Gesù con la kefiah, sconcerto nel mondo ebraico
Sconcerto e inquietudine nel mondo ebraico italiano per la scelta di papa Francesco di omaggiare in Vaticano un presepe proveniente da Betlemme in cui il bambin Gesù riposa in un drappo evocativo della kefiah palestinese. La “palestinizzazione” dell’ebreo Gesù non è una novità in ambito ecclesiastico. L’ultimo episodio assume però una tinta «particolarmente inquietante» perché il protagonista è il papa e perché si inserisce «in un momento in cui registriamo difficoltà su tanti fronti nelle relazioni», sostiene a Moked/Pagine Ebraiche il rabbino capo di Genova Giuseppe Momigliano, assessore al culto dell’Ucei.
Secondo Momigliano, rappresentare Gesù con la kefiah «è un altro passo per privarlo della sua identità storica di appartenenza» e ciò penalizza il Dialogo in primis «e non aiuta a fermare l’antisemitismo». Altra distorsione, incalza il rav, è caratterizzare la kefiah come un simbolo di sofferenza universale: «Rappresenta al limite la sofferenza solo di una parte, è unilaterale». Si avvicina intanto una nuova edizione della Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei (17 gennaio), quest’anno dedicata al Giubileo nelle due tradizioni religiose. «Come rabbini italiani, dovremo fare una riflessione su come approcciare al meglio questa giornata», dichiara Momigliano. «Il canale di dialogo con la Conferenza episcopale italiana resta aperto. Certo gli atteggiamenti assunti dal papa non contribuiscono. Sia quelli più espliciti, sia quelli più simbolici».
«Sconcerto» è il termine usato da Marco Cassuto Morselli, il presidente della Federazione delle Amicizie Ebraico-Cristiane in Italia. Cassuto Morselli è colpito perché «la riscoperta dell’ebraicità di Gesù è una delle grandi novità del dialogo ebraico-cristiano» degli ultimi anni. Di Gesù ebreo si parla ad esempio nelle “sedici schede per conoscere l’ebraismo” predisposte dalla segreteria generale della Cei insieme all’Ucei, richiamate negli scorsi giorni nell’ambito dei Colloqui ebraico-cristiano di Camaldoli. Cassuto Morselli ricorda che l’argomento era già stato sollevato all’interno dei Sussidi per una corretta presentazione dell’ebraismo, pubblicati nel 1985 dalla Pontificia Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. «Gesù è ebreo e lo è per sempre», si legge nel documento vaticano. Perché la Chiesa cattolica ha avvertito la necessità di affermare questo punto? Perché, viene spiegato nella scheda Cei-Ucei, «per secoli Gesù è stato degiudaizzato, grecizzato, latinizzato, europeizzato, destoricizzato e quindi in tempi recenti si è sentito il bisogno di farlo ritornare alle sue origini». Origini oggi messe di nuovo in discussione, nel segno della kefiah.
P. Faltas, con Papa Francesco davanti al presepe di Betlemme a pregare per i bambini sotto la guerra
Sabato 7 dicembre, Papa Francesco ha ricevuto in udienza le delegazioni dei donatori del presepe e dell’albero di Natale per Piazza San Pietro. Tra loro la rappresentanza dell’Ambasciata dello Stato di Palestina, venuta a presentare, per conto della Città di Betlemme, la “Natività”, realizzata in legno d'ulivo dagli artigiani locali. Dal Sir, il racconto dell'evento di padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa.
Nell’Aula Paolo VI, sabato 7 dicembre, Papa Francesco ha benedetto un presepe molto particolare e ricco di significato. Dalla città del Principe della Pace è arrivato in dono un presepe realizzato dagli artigiani e dal Centro Piccirillo di Betlemme. Le figure della Sacra Famiglia sono state realizzate in legno d’ulivo, la grande Stella in madreperla e altri elementi con vari materiali utilizzati per l’artigianato artistico di Betlemme: ceramica, stoffa, lana.
Il Santo Padre, durante l’udienza, ha rinnovato il suo appello per la “martoriata” Terra Santa: “Con le lacrime agli occhi eleviamo la nostra preghiera per la pace. Basta guerre, basta violenze! Sia pace in tutto il mondo e per tutti gli uomini che Dio ama”.
Dopo aver ringraziato la delegazione palestinese per la presenza e per il dono, Papa Francesco si è raccolto in una preghiera intensa e silenziosa davanti al Bambino appoggiato sulla mangiatoia, per ricordare i tanti bambini che soffrono e che hanno perso la vita a causa di questa assurda guerra.
Dopo l’incontro con il Pontefice, il ministro Ramzi Khoury e lssa Kassisieh, Ambasciatore Palestinese presso la Santa Sede mi hanno chiesto di presiedere una messa per invocare la pace. Con la delegazione palestinese e i loro ospiti, ci siamo riuniti nella Cappella della Madonna degli Ungheresi, cappella delle Grotte Vaticane che fu benedetta da San Giovanni Paolo Il nel 1980. È stata una celebrazione molto partecipata nel luogo della sepoltura di Papi Santi. Ha celebrato con me don Marco Formica della Segreteria di Stato. Durante l’omelia ho ricordato il profondo legame dei Pontefici con la Terra Santa.
In questo 2024 ricorre il 60° anniversario del pellegrinaggio di Paolo VI, che portò l’abbraccio della Chiesa di Roma alla Chiesa d’Oriente. Il suo fu il pellegrinaggio del primo Papa che visitava la Terra Santa. Fu un pellegrinaggio di pace, di unità, di solidarietà. Giovanni Paolo Il visitò la Terra Santa quasi 25 anni fa, nel marzo 2000, Anno Santo intenso e particolare per la situazione socio-politica della Terra Santa. Il Papa Santo, già malato e stanco, ha amato profondamente la Terra Santa, le sue azioni di pace sono state sempre rivolte ai Luoghi Santi e alle Pietre vive che la abitano. Il mio ricordo e la mia gratitudine per san Giovanni Paolo Il sono legati alla sua telefonata che ricevetti durante l’assedio della Natività del 2002. Le sue parole di sostegno furono per noi motivo di forza e di speranza. Dopo la sua chiamata, rinnovammo il nostro impegno di Francescani a custodire i Luoghi Santi ad ogni costo e ad ogni prezzo, anche della nostra stessa vita.
Benedetto XVI arrivò in Terra Santa nel 2009. Con le Sue parole e con il Suo sguardo sereno incoraggiò le comunità cristiane locali. Incontrò le diverse Chiese di Terra Santa. Dialogò con parole coraggiose con cristiani, ebrei e musulmani per cercare di comprendere la realtà di una terra alla continua ricerca della pace.
Papa Francesco è per grazia di Dio, uomo di Pace. Arrivò pellegrino in Terra Santa nel maggio 2014, dieci anni fa. Nelle visite ai luoghi della storia della salvezza, portò parole e gesti di pace. La sua mano sul muro di separazione voleva essere la mano che accoglie e la mano che spinge a costruire ponti di pace e che distrugge i muri che separano. Dopo un mese, a giugno del 2014, invitò Abu Mazen e Simon Peres in Vaticano. Non era riuscito a farli incontrare a Gerusalemme e li invitò a casa sua. Li invitò a piantare un ulivo nei giardini vaticani. Fu un gesto simbolico ma che che voleva unire, attraverso due uomini, due popoli bisognosi di pace. Abbiamo pregato per la pace e perché ogni essere umano sia strumento di pace: “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”.
[Fonti: Moked/Pagine Ebraiche, Sir; Foto: Sir/I.Faltas]