L’INTERVISTA / Il presidente dei vescovi europei, “i popoli devono essere liberi di scegliere il proprio destino, basta imperialismi”

Il lituano monsignor Gintaras Grušas, arcivescovo di Vilnius e dal 2021 presidente del Consiglio delle conferenze dei vescovi d’Europa (Ccee), risponde da Kyiv a Tra Cielo e Terra durante la sua visita in occasione delle celebrazione per l’anniversario dell’indipendenza dell’Ucraina. “Qui c’è speranza che questa guerra finisca, ma oggi anche frustrazione per lo stallo dei negoziati”, afferma. “Se la Russia non viene fermata sull’Ucraina, con una pace giusta, in futuro ci saranno rischi anche per altri Paesi, come quelli baltici”.
Di Antonella Palermo
Monsignor Grušas, come ha trovato la città di Kyiv?
Tranquilla. Gli stessi ucraini hanno detto che, nonostante i missili, la presenza del generale Kellogg [l’inviato del presidente americano Trump per l’Ucraina, ndr] ha consentito una notte tranquilla.
Come è andata l’iniziativa di Preghiera mondiale per l’Ucraina, ieri, in occasione della festa nazionale? Anche Papa Leone XIV si è unito spiritualmente…
È stata molto ben ripresa da tutto il mondo. C’è stata una risposta da parte di tutta l’Europa a questa catena di preghiera cominciata da venerdì scorso con la Giornata di preghiera e digiuno che ha voluto il Papa. Ha riunito migliaia di persone da tutti i continenti. È stato molto bello.
Quale il sentimento prevalente?
La speranza che la fine di questa guerra arriverà. Ci vuole prima di tutto la supplica al Signore, Colui che dà la vera pace.
Quali le sue impressioni sui negoziati di pace per l’Ucraina?
Un po’ di frustrazione, per il fatto che non vanno avanti. Ci sono le difficoltà che vediamo… Tutti vogliamo l’arrivo di questa pace ma si vede che è bloccata.
Ma siamo sulla via giusta, in merito al metodo di coinvolgimento dei leader europei sotto la regia del presidente americano?
Mi pare che dobbiamo cercare tutte le vie possibili. Soprattutto, l’Europa deve essere coinvolta perché tocca all’Europa per prima la ricerca della pace.
Ma l’attuale coinvolgimento dell’Europa lei come lo giudica?
Ci vuole sempre di più. Mi pare che se l’Europa sarà più unita, sarà più sicura in questa decisione di fare tutto il necessario per la pace. Più determinata a fare di tutto.
Insomma, l’unità dell’Europa aumenta l’efficacia nel perseguire la pace?
Sì, dobbiamo lavorare per questa unità. Non è qualcosa che arriva da sé stessa. È frutto del dialogo, insieme, per poter dare all’Ucraina il supporto per la libertà.
Eccellenza, in questi giorni abbiamo anche celebrato l’anniversario della cosiddetta ‘via baltica’. Il 23 agosto di trentasei anni fa, circa due milioni di persone formarono una catena umana ininterrotta, pacifica e lunga seicento chilometri, nelle allora repubbliche socialiste sovietiche di Estonia, Lettonia e Lituania, partendo da Tallinn, collegandosi con Riga ed arrivando fino a Vilnius. Fu un potente atto simbolico, da parte delle popolazioni baltiche non russe, contro l’invasore sovietico e a favore del ritorno all’indipendenza. Nella situazione attuale, lei intravede insicurezza per i Paesi baltici di fronte all’imperialismo russo?
Storicamente, tutti coloro che vivono nei Paesi baltici sono stati uniti proprio dalla speranza e dalla volontà di essere liberi. Tanti anni di occupazione sono un grido al mondo: le persone devono essere libere di scegliere, e seguire la propria volontà per la libertà. L’imperialismo, che ha dominato anche i nostri Paesi, in questo momento attacca il popolo ucraino che deve essere libero di scegliere.
Ci sono oggi dei rischi per i Paesi baltici?
Se in Ucraina non si arriva a una pace giusta, sì. Perché l’imperialismo è anche la retorica che esce da alcuni politici della Russia di tornare alla storia imperialistica, che cerca di prendere sempre di più finché qualcuno non la fermerà.
In Lituania, nel suo Paese di origine, c’è una mobilitazione per la difesa della propria libertà?
Sì, hanno rinforzato la chiamata alle armi. Abbiamo avuto già due droni che sono arrivati sopra il nostro territorio, droni che magari erano diretti sull’Ucraina ma noi ce li siamo ritrovati sulle nostre teste. È un segnale… Quest’anno i tedeschi hanno collocato una loro brigata in Lituania: questo dà ai lituani più sicurezza.
Lei è preoccupato?
C’è preoccupazione. Come ho detto, se la Russia non viene fermata sull’Ucraina, continua a espandersi su altri territori e i Paesi baltici sono alla frontiera…
Per quanto riguarda la situazione a Gaza e nei territori palestinesi, da presidente dei vescovi europei, come vede l’atteggiamento dell’Europa di fronte all’offensiva israeliana?
Quello è un disastro umanitario. I politici devono fare tutto il possibile per fermare questo disastro e salvare le vite. Vari governi europei provano a inviare assistenza. Dobbiamo pregare, perché non si vede l’uscita giusta.
Alcuni Stati, penso alla Francia, dichiarano di essere pronti al riconoscimento dello Stato palestinese. È sufficiente, secondo lei?
Devono cercare sia di fermare i missili sia di far arrivare l’aiuto umanitario. La soluzione di lungo periodo è quella a due Stati dove sia gli israeliani sia i palestinesi possono vivere in pace ciascuno sul proprio territorio. Ma al momento bisogna trovare la possibilità di fermare l’eccidio delle masse.
Come?
È una sfida di diplomazia e di preghiera.
[Foto: Liberating a Continent]