Kirill: la cultura russa e la salvezza del mondo

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Cercando di non limitarsi a ripetere le affermazioni della solita propaganda di Stato nel contesto del conflitto universale tra la Russia e l’Occidente, il patriarca di Mosca qualche giorno fa a San Pietroburgo ha voluto approfondire con argomenti filosofici e letterari le motivazioni per cui la Russia si sente oggi chiamata a diffondere i “grandi valori” a cui la società universale avrebbe deciso di rinunciare. Su AsiaNews ne parla don Stefano Caprio, grande esperto della storia e della cultura russe, docente al Pontificio Intituto Orientale di Roma.

Il patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill (Gundjaev) è intervenuto al X Forum delle “culture unitarie” di San Pietroburgo, nella solenne sala del palazzo Marinskij del parlamento locale, sul tema della “Cultura nel XXI secolo: sovranità o globalismo?”, per ribadire le tesi fondamentali della missione del “mondo russo” nella realtà contemporanea. Cercando di non limitarsi a ripetere le affermazioni della solita propaganda di Stato nel contesto del conflitto universale tra la Russia e l’Occidente, il patriarca ha voluto approfondire con argomenti filosofici e letterari le motivazioni per cui la Russia si sente oggi chiamata a diffondere i “grandi valori” a cui la società universale avrebbe deciso di rinunciare.

Si tratta in qualche modo di ritrovare il ruolo di orientamento fondamentale della Chiesa ortodossa nella Russia militarista, ruolo che Kirill ha dovuto cedere a Putin nella fase dei conflitti dell’ultimo ventennio, a partire dal conflitto con la Georgia, dall’annessione della Crimea e poi con l’invasione dell’Ucraina. Il patriarca inizialmente non aveva appoggiato la radicalizzazione del confronto voluta dal presidente, ma negli ultimi due anni e mezzo di guerra non ha potuto (o voluto) fare altro che sostenere le giustificazioni del conflitto per la difesa dei valori tradizionali, che l’Occidente degradato vorrebbe cancellare dalla coscienza degli ucraini, dei russi e di tutti i popoli legati storicamente al “faro spirituale” della Mosca super-ortodossa. Il patriarcato ha ispirato questa linea ideologica fin dalla fine degli anni Novanta, e ora forse si rende conto di essere andato fin troppo oltre nelle pretese di definizione globale della “verità religiosa e culturale”.

Non a caso Kirill ha iniziato il suo intervento sottolineando la comune identità pietroburghese, per la quale “la piccola patria rimane sempre la città sulla Neva”, che rappresenta nell’identità russa la parte più occidentale, dal punto di vista culturale più ancora che geografica. Gli abitanti di San Pietroburgo, secondo il patriarca, “non hanno mai perduto il legame interiore spirituale, culturale e intellettuale con la città”, da cui del resto proviene lo stesso presidente Vladimir Putin, che a differenza di Kirill rappresenta piuttosto la fascia meno evoluta ed erudita della capitale settentrionale, come lo stesso Putin rivendica spesso, definendosi “uomo del popolo” e non certo un intellettuale delle élite aristocratiche.

Quindi il discorso di Kirill assume toni più profondi ed aulici, affermando che “un serio ragionamento sulla cultura deve essere sempre assiologico, cioè nella dimensione dei valori”, elevando la definizione che riguarda appunto i “valori tradizionali”, ribadito fino alla noia da Putin e da tutti i politici russi quasi senza un vero contenuto. Invece “la cultura è ciò che porta dentro di sé i valori”, spiega il patriarca, altrimenti “senza valori non si conserva alcuna cultura, che si dissolve nella polvere… noi conosciamo questi cataclismi che hanno distrutto intere civiltà”. Questa è la sfida che l’ortodossia russa vuole lanciare al mondo intero, la custodia della tradizione come garanzia della sopravvivenza della vera civilizzazione, il “meccanismo di trasmissione dei valori”.

Con una serie di dotte citazioni, Kirill commenta l’origine stessa del termine “cultura” a partire dal concetto di “culto”, che giustifica “l’approccio assiologico: ciò che ha valore è ciò che è santo per la società nel suo sviluppo storico”. La prevalenza della religione sulla stessa filosofia è un tema molto caro a Kirill, che nella relazione critica i principali teorici del razionalismo occidentale, da August Comte a Ludwig Feuerbach fino al “ben noto per noi russi” Karl Marx. Spesso il patriarca ha collegato questa “deriva positivista” con l’eredità della scolastica latina, un argomento classico delle polemiche teologiche tra cattolici e ortodossi, ma ora cerca di andare oltre, in quanto “nei nostri tempi questa pretesa di superiorità filosofica sulla religione è ormai riconosciuta come inconsistente, soprattutto dopo la conclusione del dramma dell’ateismo umanista del XX secolo”.

La sfida di oggi, secondo Kirill, è quella di trovare un nuovo senso della vita nelle società mondiali, disseccate dalle fonti della vera spiritualità. La filosofia marxista affermava che l’uomo “vive per le generazioni future, ma questo è un assurdo, allora la tua vita personale che valore può avere?”. Se l’uomo è soltanto una “cinghia di trasmissione”, anche chi verrà dopo di noi vivrà senza dare alcun senso all’esistenza, questa è “una relazione distruttiva con la personalità umana, con l’essere razionale che Dio ha destinato a scopi elevati”, afferma il patriarca. C’è bisogno di una nuova paideia, un processo di educazione e formazione dell’uomo, il termine greco che dà origine al significato stesso della “cultura”.

Il mondo di oggi non è più capace di formare, non trasmette neppure “la cultura fisica e il senso estetico”, e quindi oggi si rende necessario “fare ogni sforzo per difendere e proteggere le fondamenta stesse della cultura, come un coltivatore che non dimentica i semi nel terreno, che finirebbero soffocati dalla natura selvaggia”. Questa è proprio l’immagine che il patriarca vuole promuovere, comparando la cura russa dei valori con la “foresta incolta” dell’Occidente e in generale della società universale, in quella che egli chiama la raskulturivanie, la “de-culturizzazione” del mondo. Esempio di questa degradazione è stata la passata Olimpiade di Parigi, con i suoi simbolismi dissacranti e le sue polemiche di genere: “quando guardavo le immagini dei cortei inaugurali sulla Senna” – ricorda il patriarca – “mi dicevo: non si può offendere Dio in questo modo! Questo è un incredibile regresso della civiltà occidentale, che cerca di soffocare in sé tutte le altre culture”.

Gli uomini di oggi, secondo Kirill, “continuano a pronunciare parole comuni e a seguire le abitudini, senza chiedersi nulla sulla loro origine e sul loro significato”. I russi per dire grazie usano la parola Spasibo, che deriva da Spasi Bog, “Dio ti salvi”, e sono tanti gli esempi che il patriarca ricorda per indicare le radici del senso del vivere comune, che vanno ritrovate per evitare la raskulturivanie e non farla diventare una rasčelovečivanie, una “disumanizzazione” in cui “la cultura perde la propria anima”. Il patriarca ricorda che “il cristianesimo non è mai stato una proprietà di un’unica cultura, esso appartiene al mondo intero”, e va ben oltre il concetto di “mondo cristiano”, perché valorizza “ogni cultura nazionale come tesoro dell’intero mondo”. La cultura russa non fa eccezione, ma avendo attraversato prove particolarmente dure, “che ha saputo affrontare con coraggio”, oggi è la cultura in grado di “arricchire il mondo intero” e di contrastare “il globalismo che annulla e appiattisce le diverse culture, cercando di rendere tutti gli uomini uguali… questi uomini non saranno in grado di trasmettere i valori alle generazioni future, nella cancel culture, la cultura del clic in cui tutto è permesso”.

In conclusione, il patriarca Kirill pone dunque la domanda su cui il mondo intero oggi si divide: “la cultura del XXI secolo deve essere sovrana, oppure globale?”, e la riporta su un livello più profondo, “deve essere una cultura, oppure una anti-cultura?”. Si tratta di una questione su “che cosa deve essere oggi l’uomo”, ed egli propone la risposta del podvig, il termine monastico per indicare il sacrificio della persona per il bene comune. Citando infine il grande teologo russo Pavel Florenskij, martire del comunismo staliniano, egli ricorda le sue parole dal lager delle isole Solovki: “non fate niente che non abbia un vero gusto della vita, perché fare le cose in qualche modo può far perdere il senso di ogni cosa”.

Il patriarca russo riprende le riflessioni di molti ideologi ortodossi, cercando di evitare le sintesi troppo banali e radicali, appellandosi a pensatori come il teologo e politologo Aleksandr Ščipkov, che ha pubblicato nei giorni scorsi un saggio sulla “Crisi della teoria e della pratica delle azioni di difesa dei diritti umani” in cui commenta il “problema della concettualizzazione dei diritti liberali e della crisi degli istituti umanitari”. I russi insistono per dimostrare la debolezza della concezione occidentale della libertà, che si trasforma in una “dottrina dogmatica”, una “falsa metafisica” che rende impossibile la riconquista della vera libertà dei “valori” per cui oggi la Russia combatte. Esiste una guerra militare e una guerra di informazione, ma la guerra dei russi è anzitutto di principio, e chiede risposte alle domande più profonde del mondo contemporaneo.

[Questo articolo di Stefano Caprio è stato pubblicato sul sito di AsiaNews, al quale rimandiamo; Photo Credits: Patriarcato di Mosca]