L'islam russo di fronte alla guerra

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Isljam Tokhlu, capo del centro culturale dei tatari di Crimea, sulle preghiere in favore dei "combattenti dell'operazione militare speciale": "Sono un elemento estraneo alla tradizione musulmana al servizio di armate di occupazione. E anche la giustificazione con la difesa dei valori tradizionali contro l'Occidente difficilmente si può applicare al contesto caucasico". Ne riferisce Vladimir Rozanskij su AsiaNews.

La questione della partecipazione dei musulmani della Russia alla guerra in Ucraina richiede una definizione adeguata, se si tratti davvero di una Jihad o rischi di apparire come un crimine nei confronti di Allah. Per chiarire questa e altre delicate questioni, come la condiscendenza dei ministri del culto islamico verso le interpretazioni della sacra scrittura ad uso del regime di Mosca, il sito Idel.Realii ha intervistato lo studioso del Corano Isljam Tokhlu, capo del centro culturale dei tatari di Crimea.

Nelle ultime settimane, una delle questioni più discusse in Russia e nei Paesi dell’Asia centrale riguarda il ruolo della donna nell’islam, e in particolare l’abbigliamento che indossa, con il divieto in diversi regioni a portare il Niqab. Ha poi fatto scalpore il video in cui l’imam Timur Kamaev di Kazan spiega qual è la giusta modalità per “picchiare la moglie”. Tokhlu parte dal principio che nella tradizione islamica, “come in ogni altra religione che si basa sulle scritture”, bisogna anzitutto distinguere ciò che sta scritto sui sacri testi rispetto alle interpretazioni dei teologi, spesso dipendenti “dalla loro posizione geografica”.

Il precetto ricordato dell’Ayat 34, citazione riportata con scritte sui muri in alcune recenti contestazioni di musulmani in diverse città russe, esprime ciò che “è generalmente accettato in tutto l’islam sunnita”, con una traduzione pratica di controllo moderato nella vita familiare da riportare in tutti gli ambiti della vita sociale. Da qui il dilemma fondamentale su quanto siano decisive le interpretazioni del Corano sulle questioni più scottanti, considerando che “i tempi cambiano”, ricorda l’esperto. Se il testo dice nell’originale “parla con lei, e prendi le distanze”, tradurlo con “prendi la frusta e picchiala” potrebbe portare a violenze domestiche anche molto più radicali da quelle proposte dall’imam del Tatarstan.

Questa ambiguità si riflette anche riguardo alla tragica dimensione della guerra, quando i fedeli musulmani vengono invitati ad allinearsi a quelli ortodossi, formando riunioni di preghiera in favore dei “combattenti dell’operazione militare speciale”, come ha fatto il presidente del Baškortostan, Radij Khabirov. In questo caso si introduce un elemento estraneo alla tradizione islamica, i moleben collettivi tipici della liturgia bizantino-slava, tanto più “per la salvezza dei soldati e la vittoria nella guerra”.

Come spiega Tokhlu, “è importante non introdurre pratiche diverse da quelle dello stesso profeta Maometto”, per cui si può pregare individualmente per i propri cari, ma non riunirsi per motivazioni collettive e contingenti. In questo caso “si prega di fatto per le armate di occupazione, e per le persone che impongono regimi coloniali, cosa inaccettabile per l’islam”. Anche la definizione di Jihad per la guerra russa in Ucraina è a suo parere del tutto impropria, in quanto “il Jihad esterno, quello secondario rispetto allo sforzo interiore e spirituale, indica la difesa della propria vita, della famiglia e del popolo, o dell’intera comunità musulmana, se necessario anche con la guerra”.

Il Corano indica lo scopo difensivo del Jihad bellico, ma qui si tratta di “un’aggressione e un’occupazione”, e se i russi intendono giustificarla come “difesa dei valori tradizionali contro l’Occidente”, difficilmente si può applicare questa interpretazione all’islam russo-caucasico, “ben radicato nelle proprie tradizioni”. Secondo lo studioso, chi combatte in un esercito simile “è da considerarsi un miscredente”, che offre la propria vita per scopi estranei alla religione. Semmai, ricordando l’occupazione russa dei territori tatari e caucasici dei secoli passati, “avrebbe senso una guerra contro i russi occupanti”. Si tratta quindi di “un controllo della politica sulla religione”, forzando le giuste interpretazioni delle scritture islamiche “e di fatto anche di quelle cristiane”.

[Questo articolo di Vladimir Rozanskij è stato pubblicato sul sito di AsiaNews, al quale rimandiamo; Photo Credits: AsiaNews - Flickr/Tatarski szlak]