LIBRI / Vincenzo Paglia, "Sperare dentro un mondo a pezzi. Conversazioni con Domenico Quirico" (Edizioni Sanpino, 150 pp., euro 16)

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Dobbiamo fermare le guerre, dobbiamo sperare contro ogni speranza. Dobbiamo impegnarci per ricomporre un mondo che sta andando in pezzi e rispondere all’appello di Papa Francesco: nel cambiamento d’epoca in cui ci troviamo, serve “un nuovo inizio”.

Il libro inizia con un’ “ultim’ora”, una pregnante riflessione a partire dall’attacco di Hamas del 7 ottobre. E prosegue, con la guerra (in Ucraina e non solo) . In quattro densi capitoli, mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, dialoga con il giornalista e scrittore Domenico Quirico. Scottanti i temi affrontati: la guerra, la pace, il mondo dei “senza nulla”, le due sfide portate dalla presenza di migranti ed anziani. 

Il messaggio del libro e dei due interlocutori è chiaro: per uscire dal “mondo a pezzi” è necessario saper dialogare con tutti, ripartire dagli ultimi, favorire l’incontro tra popoli diversi per edificare una convivenza pacifica, contrastando quelle tensioni che portano a confliggere. Purtroppo abbiamo visto in passato – e a volte ancora oggi – quanto siano più drammatici quei conflitti che vengono sostenuti dall’odio religioso. Favorire l’incontro tra i credenti di fedi diverse richiede un lavoro lungo e paziente, di pazienza “geologica”.  

I due autori credono fermamente nella possibilità di costruire un mondo “fraterno” ed invitano i lettori ad accogliere le loro riflessioni, perché tutti gli uomini e tutte le donne del nostro tempo – e di ogni tempo – hanno diritto a vivere, a sognare, a lavorare, a sperare e desiderare un futuro migliore per loro e per i loro figli e figlie. La speranza è oggi la più sovversiva delle virtù. E la fratellanza è la parola-chiave di una “arte della gratuità” per costruire un mondo più giusto. Ripartire dagli ultimi è necessario per costruire un mondo diverso.

Sulla scia di Papa Francesco e di altri grandi pensatori del presente e del passato, Mons. Paglia e Domenico Quirico ci dicono: se pratichiamo l’arte della gratuità, della vicinanza, dell’attenzione agli altri, dell’empatia, gettiamo i semi di un nuovo umanesimo. È indispensabile farlo.

Dall’introduzione di mons. Vincenzo Paglia

 Abbiamo bisogno di un nuovo inizio. L’uomo di oggi, curvo sotto il peso di un carico pesantissimo, ha bisogno di alzare lo sguardo da sé e vedere l’orizzonte nuovo che sorge: una nuova fraternità tra i popoli. Sono convinto che il cristianesimo possa offrire all’uomo contemporaneo – spaesato e solo in un modo globalizzato schiacciato dalla dittatura del mercato e della scienza – quella visione, quel sogno, che gli permette di alzare lo sguardo verso il futuro con una nuova speranza e una più accesa passione.

 Di qui la responsabilità per i credenti di appassionarsi sul mondo contemporaneo per diventarne compagno di viaggio. E, assieme, avviare un nuovo inizio. Sono di un’attualità straordinaria le parole con cui Paolo VI, chiudendo il Concilio Vaticano II, descrive come nell’aula conciliare il pensiero cristiano è andato incontro all’umanesimo ateo: «La religione del Dio che si è fatto uomo s’è scontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito in questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo».

 La simpatia immensa, di cui parlava Paolo VI, è l’atteggiamento, l’unico possibile, che sgorga dal Vangelo. È con questo spirito che può aversi un nuovo inizio. L’uomo “globalizzato” diviene la sfida più stringente per il cristianesimo contemporaneo. Papa Francesco lo ha ben compreso e ci ha offerto le coordinate per quella visione che dovrebbe toccare le menti e i cuori di tutti i popoli. Con l’enciclica Laudato si’ ha delineato la “casa comune” di cui prenderci cura – è l’unica che abbiamo, almeno per ora – e con l’altra enciclica, Fratelli tutti, ha indicato l’unica famiglia che abita questa casa, una famiglia composta da tanti popoli, l’uno diverso dall’altro, eppure formanti un’unica famiglia sul pianeta.

Papa Francesco con queste due encicliche a cui ho già accennato, ci ha donato una visione che ci permette di leggere l’oggi e di sognare il futuro: l’unità del creato e della famiglia umana. È una visione congeniale al cristianesimo ma che coglie quel che è iscritto nelle profondità dell’uomo, di ogni uomo. E che il Vangelo ricorda sia ai credenti sia ai non credenti o ai credenti in altro modo.

 Quattro sfide hanno occupato il confronto tra me e Domenico Quirico: la pace (con il suo opposto, la guerra), i poveri, gli emigranti e gli anziani. Sono quattro temi particolarmente cari a Papa Francesco. E non a caso e tanto meno per capriccio.

Un umanesimo planetario – di cui c’è urgente bisogno – è possibile a partire proprio da questi quattro “amori”: sono incomprensibili senza una passione che li renda una priorità per costruire un futuro di fraternità per tutti. È la speranza che ci guida contro ogni speranza. Uomini e donne, credenti e non, uniti dal comune sogno: quello di un mondo che sia casa per tutti dove tutti possono trovare nelle profondità del loro cuore le energie per renderlo fraterno e pacifico.

© Edizioni Sanpino, 2023