L'inviato speciale del Papa, "in Ucraina non resti solo la logica spietata del conflitto"

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CITTA' DEL VATICANO, 23 MAGGIO - "Desidero iniziare questo momento di condivisione da una delle preoccupazioni che Papa Francesco ci ha sempre rappresentato in questi anni, recentemente fino alla commozione: la pace, oggi specialmente in Ucraina con 'un popolo martoriato' (cfr, Regina Caeli, domenica 21 maggio 2023). Gli siamo grati per la sua profezia, così rara oggi, quando parlare di pace sembra evitare di schierarsi o non riconoscere le responsabilità". Il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, nominato da papa Francesco suo inviato nella missione di pace per l'Ucraina, ha dedicato oggi al tema dell'impegno per la fine dei conflitti un'ampia sezione della sua introduzione ai lavori della 77/a Assemblea generale della Cei.

"La sua voce si fa carico dell’ansia profonda, talvolta inespressa, spesso inascoltata, dei popoli che hanno bisogno della pace - ha sottolineato -. La guerra è una pandemia. Ci coinvolge tutti. Nel recente viaggio in Ungheria, si è interrogato: '“'Dove sono gli sforzi creativi di pace?'”'. Lasciamoci inquietare da questa domanda, perché non rimanga solo la logica spietata del conflitto".

Papa Francesco, ha ricordato Zuppi, "constata il deterioramento delle relazioni internazionali: '“'Pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace - ha detto in Ungheria - mentre si fanno spazio i solisti della guerra. In generale, sembra essersi disgregato negli animi l’entusiasmo di edificare una comunità delle nazioni pacifica e stabile, mentre si marcano le zone, si segnano le differenze, tornano a ruggire i nazionalismi… A livello internazionale pare persino che la politica abbia come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra e regredita a una sorta di infantilismo bellico. Ma la pace non verrà mai dal perseguimento dei propri interessi strategici, bensì da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti…' (Incontro con le Autorità, con la Società civile e con il Corpo diplomatico, Budapest, 28 aprile 2023)".

"È un’analisi che ci interroga. Per noi la pace non è solo un auspicio, ma è la realtà stessa della Chiesa, che germina - come il segno di pace - dall’Eucaristia e dal Vangelo. La Chiesa e i cristiani credono nella pace, siamo chiamati a essere tutti operatori di pace, ancora di più nella tempesta terribile dei conflitti", ha proseguito. "Durante la Seconda Guerra mondiale la Chiesa era tra la gente e sul territorio. Proprio tra pochi giorni ricorderemo i sessant’anni della morte di San Giovanni XXIII, che visse due guerre mondiali e attualizzò con efficacia il messaggio pacifico della fede con la Pacem in terris, cominciando a rivolgersi agli '“'uomini di buona volontà'".

"Siamo il popolo della pace, a partire da Gesù che è la nostra pace. Lo siamo per la storia del nostro Paese, per la sua collocazione nel Mediterraneo, cerniera tra Nord e Sud, ma anche tra Est e Ovest. Lo siamo – mi sembra – per le radici più profonde e caratteristiche del nostro popolo", ha affermato il cardinale di Bologna. "Come cristiani italiani, con il Papa, siamo chiamati a una fervente e insistente preghiera per la pace in Ucraina e perché 'si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace' (Pacem in terris, 91). Preghino tutte le nostre comunità intensamente per la pace! L’impegno di intercessione cambia la storia, come diceva Giorgio La Pira".

"C’è una cultura di pace tra la gente da generare e fortificare", ha detto ancora Zuppi, secondo cui "tante volte l’informazione così complessa spinge all’indifferenza, a essere spettatori della guerra ridotta a gioco". E a suo avviso, "la solidarietà con i rifugiati - quelli ucraini, ma non solo - è un’azione di pace". "I conflitti si moltiplicano - ha constatato -. Penso al Sudan e al suo dramma umanitario. In un mondo come il nostro non possiamo prescindere da una visione globale. Seguire le vicende dolorose dei Paesi lontani, con la preghiera e l’informazione, è una forma di carità. Del resto la cultura della pace è un capitolo decisivo della cultura della vita, che trae ispirazione dalla fede".

Il presidente dei vescovi italiani ha ricordato che che "il card. Bergoglio affermava: 'Non è la stessa cosa la cultura dell’idolatria rispetto alla cultura creata da una donna o da un uomo che adorano il Dio vivo'. Giovanni Paolo II diceva una cosa molto coraggiosa: 'Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta' (Discorso ai partecipanti al Congresso nazionale del Movimento ecclesiale di impegno culturale, 16 gennaio 1982). Sottolineava il creare cultura. Siamo in un tempo emozionale e soggettivo che rivela e accentua processi di deculturazione: tutto diventa fluido, anche quello che ieri sarebbe stato impensabile. Cadono saldi riferimenti, mentre ci si esalta (e poi ci si deprime) nella drammatica vertigine della soggettività dell’io isolato, cui sembra che tutto parta da lui".

"La fede crea una cultura della vita attraverso esistenze e pensieri impregnati di essa. La fede e la carità – scriveva un sapiente uomo di cultura, scomparso da parecchi anni, mons. Rossano – hanno bisogno 'della cultura, e già per esprimersi, affermarsi, scendere nell’esistente e sprigionare le loro valenze esistenziali'. Quando non avviene, è grande il rischio di ridursi a intimismo, assistenzialismo o semplicemente a vivere fuori dalla storia", ha concluso il card. Zuppi.

(Foto: chiesacattolica.it)