
Nato: un vertice per l’ego di Trump?

Gli alleati aumentano la spesa per la difesa come vuole Trump, e l’Ucraina resta ai margini per non indispettirlo. Così al vertice Nato l’Europa paga il prezzo della sua debolezza. Il punto dell’ISPI.
Incontro cruciale per il futuro dell’Alleanza o messa in scena per offrire a Trump il successo in politica estera che desidera? Il vertice Nato che si è appena concluso all’Aia è stato entrambe le cose. Scongiurato il rischio che Donald Trump mancasse l’appuntamento per seguire gli sviluppi della crisi in Medio Oriente (dando l’impressione, tanto più grave perché fondata, di snobbare gli alleati), il presidente ha garantito comunque agli astanti qualche brivido lungo la schiena. Intanto, ancora prima di atterrare, nei colloqui con i giornalisti a bordo dell’Air Force One, ha messo in dubbio che in caso di attacco contro un paese membro gli Stati Uniti sarebbero tenuti ad intervenire. L’articolo 5 del Trattato dell’Alleanza Atlantica “va interpretato” ha detto, salvo poi fare parziale marcia indietro e, una volta arrivato, affermare che “saremo sempre al loro fianco”. Il tycoon ha anche pubblicato su Truth un messaggio privato inviatogli dal Segretario generale della Nato, Mark Rutte, in cui gli faceva i complimenti per il “grande successo” che si profilava al vertice. “L’Europa pagherà il suo contributo in modo consistente, come è giusto che sia, e sarà una tua vittoria”, si legge nel messaggio: “Otterrai qualcosa che nessun altro presidente americano è riuscito a fare in decenni. Non è stato facile ma siamo riusciti a far sì che tutti si impegnino a raggiungere il 5%”. Un messaggio ossequioso al punto da risultare imbarazzante per Rutte e che evidenzia come la coreografia del vertice fosse finalizzata a garantire un trionfo al presidente Usa, adulandolo in modo che non abbandoni l’alleanza.
Tutti al 5%, tranne Madrid?
Il messaggio di Rutte rivela quanto gli europei siano spaventati di fronte all’annunciato disimpegno delle forze americane dal Vecchio Continente. Per questo, nel corso dell’incontro, gli alleati si sono impegnati – nonostante la contrarierà di alcuni paesi membri – a destinare alla difesa una cifra pari al 5% del proprio pil entro il 2035. Una richiesta esplicita di Trump per “riequilibrare” il costo della sicurezza dell’Europa tra gli Stati Uniti e gli alleati, in modo da poter rivendicare il risultato con la base Maga, euroscettica e ostile al Vecchio Continente. Per raggiungere l’obiettivo, che neanche gli Stati Uniti raggiungono, allocando per la difesa il 3,5% circa, Rutte ha escogitato uno stratagemma: il 5% potrà essere scorporato in due parti, il 3,5% di difesa in senso stretto e l’1,5% in generica “sicurezza”; non solo, i progressi compiuti rispetto agli obiettivi di spesa elevati, in aumento rispetto all’attuale obiettivo del 2%, saranno riesaminati nel 2029. Resta da chiarire la posizione della Spagna: il premier Pedro Sanchez insiste sul fatto che Madrid avrebbe ottenuto un’esenzione dal controverso obiettivo di spesa mantenendo il proprio impegno al 2,1%. Un obiettivo, ha detto il premier “sufficiente, realistico e compatibile” con il modello sociale spagnolo.
Kiev ai margini della scena?
Pur definendo l’accordo del 5% “un grande successo”, Trump non ha voluto rassicurare gli europei sulla difesa dell’Ucraina. Il Segretario di Stato, Marco Rubio, ha infatti respinto le richieste dell’Europa di inasprire le sanzioni contro la Russia, affermando che gli Stati Uniti vogliono ancora “spazio per negoziare” un accordo di pace. “Se facessimo quello che tutti qui vogliono che facciamo, cioè intervenire e schiacciarli con ulteriori sanzioni, probabilmente perderemmo la capacità di parlare con loro del cessate il fuoco e allora chi parlerebbe con loro?”, ha affermato Rubio in un’intervista esclusiva con Dasha Burns di POLITICO a margine del vertice. Ciononostante Trump non ha chiuso la porta a Kiev. Rubio ha affermato, infatti, che i russi “cercheranno di ottenere sul campo di battaglia ciò che hanno chiesto al tavolo delle trattative, ovvero che certi territori [mantengano] le loro linee amministrative e cose del genere – ha detto – Pensiamo che sarà molto più difficile per loro ottenerlo di quanto pensino”. Gli europei hanno dovuto esercitare tutta la loro capacità di persuasione per includere l’Ucraina nella dichiarazione finale, perché gli ucraini combattono contro la Russia e “contribuiscono così alla sicurezza dell’Alleanza”.
Nessuna condanna a Mosca?
Nel 2024, il comunicato del vertice di Washington descriveva la Russia come la “minaccia più significativa”. Nel 2025, un linguaggio del genere non è più appropriato: Washington si era opposta a definire la Russia un “nemico” mentre l’Ucraina è menzionata tramite il sostegno finanziario che le viene fornito e che può essere “considerato” nel calcolo del 5% da destinare alla difesa. Inoltre, nella dichiarazione finale del summit gli alleati ribadiscono “il loro impegno sovrano a fornire sostegno all’Ucraina”, ma dal documento è escluso ogni riferimento a un futuro ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza, al contrario di quanto accadde l’anno scorso a Washington, dove si stabilì il principio del “percorso irreversibile”. Gli alleati si dichiarano “uniti di fronte a profonde minacce e sfide alla sicurezza, in particolare la minaccia a lungo termine rappresentata dalla Russia per la sicurezza euro-atlantica e la persistente minaccia del terrorismo”. Ma come ampiamente atteso, la dichiarazione non prevede una netta definizione dell’invasione russa come “guerra di aggressione”. Il paradosso è che il vertice con cui l’alleanza ha deciso di aumentare la propria spesa militare, si rifiuta di indicare quale sia il nemico da contrastare. La colpa è della compiacenza nei confronti del presidente Usa da parte degli europei su cui, di fatto, ricade la responsabilità di sostenere l’Ucraina attraverso aiuti militari e sanzioni aggiuntive contro Mosca. Ma senza dirlo troppo ad alta voce, per timore di contrariare Trump.
Il commento di Antonio Missiroli, ISPI Senior Advisor
“Già all’indomani dell’Aja i leader dei 27 paesi UE si riuniranno per il loro summit, a Bruxelles, e sarà importante capire come intendono posizionarsi rispetto alla prospettiva di un disimpegno americano, che potrebbe cominciare già a settembre con il taglio degli aiuti (innanzitutto economici) all’Ucraina – senza contare i negoziati in corso sui dazi, la marginalizzazione degli europei dalla diplomazia mediorientale, o le divergenze su Putin. Per gli europei, la vera sfida consisterà nel preservare il preziosissimo patrimonio di deterrenza e interoperabilità della Nato (compresa la sua ‘cultura aziendale’) sviluppando nello stesso tempo al suo interno, anche attraverso la UE, le capacità militari e la coesione politica e strategica indispensabili per poter fare a meno – dovesse davvero dimostrarsi necessario – della protezione, almeno convenzionale, di Washington.
[Fonte: ISPI; Foto: Governo Italiano]



