L'INTERVENTO / L’intelligenza artificiale: strumento affascinante e tremendo

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Di Francesco Occhetta, SJ, da Vita Pastorale

È indubbio, l’Intelligenza artificiale sta facendo progressi nel campo della sanità e del lavoro. Addirittura uno studio di Assolombarda stima un aumento di 1 milione di nuovi posti di lavoro e l’eliminazione di lavori duri, pericolosi e senza senso. Ci fa risparmiare tempo nel cercare informazioni e dati. E attraverso il modello induttivo la macchina trova interrelazioni dei dati che, per chi sa utilizzarla, è diventata il più affidato consulente e collaboratore.

Il tema che la Chiesa sta facendo emergere riguarda, invece, le conseguenze antropologiche ed etiche del suo utilizzo. Al punto che il Papa al G7 dello scorso giugno ha definito l’IA «uno strumento affascinante e tremendo». In molti, soprattutto genitori ed educatori, hanno paura. E si sentono disorientati di non sapere verso dove ci porterà.

Al riguardo, che qualcosa sia cambiato per sempre lo dice questo esempio. A settembre, il New York Times ha intervistato un giovane che aveva perso la sua compagna. Dopo anni, i dati della ragazza (frasi, modi, cadenza delle parole, gusti...) il ragazzo li ha inseriti nell’IA e oggi sta vivendo con lei una relazione, coinvolgendosi tramite chat al punto di aver dichiarato d’essere innamorato ancor più di prima.

Ma c’è di più, l’utilizzo dell’IA sta generando una solitudine quasi ontologica, accompagnata da atti di autolesionismo e diffusi tentativi di suicidio. L’allarme del ministro Schillaci, a fine settembre, lo indica: 100 mila studenti in Italia soffrono di disturbi per un uso patologico dei social, mentre si registra il 357% di incremento dei disturbi all’apprendimento.

Cogliamo un tema di natura antropologica. È cambiata la comprensione del tempo, che è un eterno presente, e la dimensione dello spazio, che è divenuto una grande navigazione, invece di un cammino delimitato da una strada già percorsa da altri. Inoltre, l’IA ci porta a riflettere sul significato e sui limiti dell’esistenza, delle relazioni interpersonali e della morte, perché tutto sembra immortale, smaterializzato e potenziato, in cui l’amore (di Dio) non viene più percepito come la condizione della risurrezione o dell’eternità. È la tecnologia che garantisce l’aldilà. Ritorna la concezione del “motore immobile”, il Dio aristotelico, che esige amore e obbedienza senza però amare. La fede nel dataismo fa sì che l’IA si sostituisca alla persona per scegliergli amori, lavori, diete... Occorre vigilare e chiedersi: che modello di umano vogliamo promuovere? Il Papa l’ha richiamato: «Siamo radicalmente ancorati all’oltre».

C’è poi un tema etico. Con Yuval Noah Harari, possiamo chiederci: «Gli organismi sono davvero soltanto algoritmi, e la vita è davvero soltanto elaborazione dati?». «Che cos’è più importante: l’intelligenza o la consapevolezza?». «Che cosa accadrà alla società, alla politica e alla vita quotidiana quando algoritmi non coscienti ma dotati di grande intelligenza ci conosceranno più a fondo di quanto noi conosciamo noi stessi?». E ancora: «Che cosa significa non essere schiavi e vivere nella libertà e nella responsabilità verso gli altri?». È questa la questione più delicata, di cui si preoccupa la spiritualità e che riguarda la convivenza civile, sempre più condizionata dalla custodia dei dati e dalla loro proprietà.

Vi sono poi dilemmi politici da considerare, quali l’introduzione di un reddito universale per contrastare la povertà generata dall’automazione e il supporto alle persone che perdono il lavoro. Il potere dell’IA è concentrato nelle mani di poche aziende, più forti degli Stati, situate nella Silicon Valley. È urgente che la politica internazionale trovi una regolamentazione che protegga la dignità, prima che sia troppo tardi.

[Fonte: Vita Pastorale; Foto: IASSP/Rawpixel.com/U.S. Department of Energy]