Anche Kirill vuole mediare, ma nel conflitto del Nagorno-Karabakh

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Anche il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill, intende porsi come mediatore in un conflitto armato. Ma non nella guerra tra Russia e Ucraina, bensì nel conflitto, molto più limitato anche se annoso, per il Nagorno-Karabakh, enclave armena nell'Azerbaigian.

il patriarca Kirill ha infatti incontrato lo sceicco ul-Islam Allahshükür Pashazadeh, presidente dell'Ufficio per i musulmani del Caucaso. L'incontro è avvenuto il 19 maggio a Kazan, riferisce il servizio stampa del Patriarca. E secondo i media azeri, Kirill ha espresso la sua disponibilità a mediare tra i leader religiosi dell'Armenia e dell'Azerbaigian.

La guerra del Nagorno Karabakh - piccola regione montana del Caucaso il cui nome in azero significa "giardino nero di montagna" - è stato un conflitto armato che si è svolto tra il gennaio 1992 e il maggio 1994, nella piccola enclave del Nagorno Karabakh, nel sud-ovest dell'Azerbaigian, tra la maggioranza etnica armena del Nagorno Karabakh, sostenuta dalla Repubblica armena, e la Repubblica dell'Azerbaigian.

Il 30 agosto 1991 l’Azerbaigian dichiarò la sua indipendenza da Mosca e tre giorni dopo il Nagorno Karabakh, abitato prevalentemente da armeni, si distaccò dall’Azerbaigian proclamandosi repubblica autonoma. Fu l’inizio della guerra tra l'Azerbaigian e l'Armenia, che appoggiava la piccola repubblica indipendentista, conclusa nel maggio 1994, con un bilancio di ventimila morti e oltre un milione di sfollati e rifugiati, con un cessate il fuoco, ma non una pace definitiva.

A quasi vent'anni dalla sospensione delle ostilità la complessa situazione sul campo vede la Russia, che sostiene l'Armenia, cercare di ritagliarsi il ruolo di arbitro regionale, e l'Azerbaigian, in posizione di forza, rinsaldare la sua alleanza energetica con la Turchia, arricchito dai proventi di gas e petrolio e protetto dalla comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti, che non vogliono compromettere gli accordi petroliferi raggiunti. L'Armenia, in difficoltà, cerca l'appoggio dei vicini Iran e Georgia per non venire stritolata dall'alleanza turco-azera.

Nel novembre 2008 il presidente dell’Armenia Serzh Sargsyan e il presidente azero Ilham Aliyev hanno firmato un importante accordo, il primo del genere dopo lungo tempo, impegnandosi a cercare una soluzione del conflitto, ma l'intensificarsi degli scontri alle frontiere nel corso del 2012 ha ridestato le preoccupazioni della comunità internazionale, che temono un coinvolgimento di tutti gli attori regionali.

I due paesi sono ancora tecnicamente in guerra e il governo dell'Azerbaigian minaccia di riconquistare il Nagorno-Karabakh con la forza militare, se la mediazione dell'Osce, Gruppo di Minsk, non riuscirà nel suo compito. Le zone di confine tra il Nagorno-Karabakh e l'Azerbaigian rimangono militarizzate in un regime di "cessate il fuoco" spesso violato da entrambe le parti.

La situazione si è ulteriormente aggravata dopo che  il 12 dicembre 2022 manifestanti azeri (ben supportati dal governo) nel corso di una protesta a sfondo ambientalista hanno bloccato il corridoio di Lachin, denunciando uno sfruttamento armeno di risorse minerarie presenti nella regione. Questo passaggio ha una rilevanza strategica fondamentale per l’Armenia, essendo l’unico collegamento fra l’Armenia e il Nagorno Karabakh, circondato esclusivamente da territori sotto il controllo azero.

Il blocco ha determinato un tracollo nella sicurezza sanitaria e alimentare della piccola repubblica secessionista, e ha dato il via ad una pesante crisi economica. Sono migliaia i servizi e negozi che non sono in grado di lavorare. Inoltre luce e forniture di gas sono discontinue. I soli mezzi che passano sono quelli dei peacekeepers russi e della Croce Rossa. Amnesty International ha lanciato l'allarme per la situazione di circa 120.000 abitanti del Nagorno-Karabakh di etnia armena, le cui vite sono a rischio per l'impossibilità di reperire beni essenziali, medicinali e cure mediche fondamentali per i malati cronici. Il rischio è quello di una vera e propria catastrofe umanitaria, in parte già in atto.

E mentre l'Azerbaigian all'inizio di aprile ha istituito ufficialmente un posto di blocco sul corridoio di Lachin, mettendo ulteriormente sotto pressione l'Armenia, anche il Papa, in due Angelus il 18 dicembre 2022 e il 29 gennaio di quest'anno, ha fatto sentire la sua voce sulla grave situazione. "Rinnovo il mio appello per la grave situazione umanitaria nel Corridoio di Lachin, nel Caucaso meridionale - ha affermato Francesco in gennaio -. Sono vicino a tutti coloro che in pieno inverno sono costretti a far fronte a queste disumane condizioni. E' necessario compiere ogni sforzo a livello internazionale per trovare soluzioni pacifiche per il bene delle persone". Ma le reazioni, russe e occidentali, sono flebili: in questo momento, in piena guerra tra Russia e Ucraina, nessuno può permettersi un conflitto con Baku, che va ritagliandosi un ruolo sempre più centrale.

(Nella foto: il checkpoint azero nel Corridoio di Lachin)