno sviluppato forme di benedizioni per le coppie dello stesso sesso o hanno ordinato delle donne al ministero o all’episcopato". Pertanto, "l’atteggiamento politico della Chiesa ortodossa russa era molto coerente con quello dello stato russo (o prima ancora sovietico)". Ma secondo Bremer, "ciò non significa che la Chiesa ortodossa russa sia stata uno strumento dello stato", bensì "indica piuttosto che le sue posizioni erano conformi a quelle dello stato".
Le omelie del patriarca Cirillo nell’anno dopo l’attacco all’Ucraina "lo dimostrano molto chiaramente; ovviamente non proclama i messaggi che riceve dal Cremlino, ma crede in ciò che dice, e si dà il caso che avvenga lo stesso nella leadership politica della Russia. Vanno nella stessa direzione, anche se in campi diversi". Così, "le relazioni ecumeniche della Chiesa ortodossa russa sono state determinate in larga misura dalle questioni politiche". All’epoca della Guerra fredda, "essa voleva che ogni dialogo includesse un tema 'socio-etico', che riguardava soprattutto la situazione della corsa agli armamenti. Ciò è stato chiaramente indotto da fattori politici, cosa che è diventata evidente quando dopo la fine del comunismo la Chiesa russa non ha più chiesto che ci fossero questi temi".
Secondo Bremer, "bisogna però fare una critica alla maggior parte delle Chiese occidentali che non ha preso posizione su questo atteggiamento. Esse pensavano che fosse qualcosa che la Chiesa ortodossa russa doveva fare per sopravvivere nel sistema comunista, o che fosse l’unico modo per mantenere i contatti con essa. Anche il fatto che i dissidenti religiosi non fossero protetti dalla propria Chiesa, mentre venivano puniti dallo stato sovietico, non preoccupava troppo i partner ecumenici occidentali". Quando la Chiesa ortodossa russa dopo la Guerra Fredda ha potuto determinare la propria agenda, "si è concentrata sulle questioni antimoderne". La Chiesa cattolica ha capito che l’"alleanza strategica" poteva essere solo
una faccia della medaglia, "poiché ha uno spettro molto più ampio di una semplice agenda antimoderna e molti cattolici in tutto il mondo non sarebbero affatto d’accordo con essa". Inoltre, dal 2018 c’è una spaccatura nell’ortodossia, causata dalla questione ucraina e dall'autocefalia della Chiesa ortodossa locale, e "non si vede come questo scisma, che di fatto è tale, possa essere sanato".
Il peso dello scisma in campo ortodosso
Entrambe le parti in conflitto - il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli con alcune chiese greche e il Patriarcato di Mosca con altre, soprattutto serbe – insistono sulle loro posizioni e resistono a qualsiasi forma di comunicazione reciproca. "Lo scisma potrebbe durare a lungo. Ha conseguenze anche per le altre Chiese. La maggior parte dei dialoghi ecumenici multilaterali ne risente, poiché la Chiesa russa si rifiuta di partecipare alle delegazioni guidate da un rappresentante del Patriarcato ecumenico; e questo accade nella maggior parte dei dialoghi". Tuttavia la maggior parte dei partner ecumenici, e anche il Patriarcato ecumenico, continuano come se nulla fosse. "Ma questo è ovviamente miope: qualsiasi successo ecumenico che non sia sostenuto dalla più grande Chiesa ortodossa è un’illusione e non può contribuire al riavvicinamento delle Chiese".
In definitiva, "prima che il dialogo possa riprendere, la Chiesa ortodossa russa dovrà cambiare radicalmente il suo atteggiamento e capire che le sue azioni non sono cristiane, ma sono un sostegno politico a un autocrate e a un criminale di guerra. Sarà impossibile discutere con la leadership della
Chiesa russa di questioni relative al primato o all’eucaristia finché essa rimarrà su queste posizioni". Per il
momento, conclude Bremer, "essa non mostra alcun interesse ad approfondire i suoi legami teologici con altre Chiese. Qui sarà necessario un nuovo inizio, che dipende più dalla Chiesa ortodossa russa che dalle Chiese occidentali".