Sanato lo strappo della Cina, sì del Papa al vescovo di Shanghai. Parolin, “per il bene della Diocesi. Il dialogo va avanti”

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CITTÀ DEL VATICANO, 15 LUG – A poco più di tre mesi dallo strappo compiuto dalle autorità cinesi con l’insediamento disposto in via unilaterale all’inizio di aprile, papa Francesco ha deciso di accettare la nomina a vescovo di Shanghai di mons. Giuseppe Shen Bin, 53 anni, già vescovo di Haimen. Ha però accompagnato questa sua scelta – sicuramente di compromesso e che lo esporrà alle critiche di chi lo accusa di essere troppo ‘morbido’ e accondiscendente con Pechino – con un’intervista ai media vaticani del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, in cui si spiega che il gesto di aprile è stato una violazione dello “spirito del dialogo” su cui si fonda l’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, firmato dalla Santa Sede e dalla Cina Popolare nel 2018 e rinnovato per la seconda volta nell’ottobre scorso.

Secondo Parolin, nominando Shen Bin vescovo di Shanghai, “Francesco ha deciso di sanare l’irregolarità canonica, in vista del maggior bene della diocesi e del fruttuoso esercizio del ministero pastorale del vescovo”. E il Vaticano chiede ora al vescovo – che è anche presidente del “Collegio dei vescovi cattolici cinesi”, non riconosciuto da Roma – di agire insieme alle autorità cinesi per “favorire una soluzione giusta e saggia di alcune altre questioni pendenti da tempo nella diocesi, come – per esempio – la posizione dei due vescovi ausiliari, mons. Taddeo Ma Daqin, tuttora impedito, e mons. Giuseppe Xing Wenzhi, ritirato”.

Ricorda AsiaNews che mons. Taddeo Ma Daquin è il presule che dal 2012 si trova di fatto confinato nel seminario di Sheshan dopo aver pubblicamente rifiutato l’adesione all’Associazione patriottica, l’organismo attraverso cui il Partito comunista cinese controlla la Chiesa ufficiale. Mons. Giuseppe Xing Wenzhi è un altro ausiliare di Shanghai, nominato con l’accordo della Santa Sede, e fatto scomparire l’anno precedente per ragioni mai chiarite.

Parolin non manca di delineare le difficoltà nell’attuazione dell’Accordo – tra cui anche l’installazione unilaterale nel novembre scorso di mons. Giovanni Peng Weizhao, vescovo di Yujiang, come ausiliare della diocesi di Jiangxi, non riconosciuta dal Vaticano – e dei passi che Roma ritiene indispensabili perché il dialogo possa proseguire. Dall’8 settembre 2021 non avviene alcuna nomina consensuale, malgrado un terzo delle diocesi cinesi sia privo di vescovi. Ricorda che l’Accordo “ruota attorno al principio fondamentale della consensualità delle decisioni che riguardano i vescovi”, un punto che la Santa Sede sta “cercando di chiarire, in un dialogo aperto e in un confronto rispettoso con la Parte cinese”.

“È indispensabile – avverte – che tutte le nomine episcopali in Cina, compresi i trasferimenti, vengano fatte consensualmente, come pattuito, e mantenendo vivo lo spirito del dialogo tra le parti”. Si devono “prevenire insieme le situazioni disarmoniche che creano dissapori e incomprensioni anche all’interno delle comunità cattoliche” e “la buona applicazione dell’Accordo è uno dei mezzi per farlo, unitamente a un dialogo sincero”.

Oltre alla necessità di “riconoscere quanto prima una Conferenza episcopale dotata di Statuti adeguati alla sua natura ecclesiale e alla sua missione pastorale”, e quella di “una regolare comunicazione dei vescovi cinesi con il vescovo di Roma”, Parolin sottolinea che “i cattolici cinesi, anche quelli definiti ‘clandestini’, meritano fiducia, perché vogliono sinceramente essere leali cittadini ed essere rispettati nella loro coscienza e nella loro fede”. E chiede alle autorità cinesi di “superare la diffidenza verso il cattolicesimo, che non è una religione da considerarsi estranea – tanto meno contraria – alla cultura cinese”.

Si dice inoltre consapevole degli “ostacoli” che “minano la fiducia e sottraggono energie positive”, ma ribadisce che “il dialogo tra la parte vaticana e la parte cinese resta aperto” e che “si tratta di un cammino in qualche modo obbligato”.

Per renderlo più fluido chiede “l’apertura di un ufficio stabile di collegamento della Santa Sede in Cina”, che favorirebbe “non solo il dialogo con le autorità civili, ma contribuirebbe pure alla piena riconciliazione all’interno della Chiesa cinese e al suo cammino verso una desiderabile normalità”. “Abbiamo firmato un Accordo che può essere definito storico – conclude il segretario di Stato – che ha bisogno però di essere applicato integralmente e nella maniera più corretta possibile. Oggi abbiamo bisogno della buona volontà, del consenso e della collaborazione, che ci hanno permesso di stipulare questo patto lungimirante. La Santa Sede è decisa a fare la sua parte perché il cammino continui”.

(Questo articolo è stato pubblicato oggi dall’ANSA; Foto: Fides)