Putin e il ‘ni’ alla tregua

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Zelensky ha detto un sì incondizionato al cessate il fuoco di 30 giorni, mentre Putin ha dato una risposta che non è né un sì né un no, tesa a guadagnare tempo. Questo il focus dell’ISPI.

Vladimir Putin non dice ‘no’ alla proposta di cessate il fuoco di Washington e Kiev, ma neppure sì. E pone le sue condizioni dichiarando di aver bisogno di “ulteriori chiarimenti”. Il presidente russo, dopo 48 ore di attesa dall’annuncio della proposta di tregua provvisoria di un mese formulato tre giorni fa a Gedda, ha affermato che qualsiasi cessate il fuoco dovrà portare a “una soluzione definitiva” del conflitto che ne risolva “le cause profonde”. “L’idea in sé è buona e la sosteniamo incondizionatamente – ha detto – ma ci sono questioni di cui dobbiamo discutere e penso che dobbiamo discuterne con i nostri colleghi e partner americani”, aggiungendo che altrimenti alle forze ucraine “verrà data la possibilità di ritirarsi, riorganizzarsi e riarmarsi”, proprio mentre l’esercito russo avanza nella regione di Kursk, il saliente russo conquistato dalle truppe di Kiev. Putin ha anche posto degli interrogativi su come funzionerebbe una tregua, chiedendo: “Chi darà l’ordine di porre fine ai combattimenti? A quale costo? Chi deciderà chi ha infranto un possibile cessate il fuoco, su oltre 2mila km? Tutte queste domande richiedono un lavoro meticoloso da entrambe le parti”. Putin non ha respinto l’apertura di Trump. L’ha definita “grande e corretta” e ha detto di sostenerla in linea di principio. Ma le sue obiezioni e le richieste di ulteriori colloqui, suonano come un tentativo di guadagnare tempo, mentre le truppe russe avanzano sul terreno. “Sulla base di come si svilupperà la situazione – ha dichiarato – concorderemo i prossimi passi per la cessazione del conflitto e per raggiungere accordi accettabili per tutti”.

Non dire ‘no’ a Trump?

Le precondizioni poste da Putin per un cessate il fuoco coincidono essenzialmente con gli obiettivi bellici di Mosca: riconoscimento dell’annessione da parte di Mosca di quattro regioni sudorientali parzialmente occupate (Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk, Luhansk) e della penisola di Crimea; l’impegno, da parte di Kiev, a non unirsi mai alla Nato e l’organizzazione di nuove elezioni che portino alla sostituzione del presidente Volodymyr Zelensky. La Russia sta inoltre spingendo per un arretramento della Nato, la cui espansione a est, secondo la narrativa del Cremlino, avrebbe ‘costretto’ Mosca a ordinare l’invasione dell’Ucraina nel 2022. Di fatto – secondo diversi osservatori – la risposta interlocutoria di Putin si deve a due esigenze: se da un lato non vuole essere accusato di ostacolare l’accordo a cui Trump ha formalmente aderito, dall’altro sa che in questo momento la guerra volge a suo favore e non intende desistere senza ottenere qualcosa in cambio. La contropartita, in cambio della fine delle ostilità, potrebbe essere di tipo economico: Putin ha infatti lasciato intendere che gli Stati Uniti e la Russia stanno negoziando per garantire le forniture di gas all’Europa, in seguito a un articolo del Financial Times secondo cui il suo amico Matthias Warnig sta progettando il riavvio del gasdotto russo Nord Stream 2. “Se gli Stati Uniti e la Russia raggiungono un accordo sull’energia – ha detto il presidente russo – allora il gasdotto per l’Europa sarà sicuro. Ciò sarà utile per l’Europa perché otterrà gas russo a basso costo”.

Questione di tempo?

Putin “non dice di no direttamente” ha commentato Zelensky ma “in pratica, sta preparando un rifiuto”. Secondo il presidente ucraino “Putin ha paura di dire direttamente al presidente Trump che vuole continuare questa guerra, che vuole uccidere gli ucraini”. E allora pone così tante precondizioni “che nulla potrà funzionare” afferma. Parole forti, a cui l’inquilino della Casa Bianca ha risposto invece con un esempio di perfetto equilibrismo. Putin ha fatto una dichiarazione “molto promettente” ma “non completa” ha detto Trump incontrando il segretario generale della Nato Mark Rutte. Il presidente ha quindi precisato che sarebbe “un momento molto deludente per il mondo” se la Russia rifiutasse un piano di pace. “Mi piacerebbe incontrarlo, parlare con Putin” ha fatto sapere ancora Trump. Ma per ora non è in programma nemmeno un nuovo colloquio telefonico tra i due leader, ha sottolineato il consigliere del Cremlino per la politica estera, Yuri Ushakov. Di certo, la flemma con cui Mosca ha apparentemente approcciato il dossier contrasta con l’urgenza di Trump per una svolta, mentre le sue politiche commerciali innescano crolli del mercato azionario e gettano ombre sull’economia. “Penso che siamo in ottima posizione per riuscirci. Vogliamo farla finita” ha detto Trump nello Studio Ovale in uno slancio di ottimismo in stridente contrasto con i toni di Mosca.

E adesso?

Il presidente russo si sente in una posizione di forza sul fronte militare e, sicuro del sostegno dei suoi sostenitori cinesi, nordcoreani e iraniani, può assumersi dei rischi. Zelensky, dalla sua, non ha altrettante certezze. Mentre sul campo sta perdendo posizioni nella regione russa di Kursk, vive con la costante minaccia dell’abbandono da parte degli americani. Gli ucraini sanno per esperienza che la Russia non ha mai rispettato i cessate il fuoco concordati in passato, e che anche in caso di tregua, dovranno tenersi pronti e cercare il sostegno degli europei, per cui la tenuta ucraina costituisce la prima garanzia di sicurezza. Nel mentre, i colloqui russo-americani proseguiranno con l’inviato americano Steve Witkoff, arrivato ieri a Mosca, e forse direttamente con una telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin. È qui che la situazione può sfuggire di mano. Donald Trump potrebbe veder svanire la sua vittoria diplomatica ed essere tentato di cedere troppo a Putin per salvarla. Il che andrebbe a scapito dell’Ucraina. Al contrario, se Trump dovesse percepire che Putin sta cercando di prenderlo in giro, potrebbe decidere di accelerare il supporto militare a Kiev, includendo molte delle armi e munizioni che l’amministrazione Biden ha rifiutato di trasferire all’Ucraina in tre anni di conflitto. Tutto considerato è chiaro che anche il leader russo si muove su una linea sottile: “Se le metti su una scala tra ‘nyet’, no, e il ‘da’, sì – osserva l’ammiraglio in pensione James Stavridis – le sue parole (di Putin) sono proprio nel mezzo”.

Il commento di Eleonora Tafuro Ambrosetti, ISPI Senior Research Fellow

“La Russia sente di negoziare da una posizione di forza: la ripresa di molti territori occupati dall’ucraina nel Kursk e l’avanzata, lenta ma costante, nel Donbas fa sì che Mosca si senta piuttosto sicura di sé. Probabilmente Putin è anche determinato a sfruttare l’ “empatia” di Donald Trump: in questo senso, la strategia potrebbe essere quella di dimostrarsi poco flessibile per ottenere un accordo di pace che favorisca le istanze russe, approfittando della morbidezza dimostrata finora dal Presidente americano. Ma qui Mosca potrebbe giocare col fuoco: la hybris russa potrebbe, infatti, portare ad un cambio della politica statunitense verso l’Ucraina a scapito di Mosca. Anche in questo caso, però, le posizioni di Kiev e di Mosca e il livello di vulnerabilità alle pressioni americane differiscono: se per la prima, la minaccia di uno stop del sostegno americano equivale a una minaccia esistenziale, per Mosca più sanzioni e più armi a Kiev sono solo business as usual.”

[Fonte: ISPI; Foto: Free Malaysia Today/CC BY 4.0 Deed]