Il difficile confronto tra il cattolicesimo polacco e la modernità: la Chiesa affonda?

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Al di là del fatto che l’incipit sintetizza come meglio non si potrebbe le ragioni e il mandato di questo blog – “Il ruolo della religione nello spazio pubblico è uno dei temi oggi più discussi nell’ambito delle scienze sociali” – è di particolare interesse su Limes di marzo l’articolo “La Chiesa polacca affonda” di Stanislaw Obirek, antropologo culturale, professore all’Università di Varsavia, docente all’American Studies Center. I suoi libri trattano il cattolicesimo come fenomeno culturale ai tempi della globalizzazione. Con Zygmunt Bauman ha scritto: Of God and Man (2015) e On the World and Ourselves (2015). Proponiamo ampi stralci dell’articolo, riguardante il peso che la Chiesa cattolica ha esercitato e continua a esercitare in Polonia, nonché il confronto che in quel Paese, dopo la sconfitta del comunismo, il cattolicesimo sta perdendo con la modernità.

Dalla metà degli anni Settanta il cattolicesimo occidentale ha subìto una forte polarizzazione, come dimostrano le reazioni alla controversa enciclica di papa Paolo VI Humanae Vitae del 1968. I conservatori vi lessero una vittoria dell’ortodossia e della tradizione sacra (soprattutto per il divieto di contraccezione), i liberali l’ennesimo capitolo nella lotta del Vaticano contro la modernità. La Chiesa polacca si schierò dalla parte di Paolo VI e un vescovo di Cracovia, Karol Wojtyla, fu tra i principali artefici del suo carattere conservatore. (…) Il fatto di essersi schierato dalla parte di una morale sessuale restrittiva spianò dieci anni dopo a Wojtyla la strada verso il papato.

In quel periodo la Chiesa polacca iniziò ad attirare l’attenzione degli osservatori stranieri per essere uscita vincitrice dallo scontro con il regime comunista. Gli stessi comunisti presero a vedere nella Chiesa un partner sulla via delle necessarie trasformazioni politiche, nel momento in cui iniziarono a perdere fiducia nel comunismo. (…) Nel blocco orientale è osservato infatti un avvicinamento delle Chiese locali con le nuove autorità: gli esempi più evidenti sono la Chiesa ortodossa russa che collabora con Vladimir Putin e la Chiesa cattolica polacca schierata con i partiti di destra, in particolare con Diritto e giustizia di Jaroslaw Kaczynski.

Alla luce dei documenti oggi disponibili è difficile attribuire alla Polonia e a papa Giovanni Paolo II un ruolo particolare in queste trasformazioni. Pertanto l’interpretazione di George Weigel, che collega direttamente il crollo del comunismo al ruolo svolto dal pontefice, va ritenuta un mito. (…) Concordo invece con la diagnosi formulata da Josè Casanova all’inizio degli anni Novanta per cui il ruolo futuro della Chiesa sarebbe dipeso dall’atteggiamento del clero cattolico: “Se la Chiesa manterrà il suo atteggiamento di scarsa propensione ai compromessi e insisterà nell’imporre pubblicamente la morale cattolica, esiste il pericolo che l’istituzionalizzazione di alcune forme di nazional-cattolicesimo polacco possa ostacolare il consolidamento di una società civile polacca aperta e pluralista”. Così è stato al principio del XXI secolo, soprattutto dopo l’ascesa al potere della destra vicina alla Chiesa nel 2015. Da allora osserviamo la rapida secolarizzazione e la perdita d’autorità del clero cattolico.

Forti segnali indicano come la società polacca stia seguendo le orme di quella irlandese, che sta plasmando la sua identità in opposizione all’istituzione ormai compromessa della Chiesa cattolica. Per capire come ciò sia avvenuto dobbiamo dare uno sguardo all’ambigua eredità di due icone del cattolicesimo polacco: Stefan Wyszynski e Giovanni Paolo II. La loro biografia ci permette di comprendere meglio anche la specificità del cattolicesimo polacco.

Karol Wojtyla è stato anzitutto una guida carismatica che si è presa cura di ampliare e controllare da vicino le strutture ecclesiastiche. Come ha giustamente notato Tadeusz Bartos in un libro del 2007, la mancanza di una formazione teologica da parte di Wojtyla è il motivo per cui il messaggio papale è stato ridoto a messaggio politico. La politicizzazione del cattolicesimo attuata da Giovanni Paolo II non si limita ai suoi rapporti con la Polonia, dove si è espresso chiaramente in favore di Solidarnosc. Negli Stati Uniti il suo pontificato è stato recepito come un sostegno alla politica di Ronald Reagan e dei neoconservatori cattolici, portando alla polarizzazione dei cattolici americani. Anche in America Latina il rifiuto della teologia della liberazione è stato un atto politico.

E’ sorprendente che dopo le trasformazioni del sistema politico in Europa centrale, soprattutto in Polonia, Giovanni Paolo II abbia cambiato radicalmente punto di vista sulla libertà di coscienza dell’individuo, da lui prima sempre difesa, esigendone il rispetto. Nel momento in cui il cattolicesimo ottenne una posizione dominante, il papa polacco e il clero cattolico identificarono la libertà con la sottomissione alla dottrina cattolica. Ciò derivava dall’idea di papato che Wojtyla aveva portato a Roma da Cracovia. Benché la sua nomina a pontefice nel 1978 avesse colto tutti di sorpresa, si fece riconoscere abbastanza presto come grande visionario dotato di un’idea assai precisa sul papato. Si comportava come se fosse convinto che la Provvidenza lo avesse messo sul soglio pontificio allo scopo di realizzare quest’idea.

Fin dall’inizio la sua concezione ebbe molti oppositori e la sua realizzazione portò uno degli storici della Chiesa, il gesuita americano John O’Malley, a definirne il pontificato uno dei peggiori della storia del cattolicesimo. Ecco cosa mi ha scritto O’Malley quando gli ho chiesto un’opinione su Giovanni Paolo II: “Si è fatto spesso riferimento alla mia affermazione sul fatto che Giovanni Paolo II sia stato il peggior papa nella storia della Chiesa. Giustamente, perché ciò che ha fatto con i vescovi in tutto il mondo ha avuto conseguenze devastanti sui seminari e sul clero. Nel 1960 i sacerdoti erano i più istruiti della storia, da cui l’entusiasmo per il Vaticano II. Dio mio! Come sono cambiate le cose!”. E’ l’opinione di un esperto consapevole delle occasioni sprecate dal papa polacco dopo che Giovanni XXIII aveva aperto il cattolicesimo al mondo contemporaneo.

Il cattolicesimo polacco, dal 1978 provvisto di un “proprio” papa, aveva fatto suo quel modello conservatore. La scomparsa di Giovanni Paolo II nel 2005 non ha cambiato niente. Forse la sua influenza è persino aumentata dopo la beatificazione formale del 2011 e la canonizzazione del 2014. Tuttavia negli ultimi anni hanno iniziato a comparire delle crepe profonde nel monumento di bronzo del papa polacco. Una delle “scoperte” più sofferte fatte dai giornalisti è che Giovanni Paolo II non solo sapeva dei casi di pedofilia all’interno della Chiesa, ma li aveva attivamente insabbiati premiando i vescovi che, in suo nome, lo avevano fatto per tutta la durata del suo pontificato.

Oggi lo spazio mediatico polacco è invaso dalle ennesime “rivelazioni” sul declino morale e persino religioso della Chiesa cattolica. Per anni le scoperte dei giornalisti di altri paesi sugli abusi di questa istituzione sono passate sotto silenzio nel dibattuto nazionale della Chiesa cattolica. Negli ultimi anni tali lacune sono state colmate e i giornalisti polacchi affrontano in maniera sempre più coraggiosa temi fino a poco tempo fa ancora tabù. Ne cito alcuni a titolo d’esempio. I due film dei fratelli Sekielski sulla pedofilia nella Chiesa sono stati visti da milioni di spettatori; io stesso ho pubblicato un libro con Artur Nowak sulle patologie delle istituzioni ecclesiastiche, soprattutto sugli abusi di potere da parte dei vescovi; un’altra pubblicazione importante è quella del noto giornalista televisivo Marcin Gutowski, che ha scoperto ciò che Giovanni Paolo II sapeva davvero sulla pedofilia; particolarmente interessante il libro di un giornalista olandese che lavora da anni in Polonia e che, basandosi su ricerche di archivio, ha dimostrato in maniera inequivocabile come Karol Wojtyla da vescovo di Cracovia abbia insabbiato casi di pedofilia.

Il cattolicesimo polacco non solo è in pieno declino, ma rischia di nuocere alla fragile democrazia della Polonia. Il linguaggio di cui si serve il clero polacco è contraddistinto da odio, xenofobia e omofobia. I legami di molti sacerdoti con organizzazioni internazionali che diffondono il fondamentalismo religioso sono innegabili. Forse è solo questione di tempo prima che il senso comune assimili un fatto palese: dalle trasformazioni politiche del 1989, il cattolicesimo polacco ha svolto un ruolo decisamente negativo.

Al momento è difficile dire se la tendenza al declino di quest’istituzione subirà un arresto. Personalmente sono un fautore del post-secolarismo, dell’amichevole coesistenza di credenti e non credenti in una società pluralista e civile. Non è da escludere che il cattolicesimo, dal 2013 guidato da papa Francesco, stia evolvendo in questa direzione. Il problema è che a dieci anni dall’inizio del suo pontificato la maggioranza dei cattolici polacchi non si è ancora accorta dei cambiamenti avvenuti in Vaticano.

(di Stanislaw Obirek, da Limes, marzo 2023)