Il cardinale Zuppi al Festival di Open, "incompatibile dirsi cristiani con il chiudere le porte al diverso"

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Il presidente della Cei chiude il Festival a Parma e richiama tutti all’impegno per la pace, in Ucraina e nel mondo: «Preferisco fallire ma averci provato».

Sorride, scherza volentieri, il Cardinale Zuppi, ospite d’onore della prima edizione del Festival di Open che è chiamato a concludere, a poche ore dal rientro da una delicatissima missione diplomatica in Cina. Lo fa per sciogliere la tensione della grande responsabilità affidatagli da Papa Francesco - quella di cercare testardamente una via di dialogo tra Russia e Ucraina -, per «svicolare» da qualche domanda “indiscreta”, e soprattutto per la sincera gioia di poter rispondere di fronte alla piazza gremita di Parma alle tante curiosità rivoltegli dai giovani giornalisti di Open: Gianluca Brambilla, Ygnazia Cigna, Antonio Di Noto, Alessandra Mancini. Ma su alcuni punti fermi etici non intende mostrare incertezze: il tono si fa serio e sale di livello, così che la riposta arrivi forte e chiara. «L’incompatibilità è strutturale», scandisce netto il presidente della Cei, quando la redazione di Open gli chiede conto del contrasto tra chi si professa orgogliosamente cristiano e poi mostra atteggiamenti di chiusura e paura per il diverso. Strutturalmente incompatibili, né più né meno, i due piani, perché – ricorda Zuppi – «il nostro Signore ci ha detto: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Punto e a capo. Non ci ha detto come deve essere questo prossimo. E se lo dici tu, tradisci l’impegno evangelico». E se c’è un secondo passaggio su cui il cardinale non è disposto a concedere un millimetro a critiche o incertezze, è sul senso dell’impegno suo e di Papa Francesco per la pace – ardua, impervia, difficilissima – tra Russia e Ucraina. «Se la mia missione può fallire? Certo. E ci sono quelli che ne sarebbero contenti. Ma se pure così fosse, avrei l’orgoglio di fallire provandoci, piuttosto che guardare come uno spettatore contento che fallisca», si accalora il Cardinale, strappando il lungo applauso di Piazza Garibaldi.

Il testardo cammino verso la pace

Quando sale sul palco della prima edizione del Festival di Open, poco dopo le 21 di sabato sera, gli occhi di una buona fetta di mondo – come ricorda nell’introdurlo il direttore, Franco Bechis – sono puntati sul Cardinale Zuppi soprattutto per una ragione. Da neppure 24 ore è rientrato dalla Cina, dove, dopo Russia, Ucraina e Stati Uniti, è volato per cercare di aprire nuove porte alla costruzione di un percorso negoziale per mettere fine al conflitto che da 19 mesi insanguina l’Est Europa. Consapevole della posta altissima in gioca, Zuppi non si sbottona sull’esito delle sue interlocuzioni con i vertici del governo cinese – da molte parti ritenuto un potenziale attore chiave, se solo davvero decidesse d’impegnarsi davvero per porre fine al conflitto soffiando le parole giuste all’orecchio attento di Vladimir Putin. Il riserbo è segno di buone o cattive notizie? Impossibile saperlo, verosimile immaginare che prima di qualsiasi esternazione pubblica Zuppi debba rendere conto in maniera circostanziata al Pontefice, e non solo. Ma il presidente della Cei non si nega, tutt’altro, a ricordare invece il senso profondo della missione in cui è impegnato in queste settimane. Anche a beneficio di qualche critico di troppo. «Papa Francesco non si arrende alla logica della guerra», spiega Zuppi, smontando le accuse ingenerose mosse da più parti al suo “superiore”. «Quando dice “Cerco la pace in tutti i modi”, spesso si dice che confonde le responsabilità. Invece no! Parlare di pace non significa mettere in discussione le responsabilità, fare finta, pensare a un mondo che non esiste: significa insistere perché diritto e dialogo possano essere più forti delle armi. Se no – avverte Zuppi ribadendo il concetto più volte espresso da Bergoglio – resta solo l’idea che l’unico modo di vincere è fare a botte. E se mettessimo tutti soldi che abbiamo sul dialogo, anziché sulle armi?». Se ha un valore universale, il richiamo vaticano, lo ha anche e a maggior ragione – tiene il punto il presidente della Cei – qui e ora, per l’Italia: «Dobbiamo far sì che affermi il principio che non può essere la guerra a risolvere i conflitti. Non si possono abolire i conflitti, certo, ma si può abolire la guerra. Abbiamo quel bell’articolo 11 della Costituzione – “L’Italia ripudia la guerra” – guardate che non l’abbiamo abolito eh…», ricorda provocatoriamente il Cardinale. Consapevole che il lavorio diplomatico per arrivare in questa fase anche solo a immaginare un piano di pace cui possano aderire Mosca e Kiev, Zuppi non è disposto per questo a rinunciare ai suoi sforzi. Ed è così che ricorda anche ai “beccamorti” che più o meno scopertamente tifano per il fallimento della missione del Vaticano che sì, certo, il fallimento è uno scenario possibile, ma quanto è più giusto «avere l’orgoglio di fallire provandoci, piuttosto che stare a guardare come uno spettatore nella speranza del fallimento». La strada maestra dunque è un’altra, quella opposta, e cioè che «tutti spingano nella stessa direzione: quella della pace» perché «non abbiamo mica l’esclusiva…».

Un altro approccio all’immigrazione

Capitolo immigrazione. La “vecchia, nuova” crisi che ancora una volta attanaglia l’Italia, e l’Europa intera, quella cui anelano le migliaia di migranti che da giorni, settimane e mesi arrivano senza soluzione di continuità a Lampedusa. Che fare? E che dire, lo sollecita Open, della risposta che sta mettendo in campo da Cutro in poi il governo di Giorgia Meloni (atteso lunedì da un Cdm che si prevede denso di novità in proposito)? La si può definire “umana”, come Zuppi ha più volte in passato auspicato sia la politica sui migranti dell’Italia? «Qualche volta mettiamo in discussione i diritti, quelli fondamentali», risponde Zuppi, «e questo è sempre pericoloso, per tutti». Se a misurarsi a fatica con la sfida epocale dell’immigrazione, ricorda il Cardinale, sono da 40 anni governi di ogni colore («giallo, rosso, verde, con varie soluzioni cromatiche, scherza»), ebbene oggi «ci si ritrova ancora in una situazione che fa una certa fatica a oggettivizzare il problema e a trovare dei meccanismi risolutivi. E oggettivamente è un problema che non può non avere collaborazione vera dell’Europa». Quale sarebbe dunque, anche qui, la via maestra? Tanto semplice quanto difficile. La questione «si risolve con la legalità, con dei flussi regolati, garantendo l’arrivo dignitoso, umano, come si può fare, e mettendo a punto quei meccanismi istituzionali che lo consentano». Se la stessa Confindustria lamenta, in Emilia-Romagna o altrove, problemi di manodopera, o il mondo della sanità la carenza degli infermieri, beh, forse allora la soluzione si può davvero trovare, ricorda Zuppi. Quello che non è e non può essere accettato, poco ma sicuro, è l’atteggiamento di chi – in Italia o altrove – si professa cristiano ma poi mostra chiusura e paura verso il diverso. «Incompatibilità strutturale», scandisce il Cardinale ricordando l’essenza del messaggio biblico: «Ama il prossimo tuo. Punto. Non è previsto scegliere “quale” prossimo». Che significa questo imperativo, calato nella sfida odierna delle migrazioni? Per citare un azzeccato slogan di una campagna della Caritas, richiama Zuppi, essere «liberi di partire, liberi di restare». Chi sa di poter trovare istruzione e lavoro nel posto dove ha le radici, ricorda il Cardinale, in genere resta. Ma a tutti resta un unico dovere: stare vicino a chi ha bisogno. «Saremo giudicati su questo: avevo fame, mi hai dato da mangiare».

La lotta per l’ambiente e la lezione della pandemia

Interrogato dalla redazione di Open su due dei temi da sempre al cuore del giornale, la battaglia contro il cambiamento climatico e quella per i diritti di tutti, Zuppi rievoca volentieri il senso delle encicliche emanate da Papa Francesco. Che vanno lette insieme, spiega il Cardinale, per coglierne appieno la potenza. Laudato si’, quella emanata nel 2015 che predica una «ecologia integrale» come strumento per difendere innanzitutto i poveri, la pace e la società. Ma anche Fratelli tutti, l’enciclica pubblicata nel 2020, in piena epoca pandemica. «La Terra è la casa comune: dobbiamo imparare a trattarla bene tutti, perché ci coinvolge tutti. Se no non ci si può più vivere, e chi paga il prezzo son sempre i poveri. Il deserto cresce, e dal Sahel scappano. Dunque impariamo a essere davvero fratelli tutti. La pandemia ce l’ha insegnato?», chiede alla platea Zuppi. «Un pochino sì. L’abbiamo imparato? Onestamente poco, ce lo siamo scordati. E non dobbiamo attendere la prossima pandemia – che è una guerra – per ricordarcelo. Se non guardiamo al futuro, ci perdiamo tutti. Dobbiamo lasciare, costruire per quelli che arrivano dopo», sprona Zuppi, che ricorda come Papa Francesco stia finalizzando la sua terza enciclica (la quarta se si considera Lumen fidei, pubblicata nel 2013 ma scritta per la gran parte da Benedetto XVI) che farà uscire «tra poco» proprio per dare questa nuova spinta.

(Fonte: Open - Simone Disegni; Foto: Vatican News)