Il filosofo Jullien, "solo il cristianesimo può accendere un'alba in Europa"

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All'apertura del Festival Biblico a Vicenza, giovedì, parlerà di "Esistenza. Stare fuori dal mondo, abitare l’altro". "Mi interesso di cristianesimo perché è al centro di ciò che ha reso l’Europa ciò che è". Proponiamo l'intervista rilasciata a Simone Paliaga di Avvenire.

«Oggi viviamo in Europa un periodo cupo, un periodo senza tenacia, senza tonos, direbbero i greci. Siamo in una specie di ripiego, un ripiego mortifero, e ritengo che dobbiamo scrollarci di dosso la cupezza imperante nell’Europa di oggi per intraprendere un nuovo inizio, per ricominciare con la storia. E il messaggio cristiano offre le risorse senza cui l’Europa non potrebbe esserci», dice ad Avvenire François Jullien, filosofo francese estremamente originale, che giovedì, alla serata inaugurale del Festival Biblico, alle ore 21, al Teatro Olimpico di Vicenza, parlerà di Esistenza. Stare fuori dal mondo, abitare l’altro con Alberto Cozzi e Marcello Ghilardi e l’accompagnamento del soprano Fé Avouglan e del pianista Diego Mingolla.

Perché, un filosofo con il suo cammino di pensiero, si interessa alle sorti del cristianesimo?

Per una ragione politica, perché il cristianesimo è al centro di ciò che ha reso l’Europa ciò che è. Che uno sia cristiano o meno, questo è un dato di fatto. Non assumersi la responsabilità della questione del cristianesimo, oggi, è un handicap per l’Europa. Evitare di porla nuoce alla costruzione dell’Europa e la smobilita. Se non la pone è perché non sa cosa fare con Cristo, con il cristianesimo. Detto questo voglio precisare che una ragione politica non è una ragione per iniziare a credere. Oggi il cristianesimo è forse meno indifferente in Italia che in Francia. Ma questa indifferenza è comunque smobilitante storicamente.

Perché?

Il pensiero europeo si è sviluppato nella contrapposizione tra fede e ateismo fin dai greci quando viveva la contrasto tra theologoi e phyisiologoi, una contrapposizione che il pensiero cristiano ha rinnovato. Questo conflitto è stato il cuore pulsante dell’Europa. Quando è stata annunciata la morte di Dio era ancora un evento, ma oggi l’indifferenza non è un evento ma un evitamento, e credo che questo, senza che ce ne accorgiamo, stia nuocendo all’ascesa dell’Europa.

Da dove nasce l’idea di de-coincidenza?

Nasce dal mio cammino di pensiero. Io ho cominciato come grecista, ma poi ho scelto di prendere le distanze dalla tradizione di pensiero europea. Non per fuggire da essa, ma per considerarla dall’esterno, da un esterno che per me è stata la Cina. Attraverso questa diversione, questo scarto ho avuto la possibilità di reinterrogare il pensiero europeo. Essa è stata una strategia per de-coincidere con la grande coincidenza razionale dell’Europa. La decoincidenza, prima di proporne il concetto, l’ho messo alla prova.

In che cosa consiste?

Prendiamo un artista, lo è nella misura in cui de-coincide con l’arte del suo tempo, apre uno scarto dal coincidere con l’arte fino allora riconosciuta. Alla stessa maniera, per pensare devo dis-locarmi, sganciarmi dalla coincidenza col pensiero stabilito. Anzi direi che penso solo quanto de-coincido il mio pensiero dall’adaequatio, dalla coincidenza con il mio stesso pensiero. Se non lo facessi mi fossilizzerei in un sistema di pensiero. Parimenti posso dire che vivo solo in quanto de-coincido da ciò che ho già vissuto, altrimenti non farei altro che ripetere la mia vita, perdendo slancio.

Perché propone il legame tra cristianesimo e de-coincidenza?

Il tema della de-coincidenza percorre la Bibbia da un capo all’altro. Mi riferisco alla prima scena, quella della Genesi e del paradiso terrestre dove non succeda nulla. È stato necessario incrinare questa coincidenza iniziale, è stato necessario che l’uomo aprisse una fessura rispetto a questo paradiso della coincidenza, diciamo, perché si inaugurasse una storia. Quindi mi sembra che la prima pagina della Bibbia, che di solito leggiamo alla luce della figura della colpa, sia interpretabile anche alla luce della deviazione, dello scarto, del de-coincidere. Solo in virtù di questo scarto è possibile aprirsi a una storia che è la storia dell’incontro tra l’uomo e Dio. Perché all’inizio l’uomo non incontra Dio, vive di Dio e con Dio però senza incontrarlo. Questo tema è dominante nella Bibbia, un incontro che è impossibile e allo stesso tempo, diciamo, non cessa di avvenire. Gesù, poi, è proprio la figura per eccellenza della de-coincidenza.

In che senso?

Egli è ebreo ma apre un varco rispetto a un fariseismo divenuto coincidente, nel periodo romano, con la positività della legge, del rito, della lettera. Gesù apre una fessura rispetto a questa coincidenz a, schiudendo a possibilità non ancora previste, diciamo, dalla tradizione biblica. Aggiungo un’altra cosa. Questa idea emerge anche nel Vangelo di Giovanni. La grande idea presente nel prologo, è proprio la de-coincidenza, perché Dio de-coincide da se stesso, apre un varco in se stesso, per attivarsi, oso dire così, nel Figlio che muore sulla Croce.

Quindi la de-coincidenza è al cuore della Bibbia…

C’è ancora qualcosa che va detto, si tratta forse di una banalità ma va ripensato ogni volta perché è al centro della risorse europee. Il Vangelo è scritto in greco, in de-coincidenza con la lingua in cui Gesù l’ha concepito. Trovo molto significativo che il messaggio religioso cristiano de-coincida dal suo idioma e si esprima nella lingua greca, la lingua dell’universale e del concetto. Il messaggio cristiano ha una capacità di apertura che non avrebbe avuto se fosse rimasto rinchiuso nel suo idioma, perché sarebbe rimasto idiota, nel senso etimologico, come qualcosa che resta serrato nel suo particolare e non ne esce.

Dà da pensare questa rilettura del cristianesimo alla luce della de-coincidenza!

Dirò di più. Non c’è un solo Vangelo che farebbe necessariamente coincidere la verità con se stessa, ma contiamo quattro Vangeli che esprimono un dispositivo di scarto che fa sì che ci siano ben quattro proposizioni evangeliche. Proposizioni che non sono gerarchiche, perché tra esse non c’è coincidenza di verità in quanto si illuminano a vicenda impedendo l’irrigidirsi delle stesse in una coincidenza.

Perché reputa importante riattivare il messaggio cristiano?

Abbiamo bisogno di risorse cristiane, indubbiamente. Devo però precisare che si tratta di risorse (ressources) e non di fonte o origine (source) di cui dobbiamo renderci conto.

Quali sarebbero questo risorse?

La nozione di evento, per esempio. Con il cristianesimo si pensa all’irrompere di qualcosa che distingue un prima da un dopo, che fa nascere il radicalmente nuovo. Penso alla Natività di Gesù. Dal cristianesimo proviene anche l’idea della soggettività infinita, che si distingue da quella proposta da Aristotele. La caratterizza l’intimo che costituisce una risorsa dell’umano, perché questa parola significa sia il più profondo di me sia il rapporto all’altro, la condivisione con l’altro, l’essere nell’altro, un pensiero fecondato dalla tradizione cristiana. Si tratta di risorse offerte che dobbiamo reimpiegare per rilanciare l’Europa.

(Questo articolo di Simone Paliaga è stato pubblicato sul sito di Avvenire, al quale rimandiamo; Photo Credits: Le Collège Supérieur)