Zuppi, “educare oggi alla pace è un atto di resistenza rivoluzionaria”

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L’introduzione del presidente della Cei al Consiglio episcopale permanente a Gorizia. “L’Italia e l’Europa possono diventare maestre di pace”.

GORIZIA, 22 SET – “Se oggi il nostro mondo sembra preferire l’eco dei tamburi di guerra al sussurro della riconciliazione, educare alla pace è un atto di resistenza rivoluzionaria”. E’ uno dei passaggi-chiave dell’introduzione del cardinale presidente della Cei, Matteo Zuppi, ai lavori del Consiglio episcopale permanente, apertosi questo pomeriggio a Gorizia.

“Svolgere qui a Gorizia questa seduta del Consiglio episcopale permanente della Cei”, ha sottolineato Zuppi in apertura del suo discorso, “ci consente di riflettere insieme sui drammatici segni dei tempi che tanto ci inquietano, facendo memoria del nostro passato”. “Nova Gorica e Gorizia furono chiamate la ‘piccola Berlino’, una città divisa in due – ha ricordato l’arcivescovo di Bologna -. Ricaviamo una prima duplice lezione: niente del passato va perduto e nessun confine è invalicabile”.

“L’Europa deve esistere di più, anche se insidiata e indebolita da nazionalismi e sovranismi”

“L’Europa unita ha reso possibile molte cose, che prima e a lungo sembravano impossibili, proprio perché si è fondata sulla cooperazione, nella coscienza di avere un destino comune di pace tra i Paesi dell’Europa (che pure si erano combattuti) e del mondo”, Ha rilevato il presidente dei vescovi italiani, secondo cui “questi frutti mostrano come l’Europa esista e sia una via verso il futuro, forse più di quanto i cittadini avvertano a causa della distanza delle istituzioni comunitarie. Non solo l’Italia, ma l’Europa può diventare maestra di pace”.

“E l’Europa deve esistere di più, anche se la insidiano e la indeboliscono i nazionalismi e i sovranismi e una leadership complessa”, ha rimarcato. “L’incertezza dei rapporti con l’Alleato americano di sempre e la condizione creata dall’invasione russa in Ucraina la pongono in una situazione totalmente nuova, che richiede soluzioni unitarie perché siano efficaci”, ha osservato Zuppi: “dobbiamo, come Chiesa italiana e come Chiese europee, portare il nostro sostegno al Continente, per un suo consolidamento come realtà di democrazia, pace e libertà, per la difesa della persona umana in un mondo che appare tanto in movimento”.

Secondo il presidente della Cei, “la pace non è un’utopia per ingenui, ma è la vocazione dell’Italia, dell’Europa e di ogni società umana degna di questo nome”. “Certo, la realtà del mondo così imprevedibile, i conflitti, lo scuotimento di riferimenti storici generano un diffuso disorientamento – ha riconosciuto -. C’è una diffusa paura del futuro, anche perché molta gente vive sola e il nostro è spesso un popolo di soli, con lo sfaldamento della famiglia e del tessuto comunitario. La paura del futuro rinchiude nel presente e nella sua difesa”. “Anche il problema del calo demografico è espressione di questa paura, di concentrazione sul proprio io, di mancanza di speranza nel domani”, ha soggiunto.

“A Gaza fare di tutto per dare un futuro al popolo palestinese”

“La guerra ha già reso peggiore la vita di tanti Paesi e di milioni persone. Come non pensare a Gaza dove, mentre ancora gli ostaggi israeliani sono prigionieri in condizioni inumane, un’intera popolazione, affamata, bombardata, è costretta a un esodo continuo e con sofferenze drammatiche come ogni esodo”, ha detto Zuppi nella sua introduzione.

La Chiesa italiana, ha assicurato, “si unisce al forte e accorato appello” di papa Leone XIV “per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi”. “Ci domandiamo con inquietudine: cosa possiamo fare di più per la pace? – ha proseguito – Chiediamo: cessi il rumore delle armi in nome del rispetto per l’inviolabile dignità della persona umana, di ogni persona; siano protetti i civili da ogni forma di violenza fisica, morale e piscologica; sia garantita a ciascuno la libertà di decidere dove e come vivere nel rispetto dell’altro e in fraternità, perseguendo il principio dei due Stati, unica via per dare un futuro al popolo palestinese preso in ostaggio da Hamas e dall’offensiva militare tuttora in corso”.

“Da parte nostra, come Chiesa italiana, continueremo ad alleviare la crisi umanitaria e la sofferenza inaccettabile e ingiustificabile con ulteriori iniziative di cui daremo notizia prossimamente”, ha aggiunto.

“La guerra, fallimento della politica e dell’umanità”

“La guerra è il fallimento della politica e dell’umanità”, ha detto ancora il card. Zuppi. “Avviene in Ucraina, dopo qualche recente speranza di negoziato – che speriamo sia con tenacia e creatività perseguita -, mentre nuove truppe vengono schierate sul terreno e i bombardamenti continuano sistematicamente”, ha evidenziato.

“Il futuro sembra essere nel confronto militare. La guerra sfugge di mano anche a chi la provoca e crede di circoscriverla o indirizzarla, come avviene quando si accende un fuoco. È avvenuto un cambio di paradigma, ormai generalizzato, con la riabilitazione della guerra come strumento politico o di affermazione dei propri interessi”, è il quadro delineato dal presidente Cei.

“Siamo nell’età della forza: indispensabile riprendere il sogno da cui nacque l’Onu”

“Conosciamo bene la crisi dell’organizzazione” delle Nazioni Unite, ha riconosciuto Zuppi. “Ma non è indispensabile riprendere questo sogno, cercare di realizzarlo perché solo insieme si può difendere la casa comune?”, ha chiesto. Secondo il presidente dei vescovi, “non stiamo vivendo solo una crisi dell’ONU. Siamo nell’età della forza. Addirittura, si teorizza che la guerra sia una compagna naturale della storia dell’uomo, quasi intrinseca alla natura umana da sempre, mentre la pace sarebbe qualche breve e occasionale parentesi, quasi fossimo dominati da un destino da cui è impossibile liberarsi, quello di combatterci e di ucciderci a vicenda”. “Vogliamo però sfuggire alla globalizzazione dell’impotenza, con molta saggezza indicata da Papa Leone, per cui pensiamo non si possa fare nulla”, ha evocato.

“Sfuggire alla globalizzazione dell’impotenza: la pace inizia dalla prossimità”

Secondo Zuppi, “la pace inizia dalla prossimità, si impara nel gesto di accogliere, di non respingere, di sostare con l’altro. Sempre Papa Leone indicava la cultura della riconciliazione come l’antidoto a quella dell’impotenza”.

“Significa promuovere la cultura del dialogo autentico – ha spiegato -: non solo parlare, ma ascoltare; non solo difendere la propria posizione, ma essere disposti a lasciarsi trasformare dall’incontro con l’altro. Altrimenti il rischio è rimanere intrappolati nella polarizzazione, che non solo fa perdere l’opportunità di vie nuove, ma alimenta ulteriore conflitto: radicalizzazione, chiusura, violenza verbale o fisica, sospensione dell’altro dalla comunità, innalzamento delle barriere emotive e cognitive”.

Per il presidente Cei, “la polarizzazione si manifesta quando opinioni, identità e appartenenze diventano muri invalicabili: ‘noi’ contro ‘loro’, amici contro nemici, verità contro menzogna. Il rischio mortale è che ogni interlocutore venga spogliato della sua umanità. Qui inizia l’odio, che poi rende vittime e artefici, allo stesso tempo, se non si combatte per tutti e in ogni situazione”.

“Non restare intrappolati nella polarizzazione: è da lì che nasce l’odio”

“Assistiamo spesso ad un pericoloso scontro continuo e intransigente, dove diventa impossibile immaginare vie alternative – ha detto il cardinale -: ogni soluzione si irrigidisce, ogni compromesso diventa tradimento. Rimanere intrappolati in questa logica vuol dire rinunciare alla possibilità di una pace creativa, di innovazione morale, di riconoscimento dell’umanità che pulsa nell’altro. Eppure è proprio fuori da quella logica che può nascere qualcosa di nuovo”.

“Quando altre categorie – la compassione, la cura, la vicinanza – vengono rimesse al centro, cessa la fatalità della divisione. Un semplice gesto umano può spezzare la spirale: il perdono, l’abbraccio, il riconoscimento del dolore altrui”, ha suggerito.

“Per evitare questi rischi serve un’educazione che valorizzi la pluralità, il riconoscimento dell’altro, il dialogo e la buona fede, anche quando ciò può apparire ingenuo – ha indicato Zuppi -. Ogni parrocchia e comunità sia una casa di pace e di non violenza che promuova e raccolga le tante e importanti istanze che salgono dalla società civile. Per i cristiani, l’impegno alla pace non è un’opzione morale fra tante, ma una dimensione costitutiva del Vangelo”.

“Denunciare guerre e ingiustizie, sostenere la diplomazia, dare accoglienza a chi fugge”

Per il presidente Cei, “questo impegno si traduce nel promuovere riconciliazione, giustizia, cura dei più vulnerabili, rifiuto di ogni forma di violenza”. “Essere cristiani significa anche denunciare le guerre e le ingiustizie, sostenere la diplomazia, offrire accoglienza a chi fugge da conflitti – ha avvertito -. E significa pure lavorare perché in tutto il nostro Paese e in tutte le comunità locali si costruisca un dialogo autentico, una reciprocità che superi le paure radicate”.

“Credo che, dopo questo Giubileo, con la grazia di questo Anno – ha concluso Zuppi, dopo aver ricordate le tappe del cammino sinodale -, siamo chiamati a guardare con uno sguardo missionario il futuro del nostro Paese. In questa società disarticolata c’è da ritessere la fraternità, secondo quelle indicazioni che papa Francesco ci ha offerto nella Fratelli tutti”.

[Foto: Conferenza Episcopale Italiana]