Con Moni Ovadia, riflessioni sulle minacce alla pace
Moni Ovadia intervistato da Laura Tussi, autrice di Partigiani della pace (Editrice Missionaria Italiana). Laura Tussi è docente, giornalista e scrittrice e si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. L'altro autore del volume, Fabrizio Cracolici si occupa di ricerca storica contemporanea. Oltre alle interviste a Moni Ovadia, Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto, I partigiani della pace presenta esperienze e proposte per contrastare le logiche del conflitto e le sue conseguenze politiche, economiche e morali.
L'intervista - di cui riportiamo un estratto - è precedente ai recenti eventi verificatisi in Medio Oriente dal 7 ottobre 2023, ed ha per questo un sapore profetico: riguardo a Israele Moni Ovadia esprime infatti il totale dispregio per le risoluzioni internazionali e, conseguentemente, per le istituzioni internazionali preposte alla pace.
Pace, giustizia e istituzioni solide: è l'Obiettivo 16 dell'Agenda Onu 2030. A che punto siamo?
In una vignetta del mio amico Vauro, i missili israeliani piovono da tutte le parti. Il bambino dice a suo padre: «Papà ho paura». Il padre risponde: «Perché hai paura? Non siamo mica a New York». Noi abbiamo tolto a una parte dell’umanità persino il diritto alla paura. Abbiamo visto milioni di volte la ripetizione dell’efferatezza che ha portato alla distruzione delle Torri Gemelle con 2.890 morti circa, ma non abbiamo visto con la stessa frequenza le immagini dei morti innocenti iracheni e afghani delle cosiddette guerre umanitarie. Che merito abbiamo per essere nati in un posto invece di un altro? Nessuno. Non esiste un merito. Infatti anche Mimmo Lucano e Alex Zanotelli dicono di non chiedere mai a una persona da dove viene. Eppure la provenienza e il luogo di nascita diventano un merito. Un merito senza nessuna legittimazione che poi diventa privilegio e il privilegio alla fine viene confuso con il diritto.
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L’Onu dovrebbe essere l’istituzione che regola la pace ma è totalmente impotente, come si vede nelle violazioni delle risoluzioni delle Nazioni Unite: se sono praticate dai Paesi privilegiati vengono imbracciate come motivazione per essere eseguite immediatamente. Un esempio è il caso dell’Iraq. Ma se la violazione di una risoluzione, cito il caso della Palestina, che particolarmente mi sta cuore, viene fatta a danno dei non privilegiati, allora è bellamente sfregiata e ignorata: mi riferisco alla risoluzione 242 e 338.
La legalità internazionale è stata, da parte di ripetuti governi israeliani, calpestata con una indecenza che non ha limiti. Consideriamo che nessun governo israeliano ha fatto quello che doveva essere il dovere sacrale di un governo democratico, ossia stabilire i confini dello Stato di cui quel governo è governo. Lo Stato di Israele non ha una costituzione. Quindi non ha stabilito i suoi confini. Per cui l’arbitrio è la regola in tutte le cose che riguardano il conflitto israelo-palestinese. Vive una politica del totale dispregio per le risoluzioni internazionali e, con seguentemente, per le istituzioni internazionali preposte alla pace. Tutto questo a opera del governo e dell’autorità militare di un Paese in cui il saluto comune è “pace”; invece di dire “ciao” o “buongiorno” si dice “Shalom” cioè pace. La pace è addirittura iscritta nelle priorità della lingua.
Perché succede questo?
Perché lo Stato di Israele non fa eccezioni a quella che è stata la logica imperiale romana: si vis pacem para bellum, se vuoi la pace, prepara la guerra, cioè colpisci gli altri per avere la pace a casa tua. Prendo a esempio lo Stato di Israele non perché io sia contro Israele, ma perché pur essendo piccolo, è fra i più armati al mondo.
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Curioso vero? Gli Usa e Israele sono fra i maggiori commercianti di armi e colpevoli di fomentare guerre. Gli israeliani sono armati fino ai denti, ma fanno le vittime. Il primo atto di pace dovrebbe essere quello di ritirare le armi dalle terre occupate illegalmente. La Nato è stata istituita per contrastare il nemico di oltre cortina, l’Unione Sovietica, ma nonostante l’Unione Sovietica sia ormai morta e stramorta, la Nato non solo non si è sciolta, ma si è allargata, cioè ha messo i missili in tutti i Paesi ex sovietici.
Sono solo esempi per capire che una logica di questo tipo non porterà mai alla pace. L’apologia del securitarismo è un’ideologia bellicista. All’“altro” si attribuisce di fomentare insicurezza e in questo modo si legittima la propria corsa alle armi.
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Quindi, siamo molto lontani dalla pace.
Siamo lontani anni luce. La solidificazione delle istituzioni già esistenti sarebbe un passo importante, ma questo implicherebbe che le nazioni aderenti all’istituzione riconoscessero all’istituzione il primato nelle questioni di pace. Dobbiamo fare qualcosa, ma non lo stiamo facendo. Per esempio: l’Italia ha sottoscritto e ratificato la Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo. E come è possibile che nel 2019 un magistrato del Tar abbia detto: «Basta parlare di diritti universali! Parliamo dei diritti degli italiani»? Stiamo regredendo alla Seconda guerra mondiale.
Contrapporre i presunti diritti nazionali ai diritti universali, ovvero dire “noi siamo più degli altri” e rivendicare il funesto slogan “padroni a casa nostra” è una perversione. Noi veniamo tutti dal cuore dell’Africa. Nessuno escluso. Il più grande genetista italiano, il professore Cavalli Sforza, su base scientifica ha dichiarato che esiste un solo uomo su questa terra ed è il Sapiens Sapiens Africanus. Ora, invece di riconoscere questa evidenza etica e scientifica, si regredisce a rivendicare differenze. Anche nella Bibbia c’è un solo uomo nella genesi dell’umanità. Affermare che tutti gli uomini discendono da Adamo è un’affermazione sconvolgente, azzardata ai limiti dell’impossibile, ma ha aperto un orizzonte rivoluzionario.
(Photo Credits: Flickr - CC BY-NC-SA 2.0 DEED)