L'INTERVENTO / P. Occhetta, "il Paese va ricucito e non strappato"
Di Francesco Occhetta, SJ, da Vita Pastorale di gennaio
In un Paese democratico sindacati e diritto allo sciopero sono strumenti essenziali per promuovere giustizia sociale e alimentare la democrazia, ma richiedono equilibrio e trasparenza per rimanere efficaci e legittimi. Lo sciopero generale del 29 novembre scorso, indetto da Cgil e Uil, senza la Cisl di Luigi Sbarra, è sembrato invece il canto del cigno di un sindacato stanco, che ha scelto di essere contro il Governo e non a favore della tutela dei diritti dei lavoratori nelle aziende per cui lo sciopero è nato.
L’oggetto è stata la legge di bilancio proposta dal governo Meloni che, come tutte, presenta le sue luci e le sue ombre. Così i sindacati hanno rivendicato al Governo e non alle imprese aumenti salariali, tutela delle pensioni, sicurezza sul lavoro e maggiori investimenti in servizi pubblici come sanità e istruzione. Ma anche sulla gestione delle politiche industriali, con particolare riferimento ai tagli al settore automotive e alle restrizioni imposte dal piano di bilancio europeo. Così, il diritto di sciopero storicamente inteso come strumento di lotta sindacale, sta diventando uno strumento contro il Governo. Solamente tra novembre e dicembre ne sono stati proclamati più di venti. Il cambio di rotta contrasta però con lo spirito del Protocollo sulla concertazione del 1993 voluta da Ciampi, che aveva aperto una stagione di dialogo costruttivo tra le parti sociali, un percorso che la Cisl continua a sostenere.
Lo dimostra la forte eterogeneità nell’adesione. Da un lato, abbiamo assistito a manifestazioni di piazza e ad azioni simboliche, come gli scontri di Torino e le effigie bruciate della presidente Meloni, dei ministri Crosetto e Salvini e dell’ex ministro Cingolani, che indicano una volontà di protesta radicale. Dall’altro, i dati di affluenza e adesione, con 50 mila partecipanti a Roma, 30 mila a Napoli e percentuali di adesione variabili a seconda dei settori (tra il 3% e il 6% in alcuni casi), offrono un quadro più complesso della situazione e smentiscono i dati trionfalistici della Cgil.
Il Paese va ricucito, non strappato. Secondo il presidente Cei, il cardinale Zuppi, il lavoro povero dev’essere retribuito, mentre vanno rispettati i diritti acquisiti dei lavoratori come un patrimonio di civiltà. A tal proposito la Chiesa richiama l’art. 40 della Costituzione come criterio di discernimento: «Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». Dinanzi a questo scenario complesso, fatto di diritti da tutelare, ma anche di rendite e conservazione del potere, occorre ripensare il ruolo sociale del sindacato e come riformarlo e autoriformarlo per garantire i lavoratori dai nuovi lavori e dalle nuove forme di contratto, molte delle quali a termine.
La pratica sindacale recente della cura del welfare aziendale andrebbe potenziata; essa si occupa, insieme alle aziende, di contratti sulle assicurazioni mediche, asili nidi aziendali, flessibilità degli orari, convenzioni particolari... Anche lo sciopero, costituzionalmente garantito, rischia di diventare desueto, se non lo si amplia di significato e se non acquista una valenza sociale. Nel suo ultimo editoriale sul Sole 24 Ore del 21 marzo 2002, due giorni dopo il suo barbaro assassinio, Marco Biagi lasciò scritto: «Ogni processo di modernizzazione avviene con travaglio, anche con tensioni sociali, insomma pagando anche prezzi alti alla conflittualità». Meno legge e più contratto è stato l’insegnamento di Biagi, e questo vale sia per il Governo sia per il sindacato, che auspichiamo si incontrino non per lavorare l’uno contro l’altro, ma a favore del Paese. Senza una pars construens, anche le ragioni della pars destruens lasceranno i lavoratori in balìa di un destino già troppo difficile da sopportare.
[Foto: Chiesa di Milano]