L’Europa cambia passo sulla difesa, via al riarmo

A Bruxelles il Consiglio europeo ha approvato il piano per il riarmo del Vecchio Continente: l’intesa prevede maggiore flessibilità per gli Stati membri sulle spese e sul debito e un fondo da 150 miliardi per gli investimenti. Questo il punto di Alessia De Luca per l’ISPI.
Meno di un mese fa, lo scorso 14 febbraio, nel suo intervento alla Conferenza di Monaco J.D. Vance proiettava l’Europa in una nuova era. In un discorso ampio e infuocato, costellato di invettive contro i leader europei, il vicepresidente americano imprimeva un solco politico e ideologico profondo tra le due sponde dell’Atlantico, davanti a una platea attonita e smarrita. Pochi giorni dopo, l’umiliazione subita da Volodymyr Zelensky nello Studio Ovale, le ripetute minacce di imporre dazi e quel “l’Europa è nata per fregarci” pronunciato da Donald Trump confermavano l’incontrovertibile cambio di rotta di una Casa Bianca sempre più allineata a Mosca. Ieri, per la prima volta, l’approvazione da parte del Consiglio europeo di un piano per aumentare la difesa e la sicurezza degli Stati membri ha rappresentato una risposta – europea – al cambiamento dell’ordine internazionale in atto. I capi di stato e di governo dei 27 hanno approvato il piano da 800 miliardi di euro per il riarmo illustrato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen. L’intesa prevede maggiore flessibilità per gli Stati membri sulle spese e sul debito per la difesa e un fondo da 150 miliardi, oltre ad aprire all’ipotesi di valutare ulteriori opzioni di finanziamento. Ma soprattutto indica l’urgenza, maturata nelle ultime settimane, di cambiare passo e contribuire alla difesa di Kiev e del continente, con o senza il sostegno statunitense.
Ungheria isolata?
Se nella serata di ieri è arrivato il sì dei 27 sul piano ReArm Europe, più accidentato si è rivelato il percorso per una dichiarazione di appoggio all’Ucraina, dalla quale l’Ungheria si è sfilata. Il documento è stato firmato con l’unica eccezione di Budapest e allegato alle conclusioni del summit. Nel testo, i 26 si sono detti pronta a rispondere alle “pressanti esigenze militari e di difesa di Kiev, in particolare la fornitura di sistemi di difesa aerea, munizioni e missili”. In un primo momento anche la Slovacchia si era opposta, ma si è rimessa alla maggioranza dopo aver ricevuto rassicurazioni su un’apertura – ancora tutta da definire – sulla possibile ripresa del rifornimento di gas russo attraverso l’Ucraina. Al contrario, Viktor Orban questa volta non ha fatto marcia indietro all’ultimo momento in cambio di qualcosa, come era successo più volte in passato, ma ha mantenuto la propria contrarietà. Piuttosto che approvare un testo ammorbidito per venire incontro a Budapest, i leader hanno optato per un testo che è “fortemente sostenuto da 26 Stati membri” su 27. Per il presidente del Consiglio Europeo, Antonio Costa, l’Ungheria “si è isolata” dagli altri Stati membri ma “un Paese isolato”, ha notato, non significa “una Ue divisa”.
Una pace ‘decente’ in 5 punti?
Nel documento, i 26 tracciano una proposta in 5 punti per la pace in Ucraina: “In vista del nuovo slancio dei negoziati che dovrebbe condurre a una pace globale, giusta e duratura, il Consiglio sottolinea l’importanza dei seguenti principi” a) Non possono esserci negoziati sull’Ucraina senza l’Ucraina; b) Non possono esserci negoziati che incidano sulla sicurezza europea senza il coinvolgimento dell’Europa. La sicurezza dell’Ucraina, dell’Europa, transatlantica e globale sono interconnesse; c) Qualsiasi tregua o cessate il fuoco può aver luogo solo come parte del processo che porta a un accordo di pace globale; d) Qualsiasi accordo del genere deve essere accompagnato da solide e credibili garanzie di sicurezza per l’Ucraina che contribuiscano a scoraggiare future aggressioni russe; e) La pace deve rispettare l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina”. Per conseguire la “pace attraverso la forza” sottolineano i 26 l’Ucraina deve trovarsi nella posizione “più forte possibile”. A tale scopo, “l’Unione europea resta determinata, in coordinamento con i partner che condividono le stesse idee e con gli alleati, a fornire all’Ucraina e alla sua popolazione un sostegno politico, finanziario, economico, umanitario, militare e diplomatico rafforzato e ad aumentare la pressione sulla Russia, anche mediantel’adozione di ulteriori sanzioni e il rafforzamento dell’applicazione delle misure esistenti, al fine di indebolirne la capacità di continuare a condurre la sua guerra di aggressione”.
L’Europa s’è desta?
A meno di due mesi dal ritorno di Donald Trump allo Studio Ovale, vale la pena osservare che anche in Europa il quadro è mutato radicalmente: il Regno Unito, formalmente fuori dall’Unione, discute strategie e priorità nel sostegno all’Ucraina e nella difesa del continente con gli alleati europei. In Germania, il futuro cancelliere Friederich Merz ha rotto gli indugi prima ancora di entrare in carica e, annunciando la modifica al freno sul debito per investire 500 miliardi in difesa e infrastrutture tedesche, ha riattivato un motore franco-tedesco che sembrava in panne. La sua decisione, infatti, appare in linea con la proposta dell’Eliseo di mettere al servizio del continente la sua force de frappe, la deterrenza nucleare francese, sia pure sotto il controllo di Parigi. Un’offerta, formulata da Emmanuel Macron nel suo discorso alla nazione in diretta televisiva, che il premier polacco Donald Tusk ha definito “molto promettente” come anche la premier danese Mette Frederiksen, che ha aggiunto: “Tutto deve essere sul tavolo in questo momento”. D’altronde, in poche settimane, i ritmi europei hanno subito un’accelerazione mai vista prima. E se è presto per dire quanto profondi saranno i suoi effetti, è indubbio che ieri a Bruxelles, finalmente, l’Unione ha battuto un colpo.
Il commento di Antonio Missiroli, ISPI Senior Advisor
“Per la Francia, Macron ha menzionato l’urgenza di arrivare presto al 3-3,5 % del PIL per il bilancio della difesa e senza aumentare il carico fiscale complessivo: una sfida difficile, visto lo stato attuale dei conti pubblici di Parigi, e che costringerà le autorità politiche a dolorosi arbitraggi fra warfare e welfare – un dibattito che, del resto, è già in pieno svolgimento a Londra. Ma, ha spiegato Macron, “la nostra generazione non potrà più beneficiare del dividendo della pace, e dobbiamo sperare che i nostri figli possano beneficiare del dividendo delle nostre decisioni di oggi”.
[Fonte e Foto: ISPI]