Leone XIV, Sant’Agostino e la guerra giusta

Di Paolo Barbieri, da FoglieViaggi
Subito dopo la sua elezione, affacciandosi dalla Loggia delle benedizioni di San Pietro, papa Leone XIV si è rivolto così ai fedeli: “La pace sia con voi”, aggiungendo poi: “Questa è la pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante”. Poco più avanti ha voluto precisare: “Sono figlio di Sant’Agostino, sono agostiniano”, non è quindi un caso se il suo motto episcopale è: “In Illo uno unum“, parole che sant’Agostino pronunciò in un sermone, l’Esposizione sul Salmo 127, per spiegare che “sebbene noi cristiani siamo molti, nell’unico Cristo siamo uno”.
Il forte richiamo al vescovo di Ippona da parte del nuovo pontefice, Robert Francis Prevost, non può che rimandare al pensiero di Agostino in relazione alla pace e alla guerra. Proprio nei suoi scritti, infatti, si trovano i concetti di “guerra giusta” e di “pace giusta”. A ben vedere, idee tutt’ora apprezzate e condivise soprattutto dai laici, dai politici, dai governi, fedeli alla locuzione latina “Si vis pacem, para bellum”. Un motto sposato in pieno dall’Europa che, a fronte dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ha deciso di investire in armamenti al fine di placare eventuali desideri di invasione di altri paesi da parte di Vladimir Putin. Per non dire delle giustificazioni allo sterminio dei palestinesi che Israele sta compiendo a Gaza.
Durante la cosiddetta Guerra fredda le due superpotenze, Usa e Urss, potenziarono il loro arsenale atomico immaginando addirittura lo “Scudo spaziale”, e di intercettare missili a testata nucleare lanciati nello spazio per colpire obiettivi senza essere intercettati. Insomma, la guerra – secondo questa visione – serve per garantire la pace. Da qui l’idea della “guerra giusta”, che garantisce anche una “pace giusta”. Ma giusta per chi? Sicuramente per i vincitori, non certo per i vinti. Vediamo allora cosa sostiene Sant’Agostino. Nel De Civitate Dei per esempio ha scritto: “Come chiamare una guerra fatta contro popoli inoffensivi, per desiderio di nuocere, per sete di potere, per ingrandire un impero, per ottenere ricchezze e acquistare gloria, se non un brigantaggio in grande stile? […] Per i malvagi, fare la guerra è una fortuna; per i buoni, tuttavia, la guerra è una necessità. […] I Romani hanno potuto conquistare un impero così grande combattendo guerre giuste, non empie, non inique”. Chi ha stabilito chi sono i ‘malvagi’? I popoli conquistati e sottomessi dai Romani?
Particolarmente realistico il modo in cui Agostino descrive come il valore della pace sia centrale nella vita degli uomini e dei popoli e come questo valore possa benissimo convivere con lo stato di guerra, di cui la pace è lo scopo finale. Il ragionamento del filosofo è così riassumibile: tutti gli uomini vogliono la pace, anche chi sceglie la guerra in realtà vuole la pace che sarà raggiunta solo con la vittoria del conflitto: “Chiunque osservi assieme a me le realtà umane e la nostra natura comune – scrive nel De Civitate Dei – riconosce che come non vi è nessuno che non voglia godere, così non vi è nessuno che non voglia possedere la pace. Addirittura, anche coloro che ricercano le guerre non vogliono altro che la vittoria, quindi desiderano fortemente raggiungere la gloria e la pace attraverso la guerra”. Insomma anche in uno dei Padri della Chiesa non c’è la condanna senza appello della guerra e l’ammissione che anche coloro che aspirano alla pace vogliono “che sia come essi vogliono”.
Ma se è così, si può davvero definire “giusta” la pace? Nel 417 d.c. Agostino scrive inoltre una lettera al generale Bonifacio (la numero 189) proprio su questi temi e spiega di non pensare che a Dio non piacciano i soldati: “Era guerriero il santo re David, al quale il Signore diede una sì grande testimonianza. Erano guerrieri moltissimi altri giusti di quel tempo”. E sulla liceità della guerra precisa: “Quando perciò indossi le armi per combattere, pensa anzitutto che la tua stessa vigoria fisica è un dono di Dio; così facendo non ti passerà neppure per la mente di abusare d’un dono di Dio contro di lui. La parola data, infatti, si deve mantenere anche verso il nemico contro il quale si fa guerra; quanto più dev’essere mantenuta verso l’amico per il quale si combatte! La pace deve essere nella volontà e la guerra solo una necessità, affinché Dio ci liberi dalla necessità e ci conservi nella pace! Infatti non si cerca la pace per provocare la guerra, ma si fa la guerra per ottenere la pace! Anche facendo la guerra sii dunque ispirato dalla pace in modo che, vincendo, tu possa condurre al bene della pace coloro che tu sconfiggi”.
I principi della ‘guerra giusta’ vennero messi in discussione da papa Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in Terris, quando si affermava che nell’era degli armamenti atomici fosse “alienum a ratione bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda” (“estraneo alla ragione [ritenere] che la guerra possa essere uno strumento adatto per rivendicare dei diritti violati”). Così come il Concilio Vaticano II rifiutò anche solo di parlare di ‘guerra giusta’ adottando piuttosto le riflessioni sulla legittima difesa in campo internazionale come unico contesto in cui affrontare il tema della tutela dei diritti dei popoli nell’ambito del bene dell’intera umanità (Gaudium et spes). E il 4 ottobre del 1965 papa Paolo VI a New York nel Palazzo delle Nazioni Unite lanciò il suo accorato monito davanti a tutti i potenti di un mondo diviso per blocchi – gli Stati Uniti da una parte e l’Unione Sovietica dall’altra – “Jamais plus la guerre, jamais plus la guerre”. Del resto fu proprio lui a scrivere il messaggio di pace lanciato da Pio XII il 24 agosto del 1939 nel vano tentativo di scongiurare il secondo conflitto mondiale: “Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”. I concetti di ‘guerra giusta’ e ‘pace giusta’ non sono abbandonati, anzi la politica li sostiene con forza. D’altra parte, come scrisse il generale prussiano Karl von Clausewitz, la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi.
[Fonte: FoglieViaggi; Foto: Terrasanta.net]