Premierato: una riforma "populista e autoritaria"
Sempre sul tema del "premierato" pubblichiamo l'intervento del gesuita padre Francesco Occhetta, politologo, già scrittore di 'Civiltà Cattolica', segretario generale della Fondazione vaticana Fratelli Tutti, sul numero di dicembre di Vita Pastorale.
Lo scorso 3 novembre, il governo ha approvato una riforma costituzionale definita dalla presidente Meloni «la madre di tutte le riforme». La “riforma Casellati”, che porta il nome del Ministro con delega sul tema, si propone di riformare tre articoli della Costituzione: l’art. 88 sul potere del presidente della Repubblica di sciogliere le Camere, l’art. 92 sulla nomina del presidente del Consiglio e l’art. 94 sulla mozione di fiducia e sfiducia al governo. Come un fulmine a ciel sereno, il governo ha così proposto un “premierato all’italiana”, una forma di governo unica al mondo che, costituzionalisti come Galli e Amato, non hanno esitato a definire «populista e autoritaria». L’obiettivo del governo è dare stabilità al potere esecutivo e, con ragione, la premier l’ha ribadito in molte occasioni: «L’assenza di stabilità ha creato un problema di credibilità internazionale». Ci chiediamo, però, se sia questa la riforma che risponda a un’istanza politica legittima su cui ci si interroga da almeno 30 anni.
La riforma che propone di eleggere per 5 anni il presidente del Consiglio direttamente dai cittadini in un unico turno con un’unica scheda, introduce importanti novità nell’Ordinamento. Anzitutto la proposta cambia sia la natura della forma di Stato – che da parlamentare diventerebbe semi-presidenziale –, sia le funzioni del presidente della Repubblica, a cui non spetterebbe più sia il potere di nomina del premier sia il potere di sciogliere le Camere. Al capo dello Stato rimarrebbe semplicemente il potere di conferire l’incarico al premier eletto e la nomina dei ministri, su indicazione del presidente del Consiglio. Questa scelta comprometterebbe l’autorevolezza e il ruolo di arbitro imparziale del presidente della Repubblica, che eletto dal Parlamento dovrà, invece, competere con la “forza” di un premier eletto dal popolo. Indebolire il potere di garanzia dell’unità nazionale rischierebbe di dividere il Paese, senza più un punto di riferimento cui appellarsi.
Anche il nuovo sistema elettorale maggioritario sta facendo molto discutere. Esso dovrà prevedere un premio del 55% assegnato su base nazionale che assicurerebbe il 55% dei seggi nelle Camere ai candidati e alle liste collegate al candidato premier eletto. La scelta trasformerebbe una minoranza politica in una presenza istituzionale molto forte. Nel 2013, per esempio, il M5S con il 23,8% dei voti avrebbe avuto il 55% dei seggi. Una norma di questo tipo è un rischio politico troppo grande per il Paese.
Ma c’è di più, il testo del governo ipotizza che, nel caso in cui il presidente del Consiglio si dimetta o decada, il presidente della Repubblica possa assegnare l’incarico di formare un nuovo governo al premier dimissionario o a un altro parlamentare eletto e collegato al presidente del Consiglio. Si darebbe così la possibilità alla maggioranza di governo di sfiduciare il presidente eletto dal popolo per scegliere un nuovo premier in seno alla maggioranza stessa. Il secondo presidente avrebbe ancora più potere del primo, potrebbe sciogliere le Camere e tradire l’elezione diretta. Infine, salterebbe un’altra prerogativa del presidente della Repubblica, quella di nominare i senatori a vita e il Paese perderebbe protagonisti della vita pubblica come Segre.
Il cammino verso l’approvazione è lungo e tortuoso; la maggioranza di governo mira ad approvare la riforma in prima lettura prima delle elezioni europee di giugno 2024 e proporre il referendum confermativo nella primavera 2025. Nel frattempo, il cardinale Zuppi, presidente Cei, ha ricordato: «Per un’efficace riforma è indispensabile creare un clima costituente, capace di coinvolgere quanto più possibile le varie componenti non solo politiche, ma anche culturali e sociali».
(Fonte: Vita Pastorale - Francesco Occhetta; Foto: Flickr/Camera dei Deputati)