L’INTERVENTO / Gli orrori del mondo

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La guerra si crea la sua morale, per cui uccidere e ridurre le popolazioni alla fame non conta nulla. Ucraina, Israele e Palestina e le tante altre guerre dove si continua a uccidere. La coscienza cristiana oggi sembra imporre ai credenti una coraggiosa opera di decostruzione di tanti miti. Con i conflitti armati che non finiscono mai, la guerra si sta annodando in un groppo inestricabile.

Di Severino Dianich, teologo e parroco, da Vita Pastorale

Durante i notiziari su ciò che sta accadendo in Ucraina, in Israele e Palestina e in tante altre plaghe infelici di questo mondo, orrori su orrori compaiono e ricompaiono ogni giorno sui giornali e sui nostri display. Si continua a uccidere, a morire, a distruggere, a ridurre le popolazioni alla fame, ma fermarsi no, e interminabili litanie di condizioni si contrappongono alla possibilità di un cessate il fuoco. La bandiera bianca? Questo mai. La guerra si crea la sua morale: la restaurazione della giustizia, la punizione dell’aggressore, la salvaguardia dell’integrità territoriale, la difesa dell’indipendenza nazionale, l’onore della Patria… sono i suoi valori assoluti, di fronte ai quali l’ammucchiarsi dei morti e le fosse comuni non contano nulla. Inseguendo con coerenza questa logica si dovrebbe essere disposti a giungere al sacrificio di tutta una popolazione di un Paese. 

Conta decidere chi ha torto e chi ha ragione, chi viola o chi rispetta il diritto internazionale, chi difende la libertà e la democrazia o chi le istituisce e promuove. Contano gli enormi interessi economici in gioco. Chi muore non conta. Se si desidera avere dati certi sull’andamento della guerra, si trovano facilmente le notizie su ogni cosa, mentre il dato più difficile da reperire è il numero dei morti. E chi lo fa, pubblica il numero dei morti dell’avversario, non i propri. Ai morti, non bisogna pensarci. Solo Hamas, per poter accusare Israele di genocidio, pubblica ogni giorno i morti di Gaza, che hanno superato ormai i 50 mila.

Molti gli idoli che vengono posti sull’altare, ai quali la vita dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, può e dev’essere sacrificata. Integrità territoriale, indipendenza nazionale, democrazia e libertà sono valori di enorme grandezza. Ma non possono essere distesi come un grande, onorevole mantello sopra la massa dei morti, delle distruzioni e degli orrori che le guerre stanno producendo. Non c’è grandezza nel cielo dell’umanità alla quale si possa sacrificare la pace nella convivenza umana. Quando può ornarsi del fragile decoro di essere operazione di una legittima difesa, non per questo diventa accettabile, tanto meno doverosa, perché – si combatta a torto o a ragione – si mette in moto un processo di distruzione che non si sa quando, come e se potrà finire. Quanto più si proclamano irrinunciabili i valori per i quali si combatte, tanto più la guerra è destinata a continuare per sempre. 

Non di rado, però, gli stessi valori che vengono addotti a giustificazione della guerra di difesa sono gli stessi che erano stati avanzati per giustificare l’aggressione. Putin, infatti, sostenuto dal patriarca di Mosca Kirill, aggredisce l’Ucraina per difendere la “Santa Russia” dall’assalto del pervertito Occidente. Se ne riveste poi l’aggredito, innalzando la bandiera della Patria e del valore dell’indipendenza nazionale, ritenuto un assoluto cui sacrificare centinaia di migliaia di vite umane. Si maschera l’orrore sotto il manto dei valori.

Oggi, con i conflitti armati che non finiscono mai (Israele è in guerra dal 1947!), la guerra si sta annodando in un groppo inestricabile e può protrarsi all’infinito. Nel mondo antico le guerre erano pura e semplice rapina di territori o di beni o di donne. Per i redattori dei libri delle Cronache, nel IV secolo a.C., non sembra la guerra fosse da deplorare, né da esaltare: «All’inizio dell’anno successivo, al tempo in cui i re sono soliti andare in guerra, Ioab, alla testa di un forte esercito, devastò il territorio degli Ammoniti…» (1Cr 20,1). Come c’era la stagione della semina, della mietitura e della vendemmia, così c’era la stagione delle guerre. Sulla guerra si cominciò a questionare, quando la si pensò destinata a un qualche nobile scopo. Uno di questi si svilupperà con la nascita dell’idea di nazione, cui seguirà la sua trasformazione in quella di Patria, caratterizzata da un tono di sacralità. «La Patria diviene la nuova divinità del mondo moderno», scriveva nel 1944 Federico Chabod. «Nuova divinità: e come tale sacra». Don Milani nel 1967 verrà accusato di apologia di reato perché in una lettera pubblica aveva difeso gli obiettori di coscienza. Nella sua Lettera ai giudici scriveva: «Anche la Patria è una creatura cioè qualcosa di meno di Dio, cioè un idolo se la si adora. Io penso che non si può dar la vita per qualcosa di meno di Dio». 

La guerra, in genere, è scontro fra nazioni. La governano gli Stati, la giustificano in nome dell’indipendenza nazionale. Integrità territoriale, indipendenza e libertà si impongono come valori irrinunciabili. Chi potrebbe contestarlo? Eppure non si tratta di valori originari della convivenza umana, ma effetto del possesso esclusivo della terra e della creazione dei confini. Al riguardo non si può dimenticare che Gesù, in una delle prime manifestazioni in pubblico, nella sinagoga di Nazareth, aveva rischiato d’essere linciato («Lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù», Lc 4,29) perché aveva annunciato la sua missione, adducendo a modello il profeta Eliseo che aveva guarito dalla lebbra uno straniero, il siriano Naaman, un nemico. Oserà negare la differenza, scavalcherà i confini, negherà l’elezione del suo popolo?

Siamo giunti in una fase della storia, nella quale si impone una radicale disanima di quei valori e ideali della cui promozione e difesa la guerra ancora si decora, nascondendo il traffico vergognoso di interessi particolari che l’anima nei suoi intrighi di fondo. Di fronte all’attuale dilagare delle guerre che stanno insanguinando il mondo, è giunto il tempo di mettere in discussione anche gli ideali più nobili che continuano a trasformarla, troppe volte, in un doloroso dovere, come l’idea dell’amore della Patria, dell’indipendenza nazionale… Si potrà discutere all’infinito su chi abbia torto e chi ragione nei conflitti che disseminano di morte il mondo. Ma ciò che la coscienza cristiana oggi sembra imporre ai credenti in Cristo è un’opera coraggiosa di decostruzione del mito dei “sacri confini della Patria”. È un andare controcorrente, un provocare scandalo e reazioni violente. Non è certo opera destinata a facili successi, ma, come diceva don Milani, «se non potremo salvare l’umanità ci salveremo almeno l’anima».

[Fonte: Vita Pastorale; Foto: SettimanaNews]