Mons.Gallagher, tracciare vie nuove per l’Europa per farne una vera “casa comune”

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La prolusione del segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati alla Pontificia Università Gregoriana al convegno "La diplomazia vaticana e la formazione dell’Occidente durante il Pontificato di Pio XII".

Di Paul Richard Gallagher

"La diplomazia vaticana e la formazione dell’Occidente durante il Pontificato di Pio XII (Vatican Diplomacy of the West during the Pontificate of Pius XII)" è il tema della conferenza internazionale che si svolge il 18 e il 19 aprile presso l’aula magna della Pontificia Università Gregoriana. L’importante assise è promossa congiuntamente da Gregoriana, Università Cattolica del Sacro Cuore, Universidad de Navarra, Universidade Católica Portuguesa e University of Malta nell’ambito del progetto di ricerca Occidentes. Il pontificato di Pio XII rappresenta infatti - si legge nel comunicato redatto dalla Gregoriana - «un periodo storico cruciale» per l’evoluzione dell’idea di Occidente e del suo rapporto con la Chiesa e il cattolicesimo. L’ampiezza delle fonti edite e inedite attualmente disponibili agli studiosi suggerisce inoltre l’opportunità di sviluppare la ricerca su temi di così ampia portata «facendo rete» tra istituzioni accademiche riconosciute nel panorama internazionale che, nel quadro di una collaborazione stabile e nel rispetto della più ampia libertà di ricerca scientifica, possano condividere e integrare le rispettive competenze per aprire itinerari di studio originali e interdisciplinari. Le sei sessioni del convegno intendono sviluppare un ampio ventaglio di proposte tematiche: dalla costruzione dell’Occidente all’Occidente degli «altri»; dal nuovo ordine mondiale a trazione anglo-americana alla costruzione dell’Occidente europeo; dall’Occidente visto dalla Cortina di Ferro al nuovo rapporto della Santa Sede con l’Africa. L’ultima sessione sarà dedicata al Medio-Oriente post-bellico. Pubblichiamo - riprendendola dal portale Vatican News - la prolusione dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali. 

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Ho accolto con piacere l’invito del Magnifico Rettore Padre Mark Lewis S.I., di inaugurare questo convegno internazionale di studi Vatican Diplomacy and the Shaping of the West during the pontificate of Pius XII. La storia dell’Occidente è così intimamente legata a quella del cristianesimo e della Chiesa che gli storici spesso usano i termini di Occidente, Europa e Civiltà Cristiana come sinonimi. Christopher Dawson afferma che «gli inizi della civiltà occidentale vanno cercati nella nuova comunità spirituale sorta dalle rovine dell’Impero romano e della conversione dei barbari nordici alla fede cristiana. La Chiesa cristiana ereditò le tradizioni dell’impero; essa si presentò ai barbari come depositaria d’una civiltà molto più elevata, dotata del prestigio della legge romana e dell’autorità del nome romano».

Occidente, quindi, è un termine che delinea non solo un territorio fisico, ma un ambito di appartenenza, definisce una civiltà, una cultura che unisce popoli, i quali nelle loro varietà e particolarità erano e sono accomunati dalle medesime radici unificate dalla fede cristiana, che aveva incorporato la tradizione spirituale ebraica e la cultura ellenistica. Occidentale è la cultura europea e la cultura europea è occidentale, una cultura diffusa da europei lungo i secoli in tutto il mondo.

Infatti, esiste tutt’oggi un patrimonio dell’Europa - che oltrepassa di gran lunga il solo continente europeo - umanista e universale che è possibile individuare in tutti i Paesi, e su questi principi di fratellanza e di ricerca della pace. Ciò è riconducibile a quell’umanesimo greco che sviluppò il senso dell’equilibrio, della misura e della bellezza, allo spirito giuridico romano che offre a ciascuno il suo posto e i suoi diritti nella comunità politica solidamente strutturata. Ma soprattutto ciò che ha modellato l’Europa da più di duemila anni è il cristianesimo, il quale ha liberato i tratti della persona umana, soggetto libero, autonomo e responsabile.

Il crollo dell’organizzazione politica romana lasciò infatti un grande vuoto, colmato dalla Chiesa, educatrice e legislatrice dei nuovi popoli. Ambrogio, Agostino, Girolamo e Gregorio, padri della Chiesa, furono realmente i padri della civiltà occidentale, dato che i differenti popoli dell’Occidente acquisirono una civiltà comune allorquando furono incorporati nella comunità spirituale della Cristianità.

Volendo considerare l’Europa come il capo del corpo dell’Occidente, viene spontaneo pensare al cristianesimo come alla sua anima, dato che gli diede forma e unità. La Chiesa operò mirabilmente: preservò molta parte del sapere antico e, leggendolo alla luce del Vangelo, lo diffuse fino a noi. Università, letteratura, arte, architettura, scienza e tecnica fanno crescere l’Occidente cristiano nel cui seno gli uomini realizzano l’innata ricerca del vero, del bello, del buono e del giusto. La forza spirituale ha conseguito autonomia e libertà sociale e, di conseguenza, la sua attività non è stata confinata alla sfera religiosa, ma ha avuto effetti di grande portata su ogni aspetto della vita. La civiltà occidentale si caratterizzò per il suo grande fermento teologico, perché la trasformazione del mondo era parte integrante del suo ideale culturale.

Questo corpo dotato di anima chiamato Occidente, ha un carattere peculiare dato dalla sua natura missionaria. E ciò lo aveva appreso dal movimento missionario degli uomini venuti dall’Oriente: Paolo, Ireneo, Atanasio, Cassiano Teodoro di Tarso, i papi greci e siriaci del VII secolo, che gettarono le basi della Cristianità occidentale. Ma dal VI secolo questo processo s’invertì, a seguito di un nuovo processo di attività missionarie che questa volta andavano da Ovest verso Est, proveniva dai nuovi popoli cristiani d’Irlanda e d’Inghilterra e si diffondeva verso il continente: movimento che non si limitò alla conversione dei pagani olandesi e tedeschi, ma che finì per riformare anche la Chiesa franca.

La storia dell’Europa è la storia d’un susseguirsi di rinascite, di rinnovamenti spirituali e intellettuali che ebbero certamente luogo grazie agli influssi religiosi, che si propagarono in forza d’un processo spontaneo di libera trasmissione. Non dimentichiamo che uno degli fulcri di questa trasmissione furono gli ordini monastici, la cui forza determinante fu la ricerca della perfezione individuale e della salvezza. Il cui modello equilibra la preghiera, lo studio e il lavoro. L’impulso che il monachesimo ebbe non rimase confinato alla vita monastica, si fece sentire in tutti i domini dell’attività sociale e intellettuale, nel campo economico e in quello scientifico.

In questa effervescenza che caratterizza la storia occidentale, nella quale fa da lievito la spiritualità, ebbe un ruolo importante l’attività di evangelizzazione dell’opera diplomatica della Chiesa. Apocrisari, Legati apostolici, legati a latere, legati missi, legati nati, collettori, familiares papae sottendono nella storia la costante prerogativa del Romano Pontefice di esprimere il diritto di legazione sia attiva che passiva al fine di obbedire alle parole di Gesù Cristo: «Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo a ogni creatura» (Matteo 16,16).

Tuttavia la diplomazia pontificia, che come ogni altra diplomazia si serve di mezzi secolari per raggiungere uno scopo di politica (estera), non può limitarsi alla diffusione della fede e il suo successo non va misurato in termini di propagazione della fede. Anch’essa deve infatti pagare il normale tributo di tutti i negoziati diplomatici ma senza venir meno alle verità teologiche al fine di garantire una pacifica convivenza della Chiesa in rapporto allo Stato. Era forse la consapevolezza di questi valori e della minaccia per il vecchio continente d’Occidente perpetrata da due ideologie totalitarie, che fecero avvicinare Pio XII più facilmente agli Stati Uniti, “il nuovo Occidente”, ancora prima del suo pontificato? È una questione ancora tutta da chiarire.

Come monsignor Agostino Casaroli sostenne anni fa in un suo contributo, che la frattura dell’Europa, a metà del pontificato di Pio XII, e l’evento sovietico ponevano il mondo davanti a una nuova realtà, al punto che il termine Occidente stesso acquisisce nuovi significati. La lacerazione in due grandi blocchi contrapposti, con il persistere di larghe, importanti ma comparativamente minori, zone neutrali o comunque non legate a nessuna delle due formazioni politico-militari. Oltre a quest’ultima contrapposizione (militare) ci fu quella ideologica che separava i due blocchi, che fece affermarsi e riaffermarsi gradualmente uno spirito europeo che, operante quasi esclusivamente in uno dei due campi e nelle zone politicamente e ideologicamente affini, stava manifestando la tendenza a estendersi nell’intero continente. È quasi a prova, parziale, ma non insignificante, di un simile tendenziale movimento, il diffondersi della convinzione dell’utilità, della necessità di un sistema Pan-europeo, e quindi “Occidentale”, di coesistenza, di sicurezza e di cooperazione. Mentre quello che si convenne a chiamare socialista si estendeva ormai nel cuore dell’Europa, affacciandosi sull’Adriatico e includendo dei popoli di antica cultura e tradizione tipicamente europee e occidentali, e, quel che contava ancora di più per la Santa Sede, in notevole misura cattolici. Quest’area, oltre a essere - nei riguardi dell’altra, detta appunto “occidentale” e nella quale geograficamente si trovava il centro dell’organizzazione ecclesiastica cattolica - in uno stato di guerra fredda sì, ma non per ciò meno aspramente guerreggiata, se ne trovava anche materialmente separata dalla barriera di frontiere gelosamente chiuse e difficilmente valicabili.

Fedele alla sua tradizione di non prendere iniziativa di rotture, la Santa Sede non ritirò i suoi rappresentanti dai Paesi. Fu decisione di altri espellere o allontanare i rappresentanti diplomatici nel blocco sovietico: così in Ungheria, Albania, Bulgaria, Romania, Cecoslovacchia… Tale situazione ebbe una risposta alquanto sorprendente da parte della Santa Sede che invierà in quegli anni nei Paesi satellite dell’Unione sovietica una schiera di diplomatici di origine americana, un’azione singolare nella storia della diplomazia, come di recente è stato messo in evidenza da alcuni convegni dedicati a questo tema.

Le legazioni e tutta la diplomazia pontificia esprimono in modo particolarmente evidente la posizione internazionale del papato e il modo in cui esso oltrepassa i secoli con il susseguirsi di ruoli, mansioni e funzioni che portarono a quella figura sempre più definita che conosciamo come Nunzio apostolico. Al riguardo, Paolo Brezzi scrive che «I nunzi (…) scrivendo a Roma riferivano sulle condizioni geografiche, storiche, politiche, economiche, sociali del paese. (…) Perciò le relazioni di questi ecclesiastici sparsi per l’Europa nei secoli scorsi hanno ancor più oggi un’attualità non solo per la loro inconfondibile originalità, acutezza d’impostazione, profondità di osservazione e quindi buoni ammaestramenti», ma anche per «l’enorme materiale documentario che costituisce una fonte storica di primo ordine e rappresenta un monumento di sapienza, un tesoro di insegnamenti, e soltanto lo studio di tale corrispondenza permette di rendersi conto dell’importanza avuta dalla Santa Sede nella vita dell’Europa».

Legato a quest’aspetto storico e umano, vi è la vocazione, il mandato spirituale della diplomazia vaticana, ben delineato in un articolo apparso su La Civiltà Cattolica il 19 maggio 1951. In esso il padre Angelo Martini S.I., durante il Pontificato di Pio XII , scrive che «la diplomazia della Chiesa cattolica ha un’impronta spirituale. Spirituale, oltreterreno è il suo scopo: la salvezza della anime; di profonda e schietta spiritualità deve essere chi l’esercita; spiritualmente fecondi hanno da essere i suoi risultati». In definitiva, si tratta di «(...) rappresentare il Vicario di colui che è venuto a servire e non ad essere servito (Matteo 20,28)». Il Nunzio deve conoscere il popolo al quale è mandato, la sua psicologia, la sua natura, la sua storia, le istituzioni e tutte le manifestazioni della vita; deve conquistarsi la simpatia di quanti sono affidati alla sua cura. «Egli deve possedere una cultura superiore, un’apertura ai problemi del momento ed ai loro antecedenti storici che gli faccia intravedere gli sviluppi futuri per preparare la gerarchia e i fedeli ai compiti del domani. Questo fa parte della sua missione, subordinatamente al fine spirituale, all’edificazione del Corpo di Cristo», per «guadagnare tutti a Cristo» (Corinzi. 9, 19-22).

Ma «questa è missione sacerdotale, ufficio sacerdotale», come scrisse di suo pugno Pio XII a monsignor Paolo Savino, presidente della Pontifica Accademia Ecclesiastica, nel 1951, in occasione dei duecentocinquant’anni dalla fondazione. «Tale è il diplomatico della Chiesa - scriveva Papa Pacelli -: un sacerdote che compie il suo ministero presso i grandi del secolo, o i pastori del gregge perché s’avveri la preghiera di Gesù: che tutti conoscano il Padre, e nella conoscenza formino una cosa sola».

Pio XII era profondamente convinto di ciò che alla fine della seconda grande guerra cercò di indicare le grandi linee direttrici della ricostruzione auspicando «a un vero Cristianesimo nello Stato e fra gli Stati». Egli sottolineava inoltre che la causa profonda della guerra e la vera radice del totalitarismo moderno doveva essere cercata nell’abbandono e nel disprezzo di quel Dio, che costituisce il solo fondamento della pace interna tra gli Stati e della pace internazionale. All’indomani della guerra, la Chiesa si ergeva tra le macerie non solo degli edifici e delle città europee, ma anche dei miti e delle ideologie del XX secolo, quale garante suprema della pace internazionale.

Parole in parte inascoltate perché alcune di quelle ideologie si acuirono e portarono alla contrapposizione dei due grandi blocchi, quello Orientale e quello Occidentale. Divisioni che tutt’ora persistono seppur mutate. Non è una novità parlare delle innumerevoli crisi odierne (interne ed esterne) — compresi i conflitti in Ucraina e Terra Santa —, delle persecuzioni, delle tribolazioni e degli smarrimenti fisici e psichici della società, una società che ci appare vittima di se stessa, privata di una visione trascendente e indotta a una prospettiva nichilista dalle ideologie postmoderne. Si ha l’impressione che vi siano fasce sociali stanche della vita. Sono tempi di grandi sfide.

Ma siamo coscienti che la storia è una litania di sfide: sfide personali e comunitarie. Il bimillenario insegnamento della Chiesa rappresenta una fonte dalla quale attingere soluzioni. Questa fonte è alimentata dall’acqua dell’inesauribile Grazia Divina e l’uomo, nella sua libertà, conformandosi alla legge naturale e divina, può e potrà sempre prendere decisioni che gli permettono di affrontare e trovare soluzioni a queste crisi.

Rivolgendosi al Corpo Diplomatico nel 2013, Papa Francesco ha detto che: «(…) la povertà spirituale dei nostri giorni riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto il predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI , chiama la “dittatura del relativismo”, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini. (…) Ma non vi è vera pace senza verità! (…) in quest’opera è fondamentale anche il ruolo della religione. Non si possono, infatti, costruire ponti tra gli uomini, dimenticando Dio».

Mi avvio alla conclusione. Ho cercato di descrivere in breve come la Chiesa cattolica sia legata profondamente all’Occidente e viceversa. E come ciò è stato possibile, grazie alla rete diplomatica pontificia. Vorrei lasciarvi con un proposito per il futuro. Lo esprimo con le parole di san Giovanni Paolo II , il quale, nel 2003, concluse l’Esortazione Apostolica Ecclesia in Europa: «Europa (…) sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Nel corso dei secoli hai ricevuto il tesoro della fede cristiana. Esso fonda la tua vita sociale sui principi del Vangelo e se ne scorgono le tracce dentro le arti, la letteratura, il pensiero e la cultura delle tue nazioni. Ma questa eredità non appartiene soltanto al passato: essa è un progetto per l’avvenire da trasmettersi alle generazioni future, poiché è la matrice della vita delle persone e dei popoli che hanno forgiato insieme il Continente europeo». E parlandole direttamente conclude: «Sii certa! Il Vangelo della speranza non delude! Nelle vicissitudini della tua storia di ieri e di oggi, è luce che illumina e orienta il tuo cammino; è forza che ti sostiene nelle prove; è profezia di un mondo nuovo; è indicazione di un nuovo inizio; è invito a tutti, credenti e non, a tracciare vie sempre nuove che sboccano nell’“Europa dello spirito”, per farne una vera “casa comune” dove c’è gioia di vivere».

(Questo articolo è stato pubblicato sul portale Vatican News, al quale rimandiamo; Photo Credits: Vatican News)