L'INTERVENTO / La democrazia è un “bene prezioso: cattolici attivi e vigilanti”

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Di Franco Garelli, sociologo (da Vita Pastorale)

Ci sono buone ragioni per ritenere che la 50ª Settimana sociale dei cattolici italiani – che s’è svolta di recente a Trieste – abbia avuto un doppio volto, si sia articolata in un doppio evento. Da un lato v’è stata la Settimana di cui si sono resi protagonisti i grandi ospiti invitati per questa circostanza, che non hanno mancato di trattare il tema della “democrazia” – che era al centro di questo importante convegno – con ampio respiro e particolare attenzione a quel che succede a livello nazionale e alle ripercussioni che il tutto può avere per la componente cattolica della nazione. Dall’altro s’è celebrata una seconda Settimana sociale, rappresentata dal modo in cui i mille convegnisti (provenienti dalle diocesi italiane e dall’associazionismo organizzato) hanno affrontato il tema della democrazia a partire dalla loro condizione di soggetti impegnati nelle varie realtà cattoliche di base. Dunque, un evento a due facce, in parte ovviamente interconnesse, ma in parte diverse, che rende ragione della varietà delle situazioni e degli orientamenti oggi presenti in un mondo cattolico che risulta al proprio interno assai più differenziato rispetto al passato.

Nel convegno di Trieste, i contenuti più strettamente politici sul tema della democrazia sono giunti perlopiù dall’esterno dell’Assemblea, richiamati con forza sia dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha aperto i lavori, sia dalle riflessioni di papa Francesco che li ha conclusi; sia ancora dagli interventi con cui il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei – nel fare gli onori di casa – ha dato il benvenuto alle due autorevoli figure. Si tratta di spunti in linea con il modo classico con cui questo argomento è stato trattato nella storia delle Settimane sociali o per come esso viene evocato quando si parla della necessità che, all’interno del mondo cattolico, si riscopra l’importanza dell’impegno in campo politico.

Il presidente Mattarella, in particolare, è stato molto assertivo, evidenziando i rischi cui è esposta la democrazia sia nel nostro Paese che in Europa, in un’epoca in cui prevalgono le istanze populiste e sovraniste, le maggioranze non rispettano i diritti delle minoranze, i governi lasciano poco spazio alle assemblee elettive e, inoltre, si confonde sovente il “parteggiare” col partecipare. Così la democrazia, da “bene prezioso”, tende a «trasformarsi nell’assolutismo della maggioranza, in un esercizio del potere senza limiti».

C’è, dunque, bisogno di un clima politico diverso, per sconfiggere un astensionismo senza precedenti, per riavvicinare alle urne (e alla politica) tanti cittadini delusi o confusi. Si tratta di “avvertimenti” espressi da uno strenuo “campione” delle istituzioni che s’è formato alla scuola del cattolicesimo democratico; e che, quindi, hanno rappresentato – nel panorama delle Settimane sociali – un pressante invito ai cattolici a essere attivi e vigilanti sulla scena pubblica e politica per evitare derive antidemocratiche.

L’elogio dell’“amore politico” è stato invece il messaggio più rilevante che papa Francesco ha riservato alla Settimana sociale di Trieste, invitando i cattolici a non accontentarsi di vivere una fede privata o ai margini della storia, a superare forme di assistenzialismo controproducenti, a riscoprire l’urgenza di un impegno che non si limiti a curare i mali della società, ma che sia capace di affrontarne le cause. In altri termini, l’impegno politico è una delle “più alte forme di carità” (come già diceva Paolo VI), a patto che non ci si limiti a fare gli “infermieri della storia”, ma si agisca come operatori di giustizia e di pace all’interno dell’arena pubblica. A questa carità politica, che deve affrontare situazioni non facili, «è chiamata tutta la comunità cristiana, nella distinzione dei ministeri e dei carismi». Come a dire che tutti devono fare la loro parte per alimentare quella “passione civile” che oggi manca nella società, sostenendo e favorendo in particolare la vocazione di quanti si assumono delle responsabilità dirette in campo politico.

Quanto al cardinale Matteo Zuppi, presidente dei vescovi italiani, le cui recenti prese di posizione sulle riforme in atto nel Paese (come la legge sull’autonomia differenziata e il premierato) hanno attirato gli strali di vari esponenti del governo italiano, sono noti i suoi inviti ai cattolici a essere gli “artigiani della democrazia”, i “servitori del bene comune”. Icone queste che nelle intenzioni del presidente della Cei, indicano che il “governo del popolo” è il contrario dell’individualismo, che occorre realizzare una democrazia inclusiva dove nessuno venga scartato o lasciato indietro. Una democrazia, dunque, che fa rima con “voglia di comunità”, aliena dai populismi; per affermare la quale il mondo cattolico, oggi come ieri, è chiamato a impegnare le sue migliori e qualificate energie.

Tutti questi interventi sono stati ampiamente condivisi dai partecipanti alla Settimana sociale di Trieste, secondo un applausometro che ha conosciuto decibel assai elevati. Ciò detto, occorre osservare che i lavori dell’Assemblea più che approfondire i temi sin qui richiamati, si sono mossi in un’altra direzione, in parte già prevista dal Documento preparatorio di questo grande evento ecclesiale. Quella di non occuparsi di come i cattolici debbano operare per meglio difendere la nostra Costituzione, per essere più incisivi in campo politico e istituzionale, per proporre un modello di società (alternativo a quelli espressi da altre aree o gruppi culturali e politici) capace di tener insieme le istanze della sicurezza e quelle della solidarietà; quanto di impegnarsi in un lavoro di base nella società, teso a dar rilevanza ai valori della democrazia e al desiderio di partecipazione.

Sembra, questo, un obiettivo “democratico” più consono con il sentire oggi molto diffuso nelle comunità cattoliche locali, che da un lato avvertono la difficoltà di intraprendere azioni politiche dirette, e dall’altro ritengono che la democrazia sia anzitutto un’attitudine dei cuori, una priorità educativa (o anche un atteggiamento) da costruire nel tempo nella biografia delle persone.

Di qui il clima costruttivo che – a detta di molti partecipanti a Trieste – ha caratterizzato la Settimana sociale, che ha permesso loro «non tanto di parlare di partecipazione, quanto di vivere un’effettiva esperienza di partecipazione»; dove nei lavori di gruppo prevaleva la regola del non lamentarsi e del pensare positivo; dove si sono affrontati i tanti problemi del nostro tempo, ma con la gioia di poterne parlare insieme, di dire la propria, di recepire istanze diverse; e dove ancora la narrazione delle “buone prassi” di cui è costellata (anche grazie al mondo cattolico) la società civile confermava i partecipanti circa la possibilità che s’inneschi prima o poi un cambiamento di più ampia portata. Così, è stato detto, «la voglia di partecipazione in ognuno di noi è aumentata», per cui questo confronto di visioni e di esperienze può essere un metodo adeguato per convertire le persone di buona volontà alle ragioni del bene comune.

Va da sé che questa “seconda” Settimana sociale ha affrontato il tema della democrazia perlopiù sul versante pre-politico, fatto questo che può avere una sua ragion d’essere, ma che non esonera l’insieme dei cattolici sia dall’orientarsi sui grandi temi politici che gravano sulla nostra vita pubblica, sia dall’offrire – come area culturale – uno specifico apporto alla soluzione dei molti problemi che condizionano la nostra democrazia. Come ci ha ammonito papa Francesco a Trieste: «Non lasciamoci ingannare dalle soluzioni facili!».

[Photo Credits: Festival Biblico]