L’INTERVENTO / Ripamonti, la ‘deportabilità’ dei migranti, le persone come ‘carichi residuali’

Di p. Camillo Ripamonti *, SJ, da Vita Pastorale
Il Rapporto 2025 del Centro Astalli, il Servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia, presentato a Roma ad aprile, fotografa la situazione dei rifugiati in Italia e in Europa nel 2024, ed evidenzia un quadro di crescente complessità e vulnerabilità di cui i rifugiati assistiti sono portatori. Fa da sfondo un contesto internazionale e nazionale caratterizzato da “policrisi” e da politiche migratorie sempre più restrittive, che mettono a repentaglio la situazione dei diritti e della dignità delle persone.
È in questo quadro che, pochi giorni prima di essere ricoverato al Policlinico Gemelli, papa Francesco scrive ai vescovi statunitensi una lettera (ripresa sui social anche dall’allora cardinal Prevost, oggi papa Leone XIV) in cui esprime la propria preoccupazione circa la deportazione dei migranti in atto nel Paese: «Sto seguendo da vicino la grande crisi che si sta verificando negli Stati Uniti con l’avvio di un programma di deportazioni di massa; l’atto di deportare persone che in molti casi hanno abbandonato la propria terra per ragioni di povertà estrema, insicurezza, sfruttamento, persecuzione o grave deterioramento dell’ambiente, lede la dignità di molti uomini e donne, e di intere famiglie, e li pone in uno stato di particolare vulnerabilità e incapacità di difendersi. Il vero bene comune viene promosso quando la società e il governo, con creatività e rigoroso rispetto dei diritti di tutti accolgono, proteggono, promuovono e integrano i più fragili, indifesi, vulnerabili. Ciò non ostacola lo sviluppo di una politica che regolamenti una migrazione ordinata e legale. Tuttavia, tale sviluppo non può avvenire attraverso il privilegio di alcuni e il sacrificio di altri. Ciò che viene costruito sul fondamento della forza e non sulla verità riguardo alla pari dignità di ogni essere umano incomincia male e finirà male».
Sono parole chiare che non lasciano spazio a fraintendimenti in un tempo in cui il principio di “deportabilità” delle persone, rese irregolari sul proprio territorio dalle leggi dei vari Stati, sembra trovare spazio in vari Paesi. Nel 2022 fu il Governo del Regno Unito (era Primo Ministro Boris Johnson) a proporre di deportare i migranti “irregolari” in Ruanda. Il Governo ruandese aveva firmato un accordo per accogliere i migranti espulsi da Londra. Il provvedimento bloccato dalla Corte suprema britannica nel 2023, ritornato in auge con la legge dell’aprile del 2024, sotto il governo Sunak, è stato scartato definitivamente dopo le ultime elezioni, perché ritenuto sbagliato e immorale. Anche l’Italia ha tentato questo approccio. Il 2024 è stato, infatti, l’anno del braccio di ferro sui centri in Albania. Il Parlamento italiano e la Corte costituzionale albanese hanno approvato a febbraio 2024 un accordo tra i due Paesi per la costruzione in territorio albanese di due centri destinati a migranti, provenienti da Paesi definiti sicuri e che non presentassero vulnerabilità, (de)portati in Albania dopo il salvataggio in mare in acque internazionali da parte dell’Italia.
Al di là di quello che si è verificato dopo l’apertura di questi centri, quello che veramente preoccupa è la creazione di un artificio legale, quello di centri in terra albanese sotto la giurisdizione italiana. Per fare questo si è sostenuto il principio di “deportabilità” delle persone, rispetto alle quali si è persa di vista la centralità della loro dignità, trattandole come “carichi residuali” non desiderati. Neppure la decisione di convertire queste strutture in Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) ci sembra dignitosa. Oltre al fatto che, comunque, anche in questo caso ci si baserebbe sul principio di “deportabilità”, negli anni queste strutture di detenzione amministrativa hanno evidenziato tutti i loro limiti sul territorio italiano nel vedere rispettati i diritti dei migranti trattenuti (molti sono stati anche i suicidi in detenzione, 14 negli ultimi 5 anni), oltre la poca funzionalità della detenzione in vista del rimpatrio.
La “deportabilità”, e in alcuni casi la reale deportazione, con l’intento di contrastare e fungere da deterrente alle migrazioni definite “irregolari”, rischia di erodere i diritti fondamentali delle persone e compromettere la dignità di molti migranti, come evidenziato nella lettera ai vescovi statunitensi di Francesco. Appare, infatti, un crinale pericoloso l’utilizzo della “deportabilità” come strumento per il contrasto dell’immigrazione ritenuta irregolare, perché in qualche modo “reifica” i migranti che a poco a poco non vengono ritenuti degni di rispetto e umanità. Negli ultimi 20 anni altre operazioni, più o meno consapevolmente, hanno tolto umanità al tema delle migrazioni. Associarlo a quello della criminalità e della delinquenza – quando non a quello del terrorismo – facendo leva sulla paura, criminalizzare i salvataggi in mare, aprendo sempre più la strada alla sacrificabilità prima di una, poi di cento e poi di migliaia di persone in nome di una fantomatica sicurezza dei confini, e ora la “deportabilità” – quando non una vera e propria deportazione – reificando le persone, rischiano di distorcere ideologicamente la vita sociale, imponendo la logica del più forte sul più debole.
Ricorda il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa: «È necessario pertanto che le autorità pubbliche vigilino con attenzione, affinché ogni restrizione della libertà o comunque ogni onere imposto all’agire personale non sia mai lesivo della dignità personale e affinché venga garantita l’effettiva praticabilità dei diritti umani» (n. 133).
* Padre Camillo Ripamonti, medico e sacerdote della Compagnia di Gesù, è presidente del Centro Astalli, il servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia
[Fonte: Vita Pastorale; Foto d’archivio]