Tredici anni senza Martini: p.Neuhaus, “l’ascolto era la sua via per la pace. La Terra Santa di oggi gli spezzerebbe il cuore”

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A tredici anni dalla morte del cardinale Carlo Maria Martini (Torino, 15 febbraio 1927 – Gallarate, 31 agosto 2012), Tra Cielo e Terra ha intervistato padre David Neuhaus, gesuita tedesco-sudafricano-israeliano, che ha servito come superiore della comunità della Compagnia di Gesù presso il Pontificio Istituto Biblico di Gerusalemme: qui fu in stretto contatto con l’ex arcivescovo di Milano negli anni trascorsi da quest’ultimo in Terra Santa (2002-2007). Dal 2009 al 2017 Neuhaus è stato vicario patriarcale per i cattolici di lingua ebraica presso il Patriarcato Latino di Gerusalemme.

“Martini era un uomo di ascolto – dice nell’intervista -, non rimaneva chiuso nella Chiesa ma, nello spirito del Vaticano II, spalancava le finestre e ascoltava profondamente le voci che provenivano dall’esterno”. “Portava nel cuore la lacerazione della Terra Santa – la Palestina/Israele – sanguinante e piangente. Qui pregava per la giustizia e la pace future”, spiega il gesuita. Martini si rendeva conto “che il dolore dell’altro deve cambiare i nostri cuori affinché possiamo plasmare un mondo in cui ci sia meno dolore, meno violenza, meno guerra”. Il cardinale “aveva un rapporto profondo con gli ebrei”, ma nei suoi anni a Gerusalemme “ha anche imparato a conoscere meglio la realtà palestinese, la sofferenza di un popolo umiliato, occupato, discriminato”. “Ha potuto interagire con i giovani palestinesi e saperne di più sulle loro speranze e aspirazioni, bloccate dai muri e dai posti di blocco costruiti da Israele. Credo che se vivesse oggi e vedesse come la repressione si è trasformata in genocidio, gli si spezzerebbe il cuore”, sottolinea Neuhaus.

Di Antonella Palermo

Padre Neuhaus, a tredici anni dalla morte, quale è, secondo lei, l’eredità del cardinale Martini? Quali parti della sua testimonianza sono per lei oggi più importanti?

Il cardinale Martini ascoltava attentamente. È proprio l’ascolto a essere così difficile in un mondo così rumoroso. Ognuno cerca di dire la sua, gridando ciò che pensa. Martini rappresentava un altro modo: era silenzioso, ascoltava e quando parlava, parlava con dolcezza e calma. Era un uomo di preghiera, che trascorreva tempo prezioso in silenzio con il Signore. Era chiaro che stava ascoltando. Era un uomo che leggeva la Bibbia; questo era l’amore della sua vita. Era chiaro che anche lì stava ascoltando. Ed era un uomo di mondo, in ascolto delle miriadi di voci che lo raggiungevano. Non rimaneva chiuso nella Chiesa ma, nello spirito del Vaticano II, spalancava le finestre e ascoltava profondamente le voci che provenivano dall’esterno, così come ascoltava attentamente le voci dall’interno. Ascolto attento accompagnato dal suo sguardo penetrante! E poi il necessario discernimento nel cercare di cogliere ciò che lui, principe della Chiesa, avrebbe potuto rispondere.

Come definirebbe la scelta del cardinal Martini di vivere l’ultima parte della sua vita a Gerusalemme? Cosa significava per lui la Terra Santa?

Il suo desiderio di giungere in Terra Santa al termine della sua vita era il desiderio di avere tempo per pregare, ascoltare, riflettere, fare un resoconto di coscienza prima di incontrare il suo Signore faccia a faccia. Era profondamente consapevole che questa terra era la terra delle origini, dove il suo Signore era nato, aveva camminato e insegnato, aveva sofferto ed era morto. Ma era anche la terra della Bibbia che amava, la terra dove Dio aveva parlato ai patriarchi, ai profeti, agli apostoli e ai santi. Era una terra che non si stancava mai di leggere, leggendola come un Vangelo che proclamava la buona novella del Regno di Dio. Era la terra dove era nata la Chiesa che aveva amato e servito per tutta la vita. Considerava un privilegio celebrare i sacramenti in questa terra per la vicinanza geografica alle origini di tutto ciò. In tutto questo, non dimenticò mai di essere in questa terra un intercessore. Portava nel cuore la lacerazione di quella terra – la Palestina/Israele – sanguinante e piangente. Qui pregava per la giustizia e la pace future. E stando al centro, a Gerusalemme, pregava per tutto il mondo e per tutta la Chiesa.

Ha dei ricordi personali del suo rapporto con lui che le fa piacere condividere?

Ricordo quando ci dissero che sarebbe venuto a vivere con noi. Pensai: un cardinale, un principe della Chiesa, uno dei suoi grandi intellettuali. Era un pensiero scoraggiante. E poi, quando arrivò, furono i suoi occhi a dire qualcosa di molto diverso. I suoi occhi guardavano ognuno di noi con profonda sollecitudine; non venne come un principe, ma come un compagno. E durante gli anni che trascorse nella nostra comunità, ci guidò verso una maggiore compagnia, una preghiera più profonda e una condivisione feconda e ispiratrice. Rimasi spesso scioccato dalla sua umiltà quando mi chiedeva consiglio sugli eventi quotidiani in Palestina/Israele. A volte quello che dicevo lo sconvolgeva perché contraddiceva le sue opinioni, ma lui ascoltava sempre, si impegnava sempre, dialogava sempre.

Il cardinal Martini sottolineava che dare voce al dolore altrui è premessa di ogni futura politica di pace… cosa ne pensa?

Questo fa parte del suo dono dell’ascolto. Non restava mai indifferente davanti a chi era in difficoltà. Si fermava e ascoltava. Nella sofferenza, udiva la voce di Dio. Questa è la lezione che impariamo dal Buon Samaritano. Dobbiamo fermarci e ascoltare. La disponibilità di Martini ad ascoltare significava che era disposto a cambiare costantemente, rendendosi conto che il dolore dell’altro deve cambiare i nostri cuori affinché possiamo plasmare un mondo in cui ci sia meno dolore, meno violenza, meno guerra. Dare voce al dolore di coloro che incontriamo significa sfidare le strutture e i sistemi che creano quel dolore.

Come – se è possibile dirlo – Martini avrebbe guardato alla situazione di oggi in Terra Santa?

Martini conosceva bene la Terra Santa prima di andarci a vivere. Tuttavia, l’esperienza di viverci giorno per giorno e di incontrare le persone che la abitano lo ha portato a una comprensione più profonda. Come tanti della sua generazione, è arrivato con un profondo apprezzamento per i nostri fratelli e sorelle ebrei. Ha continuato a mantenere un rapporto profondo con loro durante i suoi anni a Gerusalemme. Ma ha anche imparato a conoscere meglio la realtà palestinese, la sofferenza di un popolo umiliato, occupato, discriminato… un popolo che ha pagato un prezzo terribile per ciò che gli ebrei hanno sofferto in Europa. Ha sviluppato uno stretto rapporto con l’Università di Betlemme e la frequentava regolarmente. Ha potuto interagire con i giovani palestinesi e saperne di più sulle loro speranze e aspirazioni, bloccate dai muri e dai posti di blocco costruiti da Israele. Credo che se vivesse oggi e vedesse come la repressione si è trasformata in genocidio, gli si spezzerebbe il cuore. Il suo amore per il popolo ebraico non ha oscurato il suo amore per i palestinesi.

Il cardinale Martini sottolineava quanto la vita fosse il tema nodale di tutte le religioni, l’anelito dell’umanità, e che proprio in quel luogo, a Gerusalemme, si concentrava ogni speranza, ogni certezza, tutta la fiducia di vita. Stando a quanto accade oggi, si possono dire ancora le stesse cose, secondo lei?

Al centro di Gerusalemme c’è una tomba vuota. Un uomo orribilmente torturato e mutilato, crocifisso, era stato deposto lì. Eppure, non c’è. È risorto. Davvero risorto! Le tradizioni religiose sono chiamate ad annunciare la vita e tuttavia vengono strumentalizzate e pervertite per diventare ideologie di morte. Il ricordo a Gerusalemme della parola di Dio che irrompe nel rumore, dell’atto salvifico di Dio che pone fine alla morte, del regno di Dio che sorge… qui risiede la speranza che Martini non ha mai perso. Spesso pensiamo che la speranza sia guardare al futuro. Tuttavia, la speranza è ancora più importante ricordando come Dio ha fatto grandi cose per noi in passato. Gerusalemme è il luogo di quel ricordo – di come Dio ha agito in passato. Quel ricordo rafforza la nostra fede che Dio agirà anche in mezzo alla morte che ci circonda nel presente.

Di fronte all’attuale situazione in Terra Santa, quali strade possono indicare la meditazione e l’apostolato del gesuita Martini?

Martini era un uomo che ascoltava. Ascoltando, discerneva. Discernendo, lanciava un messaggio di giustizia e pace. Questa è l’unica via da seguire oggi in Terra Santa. Il genocidio israeliano in corso a Gaza è il tentativo di mettere a tacere per sempre il popolo palestinese. Questo porterà solo ad altre morti! Dobbiamo pregare affinché una conversione dei cuori porti una nuova generazione di israeliani e palestinesi disposti ad ascoltarsi a vicenda, a discernere insieme e ad aprire un orizzonte di uguaglianza, giustizia e pace in questa terra. Sono fiducioso che in Carlo Maria Martini abbiamo un intercessore efficace nella comunione dei santi in cielo.

[Foto d’archivio]