La Libia applica il decreto sicurezza: “rimpatriati” i ministri europei

Bengasi sbatte la porta in faccia alla missione voluta da Bruxelles. Il tentativo di fermare l’esodo migratorio (soprattutto, in queste settimane, verso Creta) si trasforma in umiliazione diplomatica: cacciati dall’aeroporto di Benina il ministro dell’interno Piantedosi, i suoi colleghi di Grecia e Malta e il commissario europeo per le migrazioni. Ufficialmente per “violazione della sovranità nazionale”. In realtà potrebbe essere una decisione assunta dal governo dell’est per ridefinire i poteri nell’area. Nel frattempo è sempre più emergenza nell’isola greca che affonda con 8mila sbarchi. Ne riferisce Nigrizia.
Un inciampo diplomatico dalle conseguenze imprevedibili.
La visita a Bengasi dei ministri di Italia, Grecia e Malta – Matteo Piantedosi, Thanos Plevris e Byron Camilleri – e del commissario europeo per le migrazioni, Magnus Brunner, è stata annullata per «violazioni delle norme dello stato libico» da parte della stessa missione europea.
Respinti come un pacco postale spedito a un indirizzo sbagliato.
O come migranti “irregolari”. La destra al governo parlerebbe di “clandestini”. E infatti le opposizioni italiane stanno andando a nozze.
È quello che è successo nel pomeriggio di oggi, 8 luglio, all’aeroporto di Benina, a 19 chilometri a est di Bengasi.
Violate le consuetudini diplomatiche
Appena atterrati, i componenti della delegazione sono stati obbligati a lasciare immediatamente il territorio libico perchè considerate «persone non gradite»
In un comunicato ufficiale (citato dall’agenzia AFP), il primo ministro del governo della Libia orientale, Osama Hammadha ha definito la “visita” un «chiaro superamento delle consuetudini diplomatiche e dei trattati internazionali».
Le autorità di Bengasi hanno considerato il comportamento della delegazione europea una «mancanza di rispetto alla sovranità nazionale libica e una palese violazione delle leggi del paese».
Non sarebbero state rispettate le procedure di ingresso e soggiorno dei diplomatici stranieri stabilite dal governo libico dell’est.
Da Hammad è poi arrivato un monito «a tutti i diplomatici e membri delle missioni internazionali e delle organizzazioni non governative e governative: è importante rispettare pienamente la sovranità dello Stato libico», riconoscendo «le prerogative delle autorità libiche nel disciplinare le visite ufficiali».
Il premier ha quindi invitato tutte le parti a «coordinarsi con il governo libico» in vista di futuri incontri diplomatici, sottolineando che eventuali future violazioni saranno gestite «secondo quanto previsto da accordi e trattati internazionali».
Visita non gradita
Una presa di posizione di Hammad che ha fatto dire a una fonte libica dell’agenzia Nova che «il blocco della delegazione è stato un “messaggio politico” del primo ministro per riaffermare la propria centralità istituzionale».
La versione del quotidiano greco Protothema è che al loro arrivo all’aeroporto Benina, i rappresentanti europei sarebbero stati informati che il generale Haftar era disponibile a incontrarli solo in presenza del governo orientale di Osama Hammad, non riconosciuto a livello internazionale.
Il rifiuto avrebbe innescato la reazione delle autorità dell’est, che hanno formalmente annullato la visita e dichiarato “non gradita” la delegazione europea.
Secondo l’Agenzia Nova la visita era stata concordata esclusivamente con il comando di Haftar e l’obiettivo era avviare un dialogo su migrazione e traffici illeciti, escludendo qualsiasi legittimazione politica dell’esecutivo orientale.
Tuttavia, il governo di Hammad avrebbe deliberatamente cercato di riaffermare il proprio ruolo istituzionale e la richiesta di riconoscimento internazionale.
Nessuna foto con il governo dell’est
In particolare, l’episodio ha preso una piega imprevista già al momento dell’atterraggio dell’aereo con a bordo la delegazione europea, quando a scendere per primo è stato l’ambasciatore dell’Unione europea in Libia, Nicola Orlando.
Sul piazzale dell’aeroporto Benina, tuttavia, ad accogliere la delegazione non c’erano gli interlocutori previsti secondo i protocolli definiti nei giorni precedenti. Al loro posto, erano presenti rappresentanti del cosiddetto Governo di stabilità nazionale guidato da Osama Hammad, premier designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk ma non riconosciuto dalla comunità internazionale.
Alla vista di interlocutori non attesi l’ambasciatore Orlando ha chiesto di evitare foto ufficiali, per non attribuire un riconoscimento formale al governo di Hammad, pur rimanendo disposto – come segno di rispetto – a incontrare le autorità locali in modo informale e senza esposizione mediatica.
A quel punto, però, da parte libica è arrivata una chiusura netta, con la dichiarazione che la visita non avrebbe più avuto luogo.
Smacco per il governo Meloni
Il governo italiano, secondo quanto riportato dall’ANSA, ha giustificato lo sgarbo diplomatico come «un’incomprensione protocollare non gestita dalla rappresentanza italiana».
Tuttavia è un colpo duro all’immagine dell’esecutivo. E alle sue politiche di buona vicinanza con un paese strategico economicamente e per la sicurezza. La Libia è centrale anche nel Piano Mattei.
Gli incontri con Haftar
Non solo il “respinto” Piantedosi ha avuto diversi incontri (ufficiali e no) con Haftar.
Ma ne ha avuti due la stessa presidente del consiglio Giorgia Meloni: il primo il 4 maggio 2023, a Palazzo Chigi. Il secondo quasi un anno dopo, il 7 maggio 2024, a Bengasi. In quell’occasione il tema non è stato come fermare i migranti. Ma hanno discusso anche della ricostruzione di Derna, la città della Cirenaica distrutta dall’alluvione tra il 10 e l’11 settembre del 2023 causata dal crollo di due dighe.
Ricostruzione che sta diventando un business che fa gola a molti. Anche agli italiani.
È una città controllata dagli Haftar. Gli stessi aiuti che ha ricevuto Derna sono stati usati per esercitare un controllo ancora più pervasivo. Il generale e i suoi figli stanno gestendo il post alluvione. Il fondo per la ricostruzione di Derna è diretto da Belgassem Haftar. Il fratello Saddam era stato, invece, responsabile della commissione incaricata di gestire la crisi umanitaria.
L’emergenza Creta al centro della missione
La delegazione europea era arrivata in Libia per affrontare una crisi migratoria che ha raggiunto livelli inediti sull’isola greca di Creta. Negli ultimi due giorni oltre 1.400 persone sono approdate sulle sue coste, portando il totale degli arrivi di quest’anno a quasi 8mila migranti.
Il solo mese di giugno ha fatto registrare 2.564 sbarchi, superando la metà di tutti gli arrivi dell’intero 2024 (4.820).
Era proprio per affrontare questa emergenza che oggi una delegazione europea di alto livello era in Libia per discutere con le autorità locali come arginare i flussi migratori.
Una nuova rotta nel Mediterraneo
La tratta di circa 360 chilometri che collega Tobruk (Libia orientale) a Creta è diventata una delle vie preferite dai trafficanti nel Mediterraneo. Su imbarcazioni di fortuna, costruite in fretta o ricavate da barche abbandonate, viaggiano soprattutto egiziani e sudanesi, ma anche bangladesi e pachistani.
I numeri dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) parlano chiaro: dall’inizio dell’anno sono arrivati in Grecia via mare 16.848 migranti (oltre 19mila in totale a fine giugno).
L’isolotto di Gavdos, vicino a Creta, con le sue infrastrutture limitate, è stato letteralmente sommerso dai gommoni che si arenano sulle sue spiagge di ciottoli.
Le partenze dalla Cirenaica hanno subito un’accelerazione significativa, favorite dalla collaborazione tra gruppi criminali della Tripolitania e reti operative nella parte orientale del paese.
Secondo l’intelligence italiana, questi trafficanti dimostrano una capacità di adattamento notevole e una ramificazione territoriale capillare, sfruttando il bacino di oltre 800mila migranti (stime Nazioni Unite) presenti in Libia, un numero che il ministro dell’interno di Tripoli, Imad Trabelsi, gonfia fino a 4 milioni.
L’emergenza umanitaria
Creta non è attrezzata per gestire questo flusso. Le strutture di accoglienza sono inadeguate e il risultato è drammatico: centinaia di persone hanno trascorso ore sotto il sole nel porto di Retimo. Il tentativo di trasferimento al palazzetto di Agià, vicino a Canea, è fallito perché la struttura era già al completo.
Il trasferimento verso i campi della Grecia continentale richiede giorni, complicato dalla difficoltà di trovare posti sui traghetti durante la stagione turistica.
Il portavoce del governo Pavlos Marinakis ha ammesso la «forte pressione» sui residenti locali.
Le mosse diplomatiche greche e gli appalti
L’intensificazione degli arrivi non è casuale: fare pressione su Grecia ed Europa per ottenere migliori condizioni nei negoziati e finanziamenti europei.
La risposta di Atene è stata duplice. Il 6 luglio, il ministro degli esteri Giorgos Gerapetritis si è recato a Bengasi per un incontro di un’ora con il generale Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico.
Al centro del colloquio, i flussi migratori verso Creta e la necessità di coordinare gli sforzi per ridurli. Haftar ha colto l’occasione per invitare le aziende greche a partecipare ai progetti di ricostruzione libici, mentre Gerapetritis ha incontrato anche il figlio del generale, Belgassem Haftar, direttore del Fondo per la ricostruzione e lo sviluppo.
Il contesto geopolitico
Parallelamente, la Grecia ha avviato pattugliamenti navali a sud di Creta, ufficialmente per contrastare le partenze dalla Cirenaica.
Una mossa che va oltre l’aspetto migratorio: Atene vuole ribadire la centralità strategica di quel tratto di mare, considerato una linea rossa per i propri interessi nazionali.
Il Mediterraneo orientale, infatti, è diventato teatro di una complessa competizione geopolitica, complicata dalla sovrapposizione delle zone economiche esclusive tra Grecia, Turchia, Libia ed Egitto.
Le autorità greche hanno anche proposto di offrire assistenza tecnica alla Libia orientale per il controllo delle frontiere marittime, sul modello degli accordi già attivi con Tripoli e Roma.
Le critiche di Amnesty International
La cooperazione UE-Libia non convince tutti. Eve Geddie, direttrice dell’Ufficio istituzioni europee di Amnesty International, ha definito questi accordi «un fallimento morale» e una «complicità in gravissime violazioni dei diritti umani».
L’organizzazione documenta da tempo le condizioni dei migranti in Libia: detenzione arbitraria, sparizioni forzate, torture, stupri, uccisioni, estorsioni e lavori forzati. Secondo un’indagine ONU, si tratta probabilmente di crimini contro l’umanità.
Nella Libia orientale, gruppi armati come il Tariq Ben Zeyad continuano le espulsioni collettive forzate verso Ciad, Egitto, Niger e Sudan, senza procedure legali.
Prospettive incerte
Il portavoce del governo greco ha avvertito che, se la diplomazia fallisce, Atene potrebbe ricorrere a “misure più severe e su larga scala”. La situazione rimane critica: migliaia di migranti aspettano ancora di partire da Tobruk e le strutture greche sono al limite.
La crisi di Creta riflette le sfide migratorie più ampie dell’Europa, mostrando quanto sia difficile bilanciare sicurezza delle frontiere e rispetto dei diritti umani. La diplomazia europea prova a trovare soluzioni. Ma non si vedono risultati.
[Fonte e Foto: Nigrizia]