Faggioli, “un Papa dagli Usa rompe un tabù, ma come lo vedranno Russia e Cina?”

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Storico e teologo della Villanova University, “genialità del mondo vaticano nell’avere sempre carte in serbo da tirare fuori”.

“Io insegno a Villanova dal 2016 e non ho mai incontrato personalmente Prevost, anche se è come se lo avessi incontrato perché il suo nome ha aleggiato negli ultimi anni, ancor prima che diventasse cardinale. Lui è uno degli agostiniani che reggono Villanova e che governano l’Università. Il loro monastero è al centro del campus, con una presenza visibile. Il presidente di Villanova è un agostiniano. Il suo percorso, studi a Villanova, studi negli Stati Uniti, e poi missione in America Latina è abbastanza tipico degli agostiniani. La cosa che mi ha colpito di più nell’istante, io ero nel mio ufficio a Villanova, era il Papa dagli Stati Uniti, che era un tabù fino a poco tempo fa, e in due interviste prima del Conclave poco tempo fa avevo detto che questa volta era meno impossibile pensare a una cosa del genere, perché le condizioni esterne erano così cambiate e così tanti tabù erano stati abbattuti: per cui quello poteva essere un altro tabù che si aggiungeva e che rispondeva a questa situazione”.

Massimo Faggioli, ferrarese, storico del cristianesimo e della teologia, insegna alla Villanova University, in Pennsylvania, dove lo stesso Robert Francis Prevost si laureò nel 1977 in scienze matematiche. Parla del nuovo Papa incontrando i giornalisti presso l’Associazione della Stampa Estera, a Roma, insieme a Elise Ann Allen, di Crux, moderati da Trisha Thomas dell’Associated Press.

“Mi colpisce moltissimo il suo profilo che è eccezionalmente completo, cioè di membro di un ordine religioso, e poi  ha anche, anni dopo, di superiore, che dà una visione globale come poche altre, di missionario, che dice molto delle priorità della Chiesa di oggi, di vescovo, di vice presidente di una Conferenza episcopale, di un Paese con un certo tipo di problemi ecclesiali, e infine cardinale di Curia – spiega -. Il suo curriculum mette in ombra il fatto che lui è stato eletto tecnicamente dai cardinali di Curia, il che cambia un po’ alcuni assunti sulla Curia come se fosse la versione ecclesiale di Darth Vader, il lato oscuro della Curia: ci sono componenti molto diversi. Quindi l’impressione è stata di due settimane incredibilmente intense per chi è negli Stati Uniti specialmente, come me che ho imparato il cattolicesimo negli Stati Uniti da immigrato negli ultimi due decenni. E quindi quello che si apre adesso è uno scenario incredibilmente interessante”.

Alla domanda dei giornalisti su cosa farà Leone XIV di diverso da Francesco, Faggioli sottolinea che “i cattolici non vedevano un Papa così giovane da oltre 40 anni. Culturalmente è ‘The Young Pope’, non quello di Sorrentino, ma l’immagine è di un Papa estremamente energetico. Questa è la prima cosa. La seconda, e per un teologo questo è fonte di un fascino incredibile, è come a un gesuita succeda un agostiniano, che nella storia non solo sono due ordini che non hanno avuto rapporti semplici, ma anche due teologie, cioè due modi diversi: un gesuita ha un modo di pensare che è più processuale, il discernimento, l’agostiniano ha in mente la triade amore-verità-comunione. E’ un modo diverso di pensare le cose”.

“Quello che farà di nuovo io non lo so – prosegue Faggioli -, è certo che eleggere un Papa che ha questa età, e in questo momento, non solo consente, ma anche credo richieda di fare cose diverse. Cioè nessun Papa segue in modo pedissequo il predecessore, specialmente quelli che dicono ‘io sono in assoluta continuità’, loro sono di quelli di solito che cambiano un sacco di cose. E poi, in ultimo, è vero che Papa Francesco aveva creato l’80% degli elettori cardinali, ma estremamente diversi fra di loro: anche all’interno di uno stesso continente hai diversità linguistiche, culturali. Io credo che questa era una cosa fatta per disegno, non come effetto collaterale. E il Conclave ha dato questa risposta creativa, che sfida le idee ‘questo è un Conclave controllato da quel partito, o da quell’altro’. Questo secondo me è un risultato che è figlio del Collegio di Francesco, che non è espressione di un partito oppure dell’altro, è più complicato. E quindi poi ci sono questioni intra-ecclesiali e ci sono questioni internazionali, globali su cui un Papa degli Stati Uniti secondo me avrà aspettative di un certo tipo e molto alte”.

Per quanto riguarda la messa di inizio pontificato di domani, “quella messa è importante semplicemente per quello che non è più, cioè non è una messa di intronizzazione, non è l’inizio di un monarca che viene incoronato – osserva Faggioli -. Questo è il cambiamento che è avvenuto negli ultimi decenni. La cosa particolare di questa volta è che ci sarà un americano da questo lato dell’altare, e degli americani particolarmente importanti dall’altro lato dell’altare. Questo sarà simbolicamente importante, e per la seconda volta in poche settimane gli Stati Uniti si ritrovano in Vaticano in termini leggermente diversi da quelli che vediamo di solito alla Casa Bianca. Non è solo un fatto di mobili, di scenografia, ma è proprio lo script, cioè proprio ciò che si fa lì, e questo secondo me dice molto di questo momento”.

“Un Papa americano cambia veramente tante cose – ribadisce – che non abbiamo ancora in mente, ma specialmente per il rapporto con la politica americana, con la Chiesa americana, e per i rapporti che un Papa americano ha con il resto del mondo, dove i sentimenti verso quello che l’America rappresenta sono molto diversi. e non sempre pacifici. Questa secondo me è una delle cose incredibilmente affascinanti di questo momento e dice moltissimo anche della genialità e della mentalità del mondo vaticano, del mondo cattolico che ha ancora delle carte in serbo che ogni tanto vengono fuori”.

A proposito della guerra tra Russia e Ucraina, papa Prevost avrà la capacità e la possibilità di fare da mediatore? “E’ possibile che qualche cosa cambi sulla possibilità di papa Leone di mediare sull’Ucraina. Per vari motivi – risponde Faggioli -. Sant’Agostino è il pensatore principale nella Chiesa alto-medievale della dottrina della guerra giusta, e lui come agostiniano ha secondo me una teologia della guerra e della pace che può essere diversa da quella di un gesuita. Questa è la prima cosa. La seconda cosa è che nell’ ultimo secolo, più o meno è che tutti i Papi hanno detto che il loro sogno era visitare Mosca, visitare la Russia. Un Papa dagli Stati Uniti cambia un po’ di cose, diventa molto diverso secondo me”.

“Allora quello che è affascinante come storico – prosegue – è che l’elezione di Leone è avvenuta proprio in quei giorni quando la presidenza americana ha cominciato a cambiare tono verso la presidenza russa. Cioè a essere più scettica verso le buone intenzioni di Vladimir Putin. Ora uno può credere o no a quello che il presidente Trump mette sui social media, però lui ha espresso maggiore diffidenza verso Putin rispetto al passato. E c’è anche la questione turca. E’ un pontificato nuovo, è un Papa giovane e c’è questa possibilità, ma ci sono delle incognite più grandi, che sono al Cremlino e alla Casa Bianca. Il Vaticano può fare molte cose, ma non ignorando quello che succede al Cremlino e alla Casa Bianca. Questo di certo. Quello che è una costante nel papato dell’ultimo secolo è il valore della diplomazia vaticana, che è uno degli asset più fondamentali che ci siano, e che è una delle cose istituzionali che papa Francesco non ha minimizzato, ha minimizzato tutto il resto dell’istituzione ma non quella”.

Sullo ‘stile’ di Leone verso il presidente Trump e sulle differenze politiche, Faggioli si dice “d’accordo che il suo profilo è quello di un uomo di equilibrio, che non si può incasellare da una parte o dall’altra. Il contesto è di un certo tipo particolare. Cioè la seconda presidenza Trump non è un cambio di governo, è un cambio di regime. E’ un cambio di regime che significa cose molto particolari per il rapporto tra il governo e le Chiese, non solo la Chiesa cattolica, ma le Chiese in generale. Questo è un contesto che in qualche modo sollecita il Papa a una situazione particolare, perché quello che ha fatto il governo federale interrompendo la collaborazione con le organizzazioni per i rifugiati, per gli immigrati non è una politica isolata, ma è un cambio di regime, ripeto, che ha tra i suoi obiettivi di riportare, to put on the same page, le voci che in quel paese tradizionalmente hanno la libertà di esprimersi e di fare certe cose in nome della libertà religiosa”.

Secondo Faggioli, “questa è una cosa che sta cambiando. Ed è una cosa per la quale anche uomini equilibrati possono, per mantenere un certo equilibrio, andare fuori dal loro equilibrio abituale. Io non so cosa farà, ma il Trump due non è il Trump uno, non è una presidenza che si presenta come convenzionale rispetto al rapporto con le religioni e specialmente col cristianesimo che è uno dei pilastri ideologici del ‘Make America Great Again’. Questo chiama in causa i leader cattolici, il cattolicesimo e il Papa, specialmente il Papa americano, in un modo molto particolare. Io non so cosa farà, ma non è una situazione paragonabile al 2017, quando c’era una presidenza che era ancora circondata da elementi istituzionali di controllo. Adesso non c’è più niente del genere. E quindi il cattolicesimo verrà giudicato dagli storici anche su cosa farà rispetto a questa situazione che, io posso dirlo, vivo là dal 2008, ha cambiato la vita delle persone, ha cambiato le aspettative delle persone dal loro paese. Cosa possono fare, dove possono viaggiare, dove non possono viaggiare, se devono girare con il passaporto in tasca anche se sono cittadini americani. Questo è un paese che sta cambiando impetuosamente”.

Sulla velocità del Conclave, “quello del 2005 fu praticamente una snap election – ricorda Faggioli -. Quest’anno invece ci si aspettava che la cosa sarebbe accaduta entro qualche mese. Poi la cosa diversa è che molti dei cardinali che sono nel Collegio oggi sono o propriamente o quasi dei digital natives, cioè gente che comunica non come i cardinali del ‘900, che si scrivevano una lettera, e poi il telefono che costava, adesso è parte integrante di un modo di comunicare più immediato anche tra di loro”. 

Sulla sinodalità e sulla donna, “io sono curioso di vedere se i due rapporti delle due commissioni che Papa Francesco convocò sul diaconato femminile verranno pubblicati o se verrà detto qualche cosa su quei rapporti, cioè se sono stati utilizzati, se non sono stati utilizzati, se sono in un cassetto, non lo sappiamo”. In materia di Chiesa sinodale, “ci sono teologie diverse della sinodalità ed è importante che lui abbia citato il tema: credo che sia uno dei fattori che lo hanno fatto eleggere.  Ma ci sono sinodalità più mistiche, più organizzative, più spirituali o anche sentimentali a volte. Quindi bisogna vedere che sinodalità ha in mente. Credo comunque che non sia una cosa reversibile, l’idea che la Chiesa si volge verso la sinodalità. Sul come farlo, ecco io non credo che un Papa agostiniano insisterà così tanto sul discernimento ignaziano, ho qualche dubbio. Però sul resto, ora ci sono delle scadenze immediate, perché la seconda fase fu convocata da Francesco a marzo per il 2025-28, quindi bisogna vedere se alcune scadenze vengono rispettate oppure vengono posposte, lo vedremo presto, credo”.

A proposito dei primi segnali, nella prima settimana, verso i temi di geopolitica, e delle differenze con Francesco, Faggioli ritiene “che fosse molto importante nel discorso che ha fatto ai giornalisti l’enfasi sulla libertà di stampa e l’importanza per la democrazia, che come si sa per la Chiesa è un tema sempre molto scivoloso. In questo caso è stato molto chiaro, ed è molto chiaro per una Chiesa che è globale e che sa benissimo che in molti Paesi la libertà di stampa è in regressione. E questo secondo me è un messaggio geopolitico molto importante”.

“E poi il Papa americano – prosegue – apre una serie di incognite su come verrà visto dall’establishment o dalla classe politica in Cina, in Russia, nel Medio Oriente. Queste sono cose sulle quali noi siamo nell’ambito dei tabù rotti per la prima volta. Perché non era pensabile ai primi del ‘900 un Papa francese, la Francia aveva l’impero e quindi non si poteva fare. Oggi  è una situazione diversa ma che apre possibilità, e credo che una delle cose fondamentali sia vedere appena si hanno alcuni passi sul personale diplomatico, sul segretario di Stato, che tipo di agenda avrà, che tipo di mandato avrà, quale sarà il futuro della mediazione parallela che papa Francesco aveva affidato ad altri, non al segretario di Stato, sull’Ucraina. E’ un po’ quello che io sto cercando di capire.

Su come governerà la Chiesa, secondo Faggioli “è importante questo momento, perché con i Papi degli ultimi 60 anni avevamo più chiaro su com’erano loro come pensatori, scrittori, su documenti o interventi pubblicati, invece con Leone XIV abbiamo più chiaro su di lui come vescovo o come uomo di Curia. La riforma della Curia di papa Francesco ha appena tre anni, Prevost è tra chi l’ha sperimentata dall’interno, venendo da un curriculum diocesano, e lui ha abbastanza chiaro cosa funziona e cosa non funziona. Dal punto di vista pratico cosa farà del ‘consiglio di cardinali’, mai istituzionalizzato perché sarebbe sembrato un insulto alla Curia romana, bisognerà vedere se adotterà questo modello, che nasce dal Vaticano II e che papa Francesco ha usato in un certo modo: bisogna vedere se Leone lo risuscita, se lo cambia, se gli cambia nome, o se avrà qualcosa id informale, solo sulla carta, che agisce intorno a lui come ‘consiglio della corona’. Per la cultura della Curia romana avere un americano cambia delle cose. Qualche anno fa c’è stato l’effetto George Pell, che non fu un periodo felice ma teso: ora è diverso, avere un americano è una forza gravitazionale che agirà in modo diverso anche sull’arrivo delle offerte”.

Per quanto riguarda infine quello che sarà l’atteggiamento del nuovo Papa verso i protestanti, “è’ presto per dirlo, questo vale un po’ per tutto – ammette Faggioli -. Fino adesso abbiamo visto alcuni gesti, alcuni messaggi più verso le comunità ebraiche che verso il mondo protestante. Gli agostiniani hanno nel loro passato Martin Lutero, e questo gioca in modi diversi: nella Chiesa e nei religiosi c’è tutta questa tensione tra se noi dobbiamo fare la riforma della Chiesa e quindi apprendere dai fratelli separati protestanti, oppure dobbiamo essere un ordine missionario, in cui la Chiesa è più o meno quella che è, e bisogna fare missione senza concentrarsi sul cambiamento della Chiesa. Questo non lo sappiamo come sarà”.

“Io sono d’accordo che la sua formazione americana lascia presagire che lui abbia avuto contatti più intensi e più regolari con il mondo protestante al di là delle caricature possibili. Chicago è una città estremamente poliedrica da questo punto di vista – conclude Faggioli -. Il vero problema, credo, è che oggi il dialogo con il mondo protestante è più complicato perché più frammentato che ai tempi di quando nasce l’ecumenismo, quando si ha un’idea di chi parla per i luterani, chi parla per i calvinisti. Oggi anche negli Stati Uniti appare più frammentato, quindi bisogna vedere a chi parlare prima, questo è un po’ il quadro”.

[Foto: Boston College]