Famiglia Cristiana, il velo integrale tra libertà di culto e sicurezza

Sul settimanale l’intervento dell’imam di Roma («non è un precetto del corano»), di un giurista («il divieto di occultare il viso va bilanciato il diritto di esercitare la propria fede») e del presidente dell’Associazione presidi («la scuola deve garantire il diritto all’istruzione: non spetta a noi colmare i vuoti legislativi»).
«Il niqab (velo integrale) non è un precetto, ma una scelta personale di alcune donne, un’interpretazione della nostra fede. Una scelta culturale, insomma. L’Islam nel Corano prescrive soltanto il pudore, ma non impone una forma specifica di velo», sostiene Nader Akkad, imam della Grande moschea di Roma, intervistato da Famiglia Cristiana, nel numero in edicola, prendendo spunto dal caso di Monfalcone, in cui è emerso che alcune studentesse che indossano il niqab vengono identificate in una stanza riservata e poi ammesse alle lezioni, salvaguardando così diritto allo studio ed esigenze di sicurezza. Inoltre, aggiunge Akkad, «nel contesto europeo, dove il volto scoperto è un elemento essenziale della comunicazione e della sicurezza, è necessario trovare un equilibrio tra libertà religiosa e norme sociali dei Paesi occidentali».
Dal punto di vista legale, Alberto Mittone, avvocato penalista, autore con il collega Fulvio Gianaria del saggio Culture alla sbarra, una riflessione sui reati multiculturali (Einaudi), chiarisce il quadro normativo italiano: «Il nostro ordinamento prevede limitazioni all’occultamento del volto per motivi di sicurezza. L’articolo 85 del Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza vieta l’uso di caschi o altri mezzi che rendano difficoltoso il riconoscimento delle persone, se non per giustificato motivo. La legge del 1975, originariamente pensata per contrastare la criminalità, è stata interpretata anche in relazione al niqab, creando un dibattito giuridico tra libertà religiosa e sicurezza pubblica. Diversi tribunali hanno affrontato il tema, bilanciando il diritto individuale alla libertà di culto con l’esigenza dell’identificabilità. In alcuni casi, il divieto di indossare il niqab in luoghi pubblici è stato ritenuto legittimo. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha sottolineato la necessità di valutare caso per caso, evitando discriminazioni generalizzate».
E cosa succede quando il niqab entra nelle scuole? Si è comportata in modo corretto la preside dell’istituto di Monfalcone? «La scuola ha il dovere di garantire il diritto all’istruzione. Non spetta a noi colmare i vuoti legislativi», chiarisce Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione presidi.
[Foto: Flickr/CC BY-NC-ND 2.0 Deed]