L’INTERVENTO / Prodi su Vita Pastorale, “ora l’Europa è a un bivio”

Di Romando Prodi, da Vita Pastorale
Fratelli tutti è un’enciclica estremamente importante, che ha avuto un’eco mondiale. È stata meditata e discussa in tantissime sedi, perché tocca temi di larghissimo respiro. Non solo tratta della convivenza tra le persone e tra i popoli, ma ha riflessi anche sullo stesso ordine mondiale. D’altronde, questo orizzonte fraterno e universale parte da san Francesco. Basti ricordare il suo incontro con il Sultano. Il poverello di Assisi non parlava l’arabo, che cos’è andato a dire, e cos’è andato a fare dal Sultano? Certamente non è andato a convertirlo. Il suo è stato un gesto di fraternità.
Un esempio da imitare. Quel che è mancato nella politica mondiale di questi ultimi anni è proprio il dialogo. E c’è da sperare che si torni a incontrarsi e a dialogare. Quando ci fu la crisi dei missili a Cuba, c’era l’angoscia che scoppiasse una guerra nucleare tra gli Stati Uniti e l’Unione sovietica. Pericolo scongiurato perché i due leader Kennedy e Kruscev si parlarono e concordarono che la “linea rossa” Mosca-Washington era più conveniente dell’escalation nucleare. I due leader non hanno stipulato nessun trattato, si sono semplicemente parlati. Cosa che oggi avviene più difficilmente.
Il dialogo nella politica è assolutamente indispensabile. Con tutti. Occorre parlare e trattare anche con i dittatori. A parlare con san Francesco sono tutti buoni, ma con il lupo è un problema. Se si rompe il dialogo, in questo mondo è finita. E oggi pare che questo dialogo si sia interrotto. Il mondo delle guerre non è finito e il secolo della pace non è ancora arrivato. È vero, invece, quanto afferma papa Francesco che c’è in corso una Terza guerra mondiale a pezzi. Ma se continuiamo così, prima o poi, i pezzi si ricompongono.
Lo vediamo, in questi ultimi anni, con il conflitto in Ucraina, nel cuore dell’Europa; lo vediamo con i problemi del Medio oriente, tra israeliani e palestinesi in particolare. E prima ci sono state le guerre in Iraq e in Siria. E c’è da chiedersi quanto influisca, in questo contesto geopolitico e nella politica contemporanea, l’uso della religione o della democrazia che si intende esportare, come è avvenuto in Iraq.
Se si parte da questo punto di vista, la guerra è inevitabile. Se noi pensiamo di imporre cristianesimo e democrazia agli altri Paesi otteniamo soltanto lo scontro, perché anche gli altri, l’Islam in particolare, vorranno fare lo stesso. Sotto questo aspetto, il mondo sta ripercorrendo la vecchia tragedia delle guerre di religione in Europa. Occorre che ci sia una netta distinzione tra fede e politica; possono e devono cooperare tra di loro, ma hanno un ruolo diverso nella trasformazione mondiale.
Tutto ciò fa emergere l’importanza della diplomazia che, in questi tempi, sembra essere scomparsa del tutto, rispetto a una o due generazioni fa. E questo è uno dei grandi problemi odierni. Guardando alla guerra in Ucraina, che ci è così vicina, possiamo dire che, sostanzialmente, non c’è stata nessuna mediazione da parte dell’Europa. Sì, ci sono stati diversi tentativi, ma l’Europa è sempre stata assente. Abbiamo avuto perfino qualche tentativo saudita o brasiliano, ma mai uno europeo. In ogni caso, la diplomazia ha assunto un ruolo assolutamente secondario. Perché?
Forse la ragione è che l’ideologia è tornata a essere molto forte nelle controversie politiche. Ecco, allora, che il mondo si è diviso non solo dal punto di vista del potere economico e finanziario, ma anche dal punto di vista fortemente ideologico. Un’ideologia, nella maggior parte dei casi, barattata con interessi petroliferi o vendita di armi, e diventata un ulteriore elemento di tensioni nel rapporto fra i diversi Paesi.
Ecco, quindi, la tensione nella quale stiamo vivendo. E che ci impone di riprendere i fili del dialogo. Non soltanto a livello della massima politica, ma anche a livello culturale. Quando, ad esempio, a causa della guerra in Ucraina si vieta in un Paese la lettura o un incontro su Dostoevskij ciò è davvero imperdonabile. Vuol dire che siamo arrivati al di là della ragionevolezza. E poi, proprio Dostoevskij, lo scrittore che più di ogni altro ha tentato di sondare l’animo umano con i suoi drammi e le sue tensioni!
Ma questo è il mondo in cui viviamo. Un mondo dove il potere non è ancora definito in modo completo. E dove c’è una profonda ristrutturazione della politica internazionale. Se prima c’era un’unica potenza dominante, gli Stati Uniti, adesso siamo di fronte alla tensione tra due grandi potenze, gli Usa e la Cina, che induce gli altri Stati a costruire alleanze sempre più forti.
Gli Stati Uniti rimangono ancora la potenza numero uno dal punto di vista militare, ma debbono adottare una strategia di difesa sia sotto l’aspetto economico che politico, perché c’è un altro antagonista nel panorama mondiale, che condiziona tutti i Paesi. Anche la soluzione della guerra in Ucraina non può prescindere dal dialogo tra Usa e Cina, perché l’Europa ormai non ha più alcuna possibilità di parola. E nemmeno la Russia è in grado da sola di fare la pace con l’Ucraina.
Ora siamo di fronte alla rottura del mondo in due: da una parte gli Stati Uniti e dall’altra la Cina. O come dicono gli analisti politici: West contro Rest; e gli altri Paesi a dover decidere da che parte stare tra le due grandi potenze. Questo è il vero problema. La Cina, ormai, ha uno strapotere assoluto nei confronti della Russia. Nei dieci anni prima del Covid è cresciuta di una Russia all’anno.
D’altra parte, l’Europa è diventata sempre più debole, sempre più incapace di parlare con il suo naturale alleato, gli Stati Uniti. A maggior ragione ora con Donald Trump, personaggio alquanto bizzarro a capo del più grande Paese al mondo. L’Europa non solo sarà chiamata a un notevole aumento delle spese militari, ma corre il grave rischio di un’ulteriore frammentazione, perdendo di fronte alle due grandi potenze la sua capacità di mediazione, che in passato era fortissima.
Mediazione, un tempo, molto rispettata dalla Cina. Quand’ero presidente della Commissione europea, negli incontri del G7, il presidente cinese era interessato a una sola cosa: l’avvento dell’euro. Il resto non gli interessava proprio perché se accanto al dollaro c’era l’euro, ci sarebbe stato posto anche per la moneta cinese. Si prospettava, allora, un mondo pluralistico con l’Europa mediatrice. Anche nei confronti della Russia.
L’Unione europea, nel frattempo, si allargava, suscitando grandi speranze e includendo otto Paesi del Patto di Varsavia. Allargamento reso possibile grazie al semaforo verde da parte della Russia, purché non avesse la Nato ai propri confini.
Questo è il quadro in cui l’enciclica Fratelli tutti si trova a operare. E che sollecita la necessità di avere dialoghi paritari fra tutti i componenti dell’umanità. Dialogo e diplomazia. E, sotto l’aspetto religioso, anche la conferma dei propri princìpi, senza pensare di poterli imporre agli altri. Una buona politica internazionale dev’essere come un ponte, dove passano tutti, e tutti sono diversi. Il problema è stabilire le regole del traffico. E questo è ciò di cui abbiamo assolutamente bisogno.
C’è poi da tenere presente l’aspetto economico. E anche qui siamo di fronte a una situazione di estremi cambiamenti. Il liberismo assoluto, in generale, ha avuto un effetto devastante in merito a un’equa distribuzione del reddito e della ricchezza. In tutti i Paesi del mondo, sia comunisti che capitalisti, è aumentata la disuguaglianza. In Cina, ad esempio, la differenza di reddito è impressionante. E così la società si è ulteriormente spaccata, indebolendo dappertutto la democrazia.
In questi ultimi vent’anni, i Paesi democratici hanno perso non solo la leadership morale, ma anche la guida politica, a causa delle divisioni al loro interno. In Europa, Germania e Francia si stanno sfrangiando per la moltiplicazione dei partiti o per coalizioni di governo litigiose tra loro. Lo stesso avviene anche negli Stati Uniti, dove si è accentuata una divisione fra ricchi e poveri, fra aree metropolitane e campagne, tra bianchi e neri, tra colti e incolti. Nel Paese non c’è più la speranza di poter migliorare la propria condizione e passare a una categoria superiore.
Pensiamo anche al problema che più angoscia l’Italia oggi: la sanità, cioè la salute dei cittadini. La disuguaglianza nella ricchezza e le difficoltà di bilancio dello Stato stanno facendo cadere un grande strumento di fraternità che è il welfare sociale. Uno spezzettamento della società che si ritrova anche negli altri Paesi europei. Stiamo costruendo strutture politiche, sociali ed economiche che generano divisioni, scomponendo ancor di più la società.
Come comporre, allora, la fraternità nell’ambito di un Paese? Oltre alla redistribuzione del reddito, c’è da considerare il crollo delle strutture intermedie della società, ossia la delegittimazione e il venir meno delle rappresentanze sindacali, produttive e culturali. Qui si sono davvero rotti i ponti! Cioè ogni forma di intermediazione. E questo va assolutamente ricomposto, per creare una classe dirigente e politica che abbia il senso complessivo della società. Cerchiamo il leader solitario perché non esistono più forme rappresentative, quali il partito, il sindacato… imperfetti quanto si vuole, creavano però quella composizione che generava una vera leadership.
In Italia, inoltre, siamo vittime di una pessima legge elettorale che rompe per definizione il rapporto fra il rappresentante del popolo e il Paese. I parlamentari vengono eletti sostanzialmente dai vertici dei partiti. E non hanno più alcun rapporto diretto con il territorio. Dopodiché se arriva un leader autoritario, tutti esultano, perché almeno decide e ci toglie dalla frammentazione. Paradossalmente, prima abbiamo demolito le reti democratiche e poi facciamo appello all’autorità superiore!
La stessa cosa sta avvenendo a livello europeo. Dove si sta imponendo la visione dei singoli Paesi, rappresentati da Consiglio, a scapito della visione unitaria propria della Commissione europea, organismo sovranazionale. Se poi si aggiunge il diritto di veto di ogni singolo Paese, allora siamo alla paralisi totale dell’Europa. La democrazia europea si sta auto suicidando con delle regole che sono per una casta chiusa, non per l’apertura agli altri. Il diritto di veto va abolito, a favore di decisioni prese a maggioranza. Altrimenti l’Europa resterà paralizzata.
Infine, se a Bruxelles si può solo mediare e non decidere, perché i giovani dovrebbero abbracciare l’Europa e non gli estremismi o i nazionalismi? E perché non dovrebbero astenersi alle elezioni? L’Unione europea ha bisogno di avere obiettivi comuni, e la possibilità di poterli raggiungere. Perché sono alla sua portata.
[Fonte: Vita Pastorale; Foto: Europa Today]